
Traduzione di Filippo Pelucchi.
Revisione complessiva di Andrea Lavazza, pagina di Martine Nida-Rümelin e Donnchadh O’Conaill.
Versione: Inverno 2020.
-PRIMA PAGINA TRADOTTA PER IL PROGETTO GAVAGAI-
The following is the translation of Nida-Rumelin and Donnchadh O’ Conaill’s entry on “Certainty” in the Stanford Encyclopedia of Philosophy. The translation follows the version of the entry in the SEP’s archives at https://plato.stanford.edu/archives/win2020/entries/qualia-knowledge/ . This translated version may differ from the current version of the entry, which may have been updated since the time of this translation. The current version is located at <https://plato.stanford.edu/entries/qualia-knowledge>. We’d like to thank the Editors of the Stanford Encyclopedia of Philosophy for granting permission to translate and to publish this entry on the web.
L’argomento della conoscenza è volto a stabilire che l’esperienza cosciente implica proprietà non-fisiche. È basato sull’idea che qualcuno che possiede una conoscenza fisica completa di un altro individuo cosciente potrebbe comunque non sapere che cosa si provi a fare la stessa esperienza di quell’individuo.
Si tratta di uno degli argomenti più discussi contro il fisicalismo.
- 1. Storia delle idee ispiratrici
- 2. L’idea base
- 3. Alcuni chiarimenti
- 3.1 Le due versioni dell’argomento
- 3.2 Fisico e non-fisico
- 3.3 Sapere che cosa si prova
- 4. Obiezioni
- 4.1 Dubbi sull’esperimento mentale
- 4.2 Conoscenza fisica completa senza conoscenza dei fatti fisici
- 4.3 Nessuna conoscenza proposizionale (1): l’Ipotesi dell’abilità
- 4.4 Obiezioni contro l’Ipotesi dell’abilità
- 4.5 Nessuna conoscenza proposizionale (2): l’Ipotesi della conoscenza
- 4.6 La Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi
- 4.7 Diverse versioni della Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi
- 4.8 Obiezioni contro la Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi
- 4.9 L’argomento della conoscenza e l’oggettivismo
- 5. La prospettiva dualista sull’argomento della conoscenza
- 6. Osservazioni conclusive
- Bibliografia
- Strumenti accademici
- Altre risorse in Internet
- Voci correlate
1. Storia delle idee ispiratrici
L’argomento della conoscenza è diventato oggetto di un’intensa discussione filosofica a seguito della sua formulazione classica da parte di Frank Jackson (1982). Tuttavia, all’interno della letteratura esistono numerosi precursori di questo argomento. I precursori dell’argomento della conoscenza tipicamente adottano almeno una delle due strategie, che sono familiari nella formulazione data da Jackson. La prima è appellarsi a quella che Daniel Stoljar e Yujin Nagasawa chiamano intuizione della conoscenza: l’intuizione secondo la quale nessuna quantità di conoscenza dell’informazione fisica o dei fatti fisici che riguardano certe esperienze può essere sufficiente di per sé per sapere che cosa si provi a fare quelle esperienze, ossia per conoscere il loro carattere qualitativo o i cosiddetti qualia distintivi (2004, 2-3). La seconda strategia è quella di usare esperimenti mentali che sono simili al famoso esempio di Mary descritto da Jackson. Questi esperimenti mentali tipicamente coinvolgono un essere che ha una conoscenza completa dell’informazione fisica o dei fatti fisici riguardo a certe esperienze, ma che (si sostiene) non sa che cosa si provi a fare quelle esperienze.
Come esempi di intuizione della conoscenza, Stoljar e Nagasawa citano i lavori di Bertrand Russell (1998, 13-14) e J.W. Dunne (1929). Come dice Dunne, citando James Ward, le descrizioni fisiche non possono implicare la conoscenza di ciò che “si prova immediatamente alla vista di un papavero” (1929, 5). Nello stesso periodo in cui scriveva Dunne, C.D. Broad (1925) usò un esperimento mentale come parte di un argomento contro una visione meccanicistica del fisicalismo. Broad argomenta che se la teoria meccanicistica della chimica fosse vera, ci sarebbe comunque una proprietà dell’ammoniaca che un arcangelo matematico, dotato di illimitate capacità matematiche e “dotato dell’ulteriore capacità di percepire la struttura microscopica degli atomi”, non potrebbe predire, ossia il suo odore:
“Egli (l’arcangelo) saprebbe esattamente quale dev’essere la struttura microscopica dell’ammoniaca; ma sarebbe totalmente incapace di predire che una sostanza con tale struttura deve avere un odore come quello dell’ammoniaca, quando è annusata da un uomo. Al più, quello che potrebbe predire a riguardo è che ci sarebbero certi cambiamenti nella mucosa, nei nervi olfattivi e così via. Ma non potrebbe sapere che questi cambiamenti sarebbero accompagnati dalla comparsa di un odore in generale o dell’odore peculiare dell’ammoniaca, in particolare, a meno che qualcuno non glielo dica o egli stesso l’abbia annusata” (1925, 71). [1]
Sotto il titolo “Il ruolo cognitivo della contatto diretto”, H. Feigl (1958) discute brevemente i limiti epistemici di un marziano che studia il comportamento dell’uomo ma che non condivide i sentimenti umani:
La prima questione che vorrei discutere riguarda il “vantaggio cognitivo”, ossia i supposti vantaggi che comporta la conoscenza per contatto diretto, rispetto alla conoscenza per descrizione. Possiamo chiederci, per esempio, che cosa conosce una persona vedente che invece una persona cieca dalla nascita non potrebbe conoscere. Oppure, per prendere due esempi da Eddington, che cosa potrebbe conoscere qualcuno sugli effetti delle battute di spirito se non possedesse il senso dell’umorismo? Un marziano, interamente privo di sentimenti di compassione e pietà, potrebbe sapere che cosa succede durante la commemorazione di un armistizio? Per amore dell’argomento, supponiamo che esistano una completa predicibilità fisica e una spiegazione del comportamento degli esseri umani dotati di visione, senso dell’umorismo e di sentimenti di pietà. Il marziano a quel punto potrebbe predire tutte le risposte, incluse i proferimenti linguistici dei terrestri nelle situazioni che comportano le loro percezioni visive, le loro risate per le battute, o il loro (solenne) comportamento alla commemorazione. Ma, ex hypothesi, il marziano sarebbe completamente privo del tipo di immagini e dell’empatia che dipendono dalla familiarità (contatto diretto) con i tipi di qualia che devono essere immaginati o percepiti empaticamente (1958, 431).
B. A. Farrell aveva presentato in precedenza un esperimento mentale simile che coinvolge un marziano; in questa versione, sono gli umani ad essere privi di conoscenza di ciò che prova il marziano quando esercita le proprie capacità sensoriali (1950, 183; benché Farrell alla fine dica che il suo esperimento mentale non presenti una sfida per il fisicalismo). Paul E. Meehl, in risposta a Feigl, descrive due individui, ciascuno dei quali ha una completa conoscenza neurofisiologica, di cui uno è cieco dalla nascita; egli assume che sia intuitivo che questa persona non conosca qualcosa che conosce l’altra, ossia “come appare il rosso” (1966, 151).
Esempi più recenti nella letteratura costituiscono varianti dell’Argomento della Conoscenza, anziché essere meri precursori. Ad esempio, si consideri la seguente formulazione dell’intuizione di conoscenza di Nicholas Maxwell:
Semplicemente da una descrizione fisicalista completa sarebbe impossibile dedurre le qualità percettive delle cose, ma ciò è dovuto non dal fatto che queste non possiedano realmente qualità percettive, ma dal fatto che la descrizione fisicalista è incompleta: essa non ci dice tutto quello che c’è da sapere sul mondo. Non ci dice che cosa si prova ad essere un umano che fa esperienza nel mondo (1965, 309). [2]
E Howard Robinson, nello stesso anno in cui Jackson pubblicò “Epiphenomenal Qualia”, descrive uno scienziato sordo “che sa tutto quello che c’è da sapere sui processi fisici coinvolti nell’udito”, ma che intuitivamente non sa che cosa si provi a udire (1982, 4).
Infine, vale la pena menzionare un esperimento mentale che è stato molto influente, descritto da Thomas Nagel (1974). Secondo Nagel, i fatti fisici che riguardano un organismo e i suoi sistemi percettivi sono “fatti oggettivi par excellence”- il tipo di fatti che possono essere osservati e compresi da molti punti di vista e da individui con sistemi percettivi diversi (1974, 442). Nagel argomenta che anche se conoscessimo tutti i fatti oggettivi sul sistema sonar di un pipistrello, non sapremmo ancora che cosa si provi a percepire usando quel sistema. Perciò, una conoscenza completa dei fatti fisici che riguardano il sistema percettivo di un pipistrello non ci fornirebbe una conoscenza di alcuni fatti che riguardano le esperienze di quest’ultimo; questi fatti possono essere catturati soltanto da una prospettiva soggettiva. Nagel non argomenta contro il fisicalismo, ma dice invece che al momento non riusciamo a capire come possa essere vero. Nella Sezione 4.9, descriveremo un approccio legato all’argomento della conoscenza che lo interpreta come una sfida non per il fisicalismo, ma per una posizione chiamata “oggettivismo”.
2. L’idea base
Frank Jackson (1982) formula l’intuizione alla base del suo Argomento della Conoscenza in un passaggio assai citato nella letteratura, portando il famoso esempio della neurofisiologa Mary:
Mary è una brillante scienziata che, per qualche motivo, è costretta a fare ricerche sul mondo da una stanza in bianco e nero, attraverso il monitor di una televisione in bianco e nero. Si specializza nella neurofisiologia della visione e acquisisce, si può suppore, tutta l’informazione fisica che c’è da ottenere su ciò che accade quando vediamo i pomodori maturi, o il cielo, ed usiamo termini come “rosso”, “blu” e così via. Scopre, ad esempio, quali combinazioni di lunghezze d’onda dal cielo stimolano la retina, e come ciò produca esattamente, attraverso il sistema nervoso centrale, la contrazione delle corde vocali e l’emissione dell’aria dai polmoni, che ha come il risultato il proferimento dell’enunciato “Il cielo è blu”. Che cosa accadrà quando Mary uscirà dalla stanza in bianco e nero o le sarà dato un monitor televisivo a colori? Imparerà qualcosa oppure no? Sembra ovvio che imparerà qualcosa sul mondo e sulla nostra esperienza visiva di esso. Ma allora è inevitabile che la sua conoscenza precedente fosse incompleta. Eppure, possedeva tutta l’informazione fisica. Ergo, c’è qualcosa da possedere in più, e il fisicalismo è falso.
(Traduzione presente in Salucci 2005, corsivo nell’originale.)
L’argomento contenuto in questo passaggio potrebbe essere così schematizzato:
(1) Mary possiede tutta l’informazione fisica sulla visione umana dei colori prima di uscire dalla stanza.
(2) Eppure c’è una qualche informazione sulla visione umana dei colori che non possiede prima di uscire dalla stanza.
Dunque,
(3) Non tutta l’informazione è informazione fisica.
La maggior parte degli autori che discute dell’argomento della conoscenza cita il caso di Mary, ma Frank Jackson ha portato un esempio ulteriore nel suo influente articolo: il caso di una persona, Fred, che vede un colore che è sconosciuto agli esseri umani con capacità percettive normali. Potremmo voler sapere che colore esperisca Fred, quando guarda cose che gli appaiono in quel modo particolare. Sembra chiaro che nessuna quantità di conoscenza su ciò che accade nel suo cervello e su come viene processata l’informazione del colore nel suo sistema visivo ci aiuterà a trovare una risposta a quella domanda. In entrambi i casi citati da Jackson, un soggetto epistemico A sembra non avere accesso a particolari elementi di conoscenza relativi ad un soggetto B; A non può sapere che B ha un’esperienza di una qualità particolare Q in certe occasioni. Questo particolare elemento di conoscenza relativo a B è inaccessibile ad A, perché A non ha mai avuto alcuna esperienza di Q personalmente.
3. Alcuni chiarimenti
3.1 Due versioni dell’argomento
Come fa notare Horgan (1984), parlare di ‘informazione fisica’ nel contesto dell’argomento della conoscenza è ambiguo e sono possibili due letture: una epistemologica e una ontologica. “L’informazione fisica” può essere interpretata (a) nel senso di ciò che Horgan chiama “informazione fisica esplicita” (secondo la proposta di Horgan, un enunciato S esprime informazione fisica esplicita riguardo a certi processi esattamente nel caso in cui S appartenga ad una descrizione fisica, teoricamente adeguata, di quei processi o segua da essa) o (b) nel senso di ‘informazione ontologicamente fisica’, che è spiegata da Horgan (1984, 150) come segue: un enunciato S “esprime un’informazione ontologicamente fisica su certi processi esattamente nel caso in cui (i) tutte le entità a cui si fa riferimento o su cui si quantifica in S sono entità fisiche, e (ii) tutte le proprietà e le relazioni espresse dai predicati in S sono proprietà e relazioni fisiche.” Presupponendo una distinzione di questo tipo, qualcuno può sostituire ‘possedere tutta l’informazione fisica esplicita su x’ con ‘possedere una conoscenza fisica completa di x’ e qualcuno può sostituire ‘possedere tutta l’informazione ontologicamente fisica su x’ con ‘conoscere tutti i fatti fisici su x’. L’argomento può così essere riformulato in due modi diversi:
(V1) La versione debole dell’argomento della conoscenza:
(1a) Mary possiede una conoscenza fisica completa dei fatti fisici che riguardano la visione umana dei colori prima di uscire dalla stanza.
(2a) Eppure c’è un qualche tipo di conoscenza sui fatti fisici che riguardano la visione umana dei colori che non possiede prima di uscire dalla stanza.
Dunque
(3a) C’è qualche tipo di conoscenza sui fatti fisici che riguardano la visione umana dei colori che è una conoscenza non-fisica.
(V2) La versione forte dell’argomento della conoscenza:
(1b) Mary conosce tutti i fatti fisici sulla visione umana dei colori prima di uscire dalla stanza.
(2b) Eppure ci sono alcuni fatti sulla visione umana dei colori che Mary non conosce prima di uscire dalla stanza.
Dunque
(3b) Ci sono dei fatti non-fisici sulla visione umana dei colori.
La conclusione della versione forte dell’argomento (3b) è un’affermazione ontologica che il fisicalista deve rifiutare. La conclusione della versione debole dell’argomento è soltanto un’affermazione epistemologica che è compatibile con la negazione dell’esistenza di fatti non-fisici. Sebbene la formulazione originale di Jackson in termini di informazione sia aperta ad entrambe le interpretazioni, è chiaro che la versione forte dell’argomento è quella che egli aveva in mente.
Come molti hanno fatto notare, la conclusione della versione debole (3a) non implica la conclusione della versione forte dell’argomento (3b). Il fatto che una persona abbia una conoscenza incompleta su un certo argomento non implica, senza ulteriori assunzioni, che c’è un fatto specifico di cui non è a conoscenza. L’esempio della conoscenza di sé stessi (conoscenza di sé) può illustrare l’idea generale. Supponiamo che Giovanni, che si trova in un tempo T ad Amsterdam, non sappia che si trova ad Amsterdam, (se gli venisse chiesto dove si trova in questo momento, risponderebbe “Mi trovo a Venezia”). La conoscenza di Giovanni sulla posizione attuale delle persone è incompleta. Gli manca una specifica parte di conoscenza di sé che gli permetta di dire dove si trova. Tuttavia, non c’è bisogno di alcun fatto riguardo la posizione delle persone di cui Giovanni non è a conoscenza. Non segue dalla descrizione dell’esempio che Giovanni non abbia conoscenza del fatto che si trovi ad Amsterdam. Giovanni potrebbe benissimo sapere che si trova ad Amsterdam, ma, avendo dimenticato che lui stesso è Giovanni, potrebbe sbagliarsi quando conclude che non si trova ad Amsterdam. Se Giovanni alla fine scopre di essere ad Amsterdam, non impara un fatto nuovo -o almeno molti filosofi direbbero così- ma arriva a conoscere un fatto di cui era già a conoscenza, ma in una maniera diversa.
Se- come nel caso della conoscenza di sé – alcuni fatti fisici sulla visione dei colori possono essere conosciuti in due modi diversi, – in una maniera fisica (sotto concetti fisici) e in un’altra, in maniera non-fisica (sotto concetti non-fisici) – allora è possibile acquisire una nuova conoscenza (non-fisica) su un fatto (fisico) senza per questo acquisire conoscenza di un fatto nuovo (lo stesso fatto si sarebbe potuto conoscere sulla base di una concettualizzazione fisica). Molti autori accettano la versione più debole ma rifiutano quella più forte per la ragione appena illustrata: ammettono che Mary ottenga nuova conoscenza proposizionale, ma negano che arrivi a conoscere dei fatti che non conosceva prima in un altro modo. (Questi autori accettano la prima premessa di entrambe le versioni dell’argomento e anche la seconda premessa della prima versione, ma negano la seconda premessa della seconda versione ed insistono sul fatto che (2a) non implichi (2b)). La loro posizione nei riguardi dell’Argomento della Conoscenza sarà chiamata “Tesi Nuova conoscenza/fatti vecchi” (vedi Sezione 4.6 sotto). Altri negano anche la versione più debole V1 e affermano che Mary non ottenga nuova conoscenza proposizionale (nessuna nuova conoscenza su qualcosa, nessuna conoscenza di tipo fattuale). La posizione di questi filosofi verrà chiamata “Nessuna conoscenza proposizionale” (vedi Sezioni 4.3 e 4.5 sotto).
Per individuare i differenti punti di disaccordo, è utile formulare la versione forte dell’argomento in maniera più esplicita:
(V3) Formulazione esplicita dell’argomento della conoscenza (versione forte):
Premessa P1 Mary ha una conoscenza fisica completa della visione umana dei colori prima di uscire dalla stanza.
Perciò
Conseguenza C1 Mary conosce tutti i fatti fisici sulla visione umana dei colori prima di uscire dalla stanza.
Premessa P2 C’è qualche tipo di conoscenza riguardo ai fatti sulla visione umana dei colori che Mary non ha prima di uscire dalla stanza.
Pertanto (da (P2)):
Conseguenza C2 Ci sono alcuni fatti sulla visione umana dei colori che Mary non conosce prima di uscire dalla stanza.
Pertanto (da (C1) e (C2)):
Conseguenza C3 Ci sono fatti non-fisici sulla visione umana dei colori.
Una volta che C1 e C2 vengono accettate, non c’è ovviamente alcun modo di evitare C3 (che segue logicamente dalle prime due). Inoltre, sembra difficile negare che sia in principio possibile avere una conoscenza fisica completa sulla visione umana dei colori (o una parte accuratamente scelta di essa). Se è così, allora la premessa P1 dovrebbe essere accettata come una descrizione appropriata di un legittimo esperimento mentale. Per evitare la conclusione anti-fisicalista C3, il fisicalista può (a) obiettare contro l’inferenza da P1 a C1 (un numero ristretto di filosofi ha scelto questa strategia, vedi Sezione 4.2) oppure può evitare C2 (b) negando la premessa P2 (questa è la strategia scelta da chi sostiene la Proposta Nessuna conoscenza proposizionale, vedi le Sezioni 4.3 e 4.5 sotto) oppure (c) bloccando l’inferenza dalla premessa P2 alla premessa C2 (questa è la strategia scelta dalla maggior parte dei filosofi fisicalisti che si ritrovano in qualche versione della Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi, vedi Sezione 4.6 sotto).
3.2 Fisico e non-fisico
L’argomento della conoscenza viene spesso citato come uno di quegli argomenti anti-fisicalisti basati sui qualia che dovrebbero giustificare il dualismo delle proprietà. La formulazione esposta, tuttavia, non menziona esplicitamente proprietà non-fisiche, ma solo fatti non-fisici. Ma la relazione tra le due tesi è ovvia.
I sostenitori dell’argomento della conoscenza diranno che i fatti in questione sono non-fisici perché implicano l’esemplificazione di proprietà non-fisiche (per esempio, della proprietà di avere un’esperienza con la qualità Q).
Nell’ipotesi che Mary possieda tutta la conoscenza fisica (prima versione) o conosca tutti i fatti fisici (seconda versione), “fisico” è inteso in un senso molto ampio che include conoscenze relative a- o fatti riguardanti – il funzionamento dei recettori e dei neuroni soggiacente la visione dei colori (conoscenze / fatti biologici e fisiologici), nonché conoscenze relative a – o fatti riguardanti- l’intera rete di relazioni causali tra i processi alla base della visione dei colori, gli stimoli esterni e il comportamento (conoscenza funzionale / fatti funzionali). La conoscenza “fisica”, nel senso lato in questione, comprende anche la conoscenza psicologica (per esempio, conoscenze concernenti l’esito di esperimenti psicofisici), nella misura in cui questa può essere formulata senza ricorrere alla terminologia fenomenica. Si potrebbe tentare di chiarire il senso di “conoscenza fisica” qui presupposto approssimativamente nel modo seguente: la conoscenza fisica è tutta la conoscenza esprimibile in una terminologia che non contiene termini mentali irriducibili.
Sarebbe naturale definire i fatti fisici come quei fatti che possono essere espressi in questo modo. Si noti però che questa definizione di “fatti fisici” incorre in una petizione di principio nei riguardi di un’obiezione sollevata proprio contro l’argomento della conoscenza (vedi Sezione 4.2). Non è certamente cosa facile formulare definizioni di “conoscenza fisica” e di “fatti fisici” che siano precise, adeguate ed esenti dalla petizione di principio appena segnalata, e quindi appropriate ai fini della discussione dell’argomento della conoscenza. È tuttavia abbastanza diffusa la convinzione che la nostra comprensione intuitiva di “conoscenza fisica” nel senso ampio in questione sia sufficientemente chiara ai fini del dibattito, sebbene alcuni sostengano che parlare di “fatti fisici” necessiti di chiarimenti (vedi Alter 1998).
3.3 Sapere che cosa si prova
È comune formulare la nuova conoscenza di Mary usando i termini della famosa locuzione di Thomas Nagel, sapere “che cosa si prova”: Mary non sa (mentre vive nel suo ambiente in bianco e nero) che cosa si prova a vedere i colori e lo impara soltanto dopo essere uscita dalla stanza. Ma questo modo, spesso utilizzato per esprimere il punto, può portare a una confusione tra (a) una semplice conoscenza di tipi di esperienze di colore che si provano e che si ricordano e (b) una conoscenza di quale tipo di esperienza di colore hanno avuto altri soggetti in una determinata occasione. Ciò può quindi indurre in errore quando proviamo a distinguere due fasi del progresso epistemico che la Mary di Jackson ottiene un passo alla volta. Per vedere i due passaggi coinvolti, si può prendere in considerazione un esempio usato da Nida-Rümelin (1996) e (1998): Come Mary, Marianna prima (in un tempo t1) vive in un ambiente in bianco e nero. A differenza di Mary (in un secondo momento t2), viene a conoscenza dei colori vedendo oggetti colorati arbitrariamente (quadri astratti, sedie rosse, tavoli blu, ecc. ma nessuna banana gialla, nessuna foto di paesaggi con un cielo blu ecc.).
Marianna non è quindi in grado di mettere in relazione i tipi di esperienze cromatiche di cui ora è a conoscenza con quelle che già conosceva in t1. In t2, Marianna potrebbe chiedersi quale delle quattro diapositive che le vengono mostrate (una rossa, una blu, una verde e una gialla) le appare dello stesso colore che le persone normali vedono in un cielo senza nuvole. In t2 Marianna sa, in un certo senso, che cosa si prova ad avere esperienze di rosso, blu, ecc. ma le mancano ancora gli elementi di conoscenza rilevanti su ciò che sperimentano le altre persone: c’è un chiaro senso in cui potrebbe ancora non sapere che il cielo appare blu alle persone che lo percepiscono normalmente. Potrebbe perfino avere la falsa credenza che appaia a queste persone nello stesso modo in cui le appare la diapositiva rossa e quindi credere, in un certo senso, che il cielo appaia rosso alle persone che percepiscono i colori normalmente. Solo in t3, quando viene finalmente liberata e vede il cielo, Marianna ottiene questo elemento di conoscenza. Un modo per descrivere i due passaggi del suo progresso epistemico è questo: in t2, avendo delle esperienze cromatiche, Marianna può formare nuovi concetti, ora possiede quelli che sono stati chiamati “concetti fenomenici” delle esperienze di colore. Acquisendo questi concetti, acquisisce la capacità di porre nuove domande e di formare nuove (eventualmente false) ipotesi (ad esempio su come appare il cielo alle persone con una vista normale). Solo in t3 acquisisce il tipo di conoscenza di cui tratta l’argomento della conoscenza (conoscenza che implica l’applicazione di concetti fenomenici) in merito alle esperienze di altre persone.
Una volta che questi due passaggi sono chiaramente distinti, si può concludere che il progresso epistemico rilevante per Marianna in t3 (e il progresso epistemico rilevante per Mary una volta uscita dalla stanza) non è propriamente descritto parlando di ciò che si prova. Piuttosto, si potrebbe dire che Mary e Marianna acquisiscono un particolare tipo di credenza che il cielo appaia blu alle persone con una vista normale: vale a dire la credenza fenomenica che il cielo appaia blu a tali persone, dove questa credenza fenomenica comporta l’applicazione del concetto fenomenico appropriato. Entrambe potrebbero aver creduto, in un certo senso (nel senso non-fenomenico, che non richiede l’uso di concetti fenomenici) che il cielo appaia blu alle persone con una vista normale, mentre esse si trovano ancora nel loro ambiente in bianco e nero (potrebbe essere che qualche amico l’abbia detto loro). (Per la distinzione tra credenza fenomenica e non- fenomenica, vedi Nida-Rümelin1996 e 1998).
4. Obiezioni
4.1 Dubbi sull’esperimento mentale
Alcuni autori hanno sollevato dubbi sull’esperimento mentale in sé. Qualche volta viene sottolineato, ad esempio, che limitarsi a confinare Mary in un ambiente monocromatico non le impedirebbe di avere esperienze cromatiche (vedi Thompson 1995, 264) o che, dopo essere uscita dalla stanza, non sarebbe in grado di vedere i colori. Ma l’esempio può essere raffinato per rispondere a queste obiezioni. Mary potrebbe essere affetta da discromatopsia dalla nascita e diventare una persona che percepisce i colori normalmente in seguito a qualche trattamento medico. Qualche volta viene obiettato che i risultati già accettati o futuri provenienti dalla scienza della visione sono, o potrebbero, essere incompatibili con l’esistenza di un caso come quello di Mary (una persona con esperienza di discromatopsia che in seguito percepisce i colori normalmente) o che tali risultati potrebbero richiedere (per preservare la coerenza con la scienza della visione) l’introduzione di così tante ipotesi aggiuntive che la concepibilità dell’esperimento mentale stesso sarebbe messa in discussione. A ciò si potrebbe rispondere che l’esperimento mentale non deve essere compatibile con la scienza della visione. Se il caso di una persona che soffre di discromatopsia che diviene in grado di percepire i colori normalmente comporta davvero serie difficoltà per il materialismo, allora il semplice fatto (se così fosse) che il nostro apparato visivo esclude tale caso, non sembra fornire una risposta convincente da parte del materialista. Ma la rilevanza o l’irrilevanza della scienza della visione in questo contesto non è stata molto discussa in letteratura. È stato tuttavia sottolineato (vedi Graham e Horgan, 2000, nota 4 con riferimento a Shepard 1993) che almeno i risultati attualmente disponibili da parte della scienza della visione dei colori non escludono un caso come quello di Mary. (Lo psicologo Knut Nordby è stato un caso reale di uno specialista della visione dei colori che era anche un discromatopsico completo. Vedi il suo articolo “Vision in a Complete Achromat: A Personal Account”, disponibile nella sezione “Altre risorse Internet” e Nordby, 2007.)
Un altro dubbio sull’esperimento mentale è stato sollevato dall’affermazione secondo cui una persona confinata in un ambiente monocromatico, che conosce tutto ciò che c’è da sapere sull’esperienza visiva dei colori, sarebbe in grado di capire che aspetto hanno le cose colorate. Ad esempio, sarebbe in grado di immaginare il tipo di esperienza avuta da chi percepisce i colori normalmente nel guardare il cielo senza nuvole durante il giorno (vedi ad esempio Dennett 1991; Dennett 2007; Churchland 1989; Maloney 1985, 36). Probabilmente la reazione più comune è semplicemente mettere in dubbio l’affermazione stessa. Ma non è chiaro se l’affermazione, qualora fosse corretta, possa indebolire l’argomento della conoscenza. Chi obietta dovrebbe dimostrare che la completa conoscenza fisica implica necessariamente la capacità di immaginare il blu. Si può dubitare che questa affermazione sia compatibile con l’ipotesi ampiamente accettata secondo cui la conoscenza fisica può essere acquisita indipendentemente dal proprio apparato percettivo. (Presumibilmente, un soggetto il cui apparato visivo non è affatto adatto alle esperienze visive non sarà in grado di sviluppare la capacità di immaginare i colori sulla base della sola conoscenza fisica, anche se ciò fosse vero per Mary).
Alcuni hanno sostenuto che Mary sarebbe in grado di riconoscere i colori quando li vede per la prima volta sulla base della sua completa conoscenza della fisica della visione dei colori (vedi Hardin 1992). Secondo questa affermazione, Mary penserebbe a qualcosa del tipo “oh, quindi questo è il rosso” trovandosi per la prima volta di fronte a una macchia rossa, e non verrebbe fuorviata da quello che Dennett chiama “l’inganno della banana blu”: se a Mary venisse mostrata una banana blu, saprebbe che è del colore sbagliato (vedi Dennett 1991). Una possibile e comune risposta è semplicemente dubitare di queste affermazioni. Ma, in ogni caso, non è chiaro che queste affermazioni indeboliscano l’argomento della conoscenza. Si potrebbe infatti rispondere nel modo seguente: se Mary, dopo aver visto per la prima volta il rosso, è in grado di concludere che ora sta vedendo ciò che le persone chiamano “rosso”, allora acquisisce una serie di nuove credenze riguardanti le esperienze del rosso (che sono prodotte dalle rose, da certe combinazioni di lunghezze d’onda e così via). Sulla base della sua visione del rosso, Mary (a) acquisisce un nuovo concetto fenomenico di rosso e (b) forma nuove credenze che coinvolgono quel nuovo concetto, usando la conoscenza fisica che aveva precedentemente acquisito. Ma se questa descrizione è corretta, allora la sua precedente conoscenza era incompleta (per una discussione dettagliata dell’argomento di Dennett riguardante l’inganno della banana blu, vedi Dale 1995).
4.2 Conoscenza fisica completa senza conoscenza dei fatti fisici
Può sembrare ovvio che la premessa P1 (Mary ha una conoscenza fisica completa sulla visione umana dei colori) implichi C1 (Mary conosce tutti i fatti fisici sulla visione umana dei colori). Se tutti i fatti fisici possono essere conosciuti attraverso una concettualizzazione fisica, una persona che ha una conoscenza fisica completa su un argomento allora conosce tutti i fatti fisici rilevanti. Ma alcuni filosofi sembrano avere posizioni contrarie a questo nesso, apparentemente privo di problemi. Harman (1990) sostiene che Mary non conosce tutti i fatti funzionali riguardanti la visione umana dei colori, perché le manca il concetto di che cosa voglia dire che un oggetto è rosso, blu, ecc. Flanagan (1992) distingue il fisicalismo metafisico dal fisicalismo linguistico. Mentre il fisicalismo metafisico è la tesi ontologica che non esistono individui, proprietà, relazioni e fatti non-fisici, il fisicalismo linguistico invece afferma che “tutto ciò che è fisico può essere espresso o catturato dal linguaggio delle scienze empiriche”. Secondo Flanagan, il caso di Mary può confutare il fisicalismo linguistico, ma non confuterebbe quello metafisico. Alter (1998) sottolinea che l’argomento della conoscenza necessita della premessa per cui tutti i fatti fisici possono essere appresi discorsivamente e sostiene che tale assunzione non sia stata provata. Si può argomentare contro quest’idea sostenendo che sia difficile comprendere che cosa voglia dire che una proprietà o un fatto sono fisici, una volta che si abbandona il presupposto che le proprietà fisiche e i fatti fisici non sono altro che quelle proprietà e fatti che possono essere espressi in termini fisici.
4.3 Nessuna conoscenza proposizionale 1: l’Ipotesi dell’abilità
Sono state proposte due diverse versioni della tesi “Nessuna conoscenza proposizionale”. Secondo l’Ipotesi dell’abilità (difesa soprattutto in Lewis 1983, 1988 e in Nemirow 1980, 1990, 2007), Mary non acquisisce nessuna nuova conoscenza proposizionale una volta uscita dalla stanza (nessuna conoscenza su come stanno le cose, vale a dire nessuna conoscenza fattuale), ma solo un insieme di abilità (come quelle di immaginare, ricordare e riconoscere colori o le esperienze di colore). Secondo l’Ipotesi della conoscenza per esperienza diretta proposta da Conee (1994), la nuova conoscenza che Mary acquisisce una volta uscita dalla stanza è quella che egli chiama “conoscenza per esperienza diretta”, che non è né una conoscenza proposizionale, né è identica ad un insieme di abilità.
I sostenitori dell’Ipotesi dell’abilità presuppongono che il progresso epistemico di Mary dopo aver lasciato la stanza consista nell’acquisizione del sapere che cosa si prova (ad esempio, ad avere un’esperienza del blu). Inoltre sostengono che ciò consiste nell’avere determinate abilità pratiche. Secondo Nemirow “sapere che cosa si prova ad avere un’esperienza equivale a essere in grado di immaginarla” (1990, 495). Secondo Lewis,
“… sapere che effetto fa equivale al possesso di abilità: quelle di riconoscere, di immaginare, di prevedere il comportamento di qualcuno mediante esperimenti di immaginazione (Lewis 1983, 131)”.
Qualche anno dopo egli scrive:
“L’Ipotesi dell’abilità sostiene che sapere che effetto fa vivere un’esperienza equivale semplicemente a possedere le abilità di ricordare, immaginare e riconoscere… Non è una “conoscenza-che”, bensì una forma di “conoscenza come” (un’abilità)” (Lewis 1990, 516).
Bence Nanay suggerisce che ciò che Mary acquisisce è la capacità di discriminare tra diversi tipi di consapevolezza, vale a dire di distinguere l’avere o l’immaginare esperienze di tipo E, dall’avere o immaginare esperienze di altri tipi (2009).
L’argomento principale di Lewis a favore dell’Ipotesi dell’abilità può essere riassunto in questo modo. (1) L’unica alternativa all’Ipotesi dell’abilità è quella che egli chiama “Ipotesi dell’informazione fenomenica (IIF). (Secondo l’IIF, sapere che cosa si prova è una forma di conoscenza proposizionale nel senso seguente: giungere a sapere che cosa si prova comporta l’eliminazione di possibilità finora rimaste aperte). (2) L’IIF non è compatibile con il fisicalismo. (3) L’Ipotesi dell’abilità è compatibile con il fisicalismo e spiega tutto ciò che può essere spiegato dall’IIF. Pertanto, dovremmo preferire l’Ipotesi dell’abilità.
Si noti che l’Ipotesi dell’abilità è compatibile con l’idea che a volte acquisiamo conoscenze proposizionali venendo a contatto con un nuovo tipo di esperienza, da un punto di vista in prima persona. È difficile mettere in discussione le seguenti osservazioni di Levin:
“… sarebbe assurdo affermare che la nuda esperienza può fornirci solo abilità pratiche … Se mi viene mostrato un colore a me sconosciuto, acquisisco informazioni sulle sue somiglianze e la sua compatibilità con altri colori, nonché sui suoi effetti su altri stati mentali: è evidente che acquisisco alcuni fatti sul colore e sulla sua esperienza visiva (Levin 1986, 246; vedi anche Crane 2003)”.
Ma, come sottolineato da Tye (2000), ciò non mina l’Ipotesi dell’abilità. Quest’ultima implica che esiste qualche forma di conoscenza che può essere acquisita solo con esperienze di un tipo particolare e che questa conoscenza non è altro che una forma di “conoscenza come”. Questo ovviamente non esclude che ci sia anche conoscenza proposizionale che può essere acquisita venendo in contatto con esperienze in prima persona. Il sostenitore dell’Ipotesi dell’abilità deve solo insistere sul fatto che, se esiste una tale conoscenza proposizionale, non è necessario che sia acquisita in quel modo specifico, poiché è accessibile anche in altri modi.
4.4 Obiezioni contro l’Ipotesi dell’abilità
È stato obiettato a Nemirow che la capacità di immaginare di avere un’esperienza di un tipo particolare non è né necessaria né sufficiente per sapere cosa si prova ad avere quell’esperienza. Per dimostrare che le capacità immaginative non sono necessarie per sapere ciò che si prova, Conee (1994) e Alter (1998) citano l’esempio di una persona che non ha la capacità di immaginare di avere esperienze cromatiche. Essi sostengono che, nonostante questo difetto, tale persona saprebbe cosa si prova ad avere un’esperienza di verde, mentre osserva attentamente qualcosa che le sembra di quel colore. Per dimostrare che le capacità immaginative non sono sufficienti per sapere ciò che si prova, Conee porta il seguente esempio: a una persona, Martha, “che è molto brava a visualizzare una sfumatura intermedia, di cui non ha fatto esperienza, tra due sfumature che ha già visto… capita di non avere familiarità con una sfumatura che porta il nome di rosso ciliegia”. A Martha viene detto che il rosso ciliegia è a metà strada tra il rosso bordeaux e il rosso fuoco (ha fatto invece esperienza di queste due tonalità di rosso). Date queste informazioni e la sua straordinaria capacità, Martha è in grado di immaginare il rosso ciliegia, ma fintanto che non esercita questa capacità non sa cosa significhi vedere tale colore.
Un esempio simile viene utilizzato per lo stesso scopo e viene discusso in modo più dettagliato da Raymont (1999). Raymont sostiene che le capacità mnemoniche, di riconoscimento e immaginative non equivalgono, né da sole né prese assieme, a sapere che cosa significhi avere un particolare tipo di esperienza. Per prima cosa sostiene che nessuna di queste abilità è necessaria o sufficiente per sapere ciò che si prova: (a) Le abilità mnemoniche non sono necessarie, dal momento che qualcuno può imparare cosa si prova a fare un’esperienza quando la fa per la prima volta, senza per questo ricordare un’esperienza del tipo rilevante. (b) Le capacità immaginative non sono sufficienti poiché qualcuno può avere la capacità di immaginare un particolare tipo di esperienza senza esercitarla (vedi l’esempio sopra citato). (c) Per dimostrare che neanche le capacità di riconoscimento sono sufficienti, Raymont cita dati empirici “a sostegno dell’idea per cui si può avere la capacità di riconoscere in modo non inferenziale un certo tipo di esperienza visiva senza averla mai provata, senza quindi sapere che cosa si provi ad averla”. Ma neppure queste tre abilità prese insieme possono equivalere a sapere che cosa si prova: se lo facessero, allora – contrariamente ad (a) – ognuna di loro dovrebbe essere una condizione necessaria per sapere che cosa si prova.
Gertler (1999) sostiene che il miglior candidato per un’analisi nello spirito dell’Ipotesi dell’abilità è quello di identificare ciò che si prova ad avere un’esperienza di rosso con la capacità di riconoscere le esperienze del rosso attraverso le loro qualità fenomeniche. Continua poi attaccando questo stesso candidato: sottolinea che la capacità di riconoscere le esperienze del rosso in base alla loro qualità fenomenica può essere spiegata dal fatto che so cosa si prova a vedere il rosso ma non viceversa.[3]
Michael Tye (2000) ammette che nessuna delle abilità considerate da Lewis è necessaria per sapere ciò che si prova e discute la seguente possibile revisione dell’Ipotesi dell’abilità: sapere che cosa si prova ad avere un’esperienza di rosso è la capacità di applicare un concetto indessicale di un’esperienza di rosso (mentre la si ha) attraverso un atto di introspezione. Ma, prosegue, questa versione rivisitata può essere nuovamente respinta da un controesempio che dimostra che l’abilità in questione non è sufficiente per sapere ciò che si prova: se Mary è distratta e non fa caso alla sua esperienza quando vede per la prima volta un oggetto rosso: allora non ha bisogno di applicare alcun concetto alla sua esperienza. In questo caso non sa ancora cosa significhi avere esperienze del rosso, anche se ha la capacità di applicare un concetto indessicale alla sua esperienza attuale (possiede tale abilità, ma, distratta, non la esercita). Tye ammette che la versione rivisitata dell’Ipotesi dell’abilità non potrebbe essere comunque utilizzata contro l’argomento della conoscenza nel modo in cui era originariamente intesa. Il motivo è che la versione rivisitata è compatibile con l’idea che Mary acquisisca “conoscenza che”, se non si distrae, quando vede per la prima volta qualcosa di rosso: impara che questa è un’esperienza di rosso (dove “questa” si riferisce introspettivamente alla sua esperienza attuale) e così acquisisce “conoscenza che”. Secondo Tye, avere una conoscenza indicativa di questo tipo è sufficiente ma non necessario per sapere cosa si prova ad avere un’esperienza di rosso. Dopotutto, è impossibile fare riferimento introspettivamente a un’esperienza di rosso senza avere in quel momento quel tipo di esperienza, ma Tye è disposto ad ammettere che una persona può sapere cosa si prova ad avere un’esperienza di rosso, pur senza averla in quel preciso istante. Questo ragionamento motiva la sua descrizione disgiuntiva del sapere ciò che si prova: “S (soggetto) sa che cosa si prova ad avere un’esperienza E se e solo se S ha una “conoscenza che” di tipo indessicale riguardo ad E, ottenuta invece attraverso l’introspezione, oppure se S possiede le abilità descritte da Lewis riguardo ad E ”(Tye 2000). Tye difende così la proposta fisicalista contro l’argomento della conoscenza, combinando le due strategie sopra menzionate: applica la strategia nuova conoscenza/fatti vecchi alla persona che sa che cosa si prova ad avere un’esperienza nel senso del primo congiunto (il pensiero indessicale in questione è reso vero da un fatto fisico) e applica la strategia “Nessuna conoscenza proposizionale” al caso di qualcuno che sa che cosa si provi, nel senso del secondo disgiunto.
Lycan (1996) mette in discussione l’Ipotesi dell’abilità e l’idea che Mary acquisisca una nuova forma di “conoscenza che” dopo essere stata liberata, affermando che “S sa cosa si prova a vedere il blu” significa qualcosa del tipo “S sa che si prova (Q) a vedere il blu”, dove Q indica la qualità fenomenica in questione. Tye (1995) ha obiettato che l’uso del nome per i qualia “Q” all’interno di un contesto proposizionale crea dei problemi ben noti: la sostituzione di “Q” con un altro nome “R” per lo stesso quale può cambiare il valore di verità nell’attribuzione della credenza. Un sostenitore del punto di vista di Lycan potrebbe tuttavia rispondere nel modo seguente: nel caso dei nomi dei qualia all’interno di contesti di credenze, non importa quale nome sia usato per riferirsi al quale in questione, fino a quando la credenza è intesa come un’attribuzione di una credenza fenomenica. “S crede che si provi (Q) a vedere il blu” significa, sulla base di una lettura fenomenica, che S ha la credenza rilevante su Q sotto un concetto fenomenico di Q. Partendo dal presupposto che è impossibile avere due diversi concetti fenomenici di uno stesso quale, l’obiezione non tiene più: fintanto che i due nomi per i qualia (Q e R) si riferiscono allo stesso quale, la sostituzione di Q con R nell’attribuzione della credenza fenomenica non può cambiare il valore di verità quando si attribuisce una credenza.
Come abbiamo visto, i sostenitori dell’Ipotesi dell’abilità assumono che la “conoscenza come” acquisita da Mary sia distinta da qualsiasi forma di conoscenza proposizionale. Questa ipotesi può essere contestata, basandosi ad esempio sul lavoro di Jason Stanley e Timothy Williamson (2001). In questa prospettiva, per un soggetto (S) sapere come fare qualcosa (F) equivale per S a sapere che esiste un modo (M) per passare da S a fare Fe saperlo in una modalità pratica di presentazione (2001, 430 ). Stanley e Williamson stessi applicano quest’idea alla versione di Lewis dell’Ipotesi dell’abilità:
Saper immaginare il rosso e saperlo riconoscere sono entrambi esempi di conoscenza che. Ad esempio, il fatto che x sappia immaginare il rosso equivale a conoscere una proposizione della forma “M è un modo per x di immaginare il rosso”, che è sviluppata sotto forma di una modalità pratica di presentazione (2001, 442; vedi anche McConnell 1994).
Yuri Cath suggerisce che questo punto può essere accolto dai sostenitori dell’Ipotesi dell’abilità, a condizione che distinguano il fatto che Mary apprenda una nuova proposizione e il fatto che arrivi ad occupare un nuovo stato di conoscenza proposizionale (2009, 142-143). In particolare, prima di uscire dalla stanza, Mary può sapere che M è un modo in cui qualcuno può immaginare il rosso, ma solo in una modalità teorica di presentazione; una volta uscita dalla stanza viene a conoscenza della stessa proposta in una modalità pratica di presentazione. Arriva così in un nuovo stato di conoscenza proposizionale, ma senza apprendere nuove proposizioni.[4]
4.5 Nessuna conoscenza proposizionale 2: l’Ipotesi della conoscenza
Earl Conee (1994) suggerisce un’altra variante della proposta “Nessuna conoscenza proposizionale”. Secondo Conee, la conoscenza (“acquaintance”) costituisce una terza categoria di conoscenza che non è riducibile alla conoscenza fattuale, né alla conoscenza-come e sostiene che Mary acquisisca, una volta uscita dalla stanza, solo conoscenza per contatto diretto. Secondo Conee, sapere qualcosa per contatto diretto “richiede che la persona abbia familiarità con l’entità nota, nel modo più diretto possibile, perché possa essere consapevole di quella cosa” (1994, 144). Poiché “esperire una qualità è il modo più diretto per afferrarla” (Conee 1994, 144), Mary acquisisce conoscenza dei qualia del colore solo una volta uscita dalla stanza. Secondo l’idea proposta da Conee, il fisicalista può difendersi dall’argomento della conoscenza nel modo seguente: (1) I qualia sono proprietà fisica delle esperienze (e le esperienze sono processi fisici). Supponiamo che Q sia una tale proprietà. (2) Mary può sapere tutto di Q e può sapere che una data esperienza possiede Q prima di uscire dalla stanza, anche se – prima di uscire – non ha familiarità con Q. (3) Una volta uscita, Mary conosce Q, ma non acquisisce alcun nuovo elemento di conoscenza proposizionale quando lo conosce (in particolare, sapeva già in quali condizioni le persone che percepiscono i colori normalmente fanno esperienza della proprietà Q). Più recentemente Michael Tye (2009, 131-137) ha difeso l’Ipotesi della conoscenza , indicandola come la risposta corretta per l’argomento della conoscenza, abbandonando così la sua risposta originale (vedi sotto 4.7).
Un sostenitore dell’argomento della conoscenza potrebbe ammettere che una persona conosce Q solo se ha, o ha avuto, esperienza della proprietà Q, ma dovrebbe insistere sul fatto che conoscere Q in questo senso è una condizione necessaria per poter conoscere (nel senso rilevante) che un’esperienza possiede Q. Un altro tipo di critica all’Ipotesi della conoscenza è stato sviluppato in Gertler (1999). Ella sostiene che il dualista delle proprietà può spiegare perché il modo più diretto per familiarizzare con un quale è avere un’esperienza di un certo tipo, mentre il fisicalista non ha alcuna spiegazione per rendere conto di questa particolare caratteristica dei qualia. Allo stesso modo, Robert Howell (2007, 146) sostiene che tutte le altre risposte fisicaliste all’argomento della conoscenza dipendono dall’Ipotesi della conoscenza e che il contatto diretto è incompatibile con l’oggettivismo (vedere la sezione 4.9 di seguito).
È interessante vedere che una versione della Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi è molto simile all’Ipotesi della conoscenza . Bigelow e Pargetter (1990) sostengono che i progressi di Mary una volta uscita dalla stanza consistono nel fatto che si trovi in una nuova relazione di conoscenza con i qualia del colore, ma la loro teoria sull’individuazione delle credenze implica che acquisisca così nuova conoscenza fattuale. Diverse credenze, secondo Bigelow e Pargetter, possono essere distinte in modo appropriato solo se si prende in considerazione il modo in cui il soggetto conosce gli individui e le proprietà su cui si basa la sua credenza (in quel contesto, usano il termine tecnico “modi di conoscenza”).
4.6 La Tesi nuova conoscenza / fatti vecchi
Sono stati formulati nella letteratura numerosi argomenti a favore dell’idea che la nuova conoscenza di Mary una volta uscita dalla stanza costituisca conoscenza proposizionale (informazione autentica). Lycan sostiene, ad esempio, che la nuova conoscenza di Mary sia accompagnata dall’eliminazione di possibilità epistemiche e che le sue nuove abilità siano spiegate meglio dal fatto che possiede nuova informazione (per ulteriori argomenti vedi Lycan 1996, 92). Loar (1990/1997) sottolinea che l’occorrenza incorporata di “si prova questo e questo” in frasi come “se in uno stato di dolore si prova questo e questo, allora Q” non può essere spiegata in un modello che analizza il sapere ciò che si prova come una forma di conoscenza-come. McConnell (1994) difende la visione più radicale secondo cui l’acquisizione di conoscenza-come è normalmente accompagnata dall’acquisizione di un particolare nuovo elemento di conoscenza-che.
Molti filosofi trovano difficile negare che Mary acquisisca nuova conoscenza fattuale una volta uscita dalla stanza e per questo motivo (se sono fisicalisti) si sentono attratti dalla Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi. Le posizioni che rientrano chiaramente in questa categoria sono difese in Horgan 1984; Churchland 1985; Tye 1986, 1995; Bigelow e Pargetter 1990; Loar 1990/1997; Lycan 1990a, 1996; Pereboom 1994; Perry 2001; Byrne 2002; Papineau 2002, 2007; Van Gulick 2004; Levin 2007; Balog 2012a, 2012b.
Le idee di base comuni alla Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi possono essere riassunte nella maniera seguente:
(1) Il carattere fenomenico, ad esempio la “bluità fenomenica” è una proprietà fisica delle esperienze (vedi comunque Lycan 1990a per un’eccezione che struttura i qualia come proprietà di oggetti esterni).
(2) Per acquisire la conoscenza di che cosa si provi ad avere un’esperienza di un particolare carattere fenomenico, è necessario acquisire concetti fenomenici del suddetto carattere fenomenico.[5]
(3) Ciò che prova un organismo ad acquisire e possedere un concetto fenomenico può essere descritto in termini completamente fisici.
(4) Un soggetto può acquisire e possedere concetti fenomenici solo se ha o ha avuto esperienze del tipo fenomenico rilevante.
(5) Una volta uscita dalla stanza, Mary acquisisce conoscenza di caratteri fenomenici in base a concetti fenomenici.
Ma i fatti che rendono vera questa nuova conoscenza sono i fatti fisici che Mary conosceva prima di uscire dalla stanza sotto un’altra concettualizzazione.
Le differenze tra le varianti della Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi riguardano la descrizione teorica (fisicalista) del (a) carattere fenomenico, (b) dei concetti fenomenici dei caratteri fenomenici e (c) la relazione tra caratteri fenomenici e i corrispondenti concetti fenomenici. Tutti i sostenitori di questa tesi sottolineano che, secondo la loro proposta, i concetti fisici e i concetti fenomenici sono cognitivamente indipendenti: è impossibile vedere a priori che qualcosa, che rientra in un concetto fisico di un particolare carattere fenomenico, rientra anche nel corrispondente concetto fenomenico di quel preciso carattere fenomenico. Questo è il motivo per cui è possibile avere (come nel caso di Mary) una completa conoscenza fisica, ad esempio, della bluità fenomenica (ella sa tutto quello che c’è da sapere sulla bluità fenomenica, intesa come concetto fisico) senza avere un concetto fenomenico di bluità e senza conoscere nessuno di questi fatti sotto un concetto fenomenico di bluità. Alcuni hanno sostenuto che la concettualizzazione fenomenica non è esprimibile attraverso il linguaggio (vedi Byrne 2002 e Hellie 2004).
In generale, se un filosofo A afferma che l’argomento del filosofo B non centra il punto, è un elemento a favore di A se riesce a fornire una “teoria dell’errore”, e se può quindi spiegare perché in partenza l’argomento potrebbe sembrare corretto. La Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi afferma di poter individuare un errore all’interno dell’argomento della conoscenza. Data l’indipendenza cognitiva dei concetti fisici e fenomenici della bluità, sembra che possiamo immaginare una situazione in cui Mary sapeva tutto ciò che c’era da sapere prima di uscire dalla stanza, ma non quello di cui è venuta a conoscenza una volta uscita (e ciò può essere usato per implicare che Mary arrivi a conoscere fatti nuovi). Ma, secondo la Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi, questa è un’illusione. Non esiste una situazione del genere. Ciò che Mary apprende una volta uscita dalla stanza è reso vero da un fatto fisico che già conosceva prima di uscire. Alcune versioni della Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi verranno brevemente descritte nelle sezioni seguenti.
4.7 Diverse versioni della Tesi nuova conoscenza / fatti vecchi
Horgan (1984) non fornisce una teoria compiuta dei concetti fenomenici, ma è stato uno dei primi a formulare l’intuizione di base condivisa da tutti o quasi tutti i fautori della Proposta “Nuova conoscenza/fatti vecchi”: grazie alle sue esperienze del blu, Mary arriva a conoscere direttamente la bluità fenomenica (che in realtà è una proprietà fisica delle esperienze) “da una prospettiva esperienziale”, e acquisisce quella che Horgan chiama “la prospettiva ostensiva in prima persona su quella proprietà” (Horgan 1984, 151): Mary è ora in grado di riferirsi alla bluità fenomenica pensando o dicendo ” quel tipo di proprietà” mentre ha, ricorda o immagina un’esperienza di blu e presta attenzione alla sua particolare qualità. Ha così acquisito un nuovo concetto di bluità fenomenica. Usando questo nuovo concetto, può formare nuove credenze (e acquisire nuove conoscenze) sulla bluità fenomenica. In base a questa formulazione, l’idea può sembrare simile alla teoria della contatto diretto di Conee. In entrambe le concezioni, l’evoluzione di Mary consiste principalmente nel pervenire a un contatto diretto della bluità fenomenica da una prospettiva interna. Ma, contrariamente alla tesi di Conee, secondo la Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi la contatto diretto della bluità fenomenica da una prospettiva esperienziale consente al soggetto di formarsi un nuovo concetto di bluità fenomenica e quindi implica la capacità di acquisire nuove credenze.
Un esempio di teoria più esplicita del carattere fenomenico, del contenuto fenomenico e della loro relazione si può trovare in Tye (1995), che propone una teoria rappresentazionalista del carattere fenomenico. Per uno stato, possedere un carattere fenomenico significa rappresentare enti fisici interni o esterni in un modo “astratto” e non concettuale che “risulti adatto a essere usato dal sistema cognitivo” (vedi Tye 1995, 137-144). Secondo Tye, ci sono due tipi di concetti fenomenici: i concetti indicali (un esempio è il concetto che si applica quando si pensa a una particolare tonalità di rosso come a “questa particolare sfumatura”, mentre si ha un’esperienza di rosso) e quelli che chiama “concetti fenomenici predicativi”, che si basano sulla capacità di fare certe discriminazioni. Tye vuole assecondare la naturale intuizione secondo cui Mary prima della sua liberazione non può comprendere appieno la natura della bluità fenomenica (non sa davvero cosa si provi ad avere un’esperienza di blu). Si potrebbe pensare che la sua concezione sia incompatibile con l’intuizione in questione: secondo la sua concezione, la bluità fenomenica ha una natura fisica: ci si potrebbe aspettare dunque che le nature fisiche siano completamente descrivibili in termini fisici e pienamente comprensibili sotto una concettualizzazione fisica. Ma Tye ha una risposta sorprendente: sebbene la bluità fenomenica abbia una natura fisica, una persona non può comprenderla appieno, a meno che non pensi la bluità fenomenica sotto un concetto fenomenico.
Un’altra visione rappresentazionalista del carattere fenomenico è combinata con la Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi in Lycan (1990a) e (1996). La descrizione di Lycan del progresso epistemico di Mary può essere, approssimativamente, resa in questo modo: solo dopo essere uscita dalla stanza Mary può formare “rappresentazioni introspettive di secondo ordine” delle sue esperienze cromatiche. Si potrebbe pensare a una rappresentazione introspettiva come a “un’occorrenza in uno dei linguaggi del pensiero del soggetto, il suo “Introspettivese”. È stato spesso sostenuto che ciò che Mary apprende è in un certo senso “ineffabile”, ovvero che non può essere comunicato nel linguaggio pubblico. Lycan è portato ad una conclusione simile quando illustra la sua teoria computazionale. Dal suo punto di vista, quando Mary ha finalmente un’esperienza di blu “si manifesta l’occorrenza di una parola mentale semanticamente primitiva per il tipo di stato di primo ordine, che viene percepito interiormente”, dove questa parola nel linguaggio del pensiero di Mary ha un “ruolo inferenziale e / o concettuale che è “unico per il suo soggetto”, in quanto “nessun altro soggetto potrebbe dispiegare una rappresentazione funzionalmente simile, il cui designatum fosse quella stessa occorrenza di stato del primo ordine (del soggetto)…” e ne conclude che “la parola introspettiva non sarebbe certamente sinonimo di alcuna espressione primitiva o composta dell’inglese pubblico…” (Lycan 1996, 101).
Papineau (1996) distingue i pensieri sulle esperienze in terza e in prima persona. I pensieri in prima persona implicano l’immaginazione di un’esperienza del tipo rilevante. L’idea di base può essere così esposta: quando Mary viene finalmente rilasciata e, passato un po’di tempo, acquisisce sufficienti esperienze cromatiche, può “riprodurre” le esperienze di blu nella sua immaginazione. Queste immaginazioni sulle esperienze di un tipo particolare possono essere usate per riferirsi a esperienze del tipo in questione per riflettervi. Ovviamente, Mary non poteva avere pensieri in prima persona sulle esperienze cromatiche (non poteva usare le esperienze di blu immaginate per riferirsi e pensare a esperienze di blu) prima di aver avuto esperienze di blu. Una volta uscita dalla stanza, Mary può acquisire nuove credenze: credenze in prima persona sulle esperienze blu. Ma per ogni nuova credenza in prima persona su un determinato tipo di esperienza, ci sarà una delle sue vecchie credenze in terza persona che si riferisce allo stesso tipo di esperienza e che possiede lo stesso contenuto fattuale.
Un altro modo di comprendere i concetti fenomenici è di trattarli come se fossero una tipologia particolare di concetti indicali. Ad esempio, Perry (2001) sostiene che la nuova conoscenza di Mary una volta uscita dalla stanza non rappresenta un problema per il fisicalismo, più di quanto non lo rappresentino pensieri indicali come “Io sono un filosofo” o “Oggi è domenica” (per una difesa di questa posizione si veda anche McMullen 1985 ). Perry tratta la nuova conoscenza di Mary come un caso particolare di credenza dimostrativa (e propone un resoconto delle nuove credenze acquisiste da Mary una volta uscita dalla stanza, basato sulla sua teoria dei pensieri che si riferiscono a chi li pensa in quel modo). Una volta uscita dalla stanza, alla vista del cielo, Mary potrebbe avere un pensiero del tipo “Oh, quindi fare esperienza del blu significa questo“, dove “questo” si riferisce a una proprietà fisica (il carattere fenomenico) della sua attuale esperienza cromatica. Non avrebbe potuto avere una credenza dimostrativa di questo tipo prima di uscire dalla stanza in bianco e nero. Ma, ancora una volta, ciò che rende vero questo pensiero è semplicemente il fatto che le esperienze di blu possiedono la proprietà fisica in questione. Pertanto, non apprende alcun fatto nuovo.
Sono stati sollevati dubbi sulla proposta di Perry nei modi seguenti. In casi normali di riferimento dimostrativo, l’oggetto dimostrato è in qualche modo dato al soggetto epistemico (quando si indica un tavolo e ci si riferisce ad esso dicendo “questo tavolo”, l’oggetto può essere inteso come “il tavolo vicino a me, sulla sinistra “). Ma qual è il modo in cui questo tipo di esperienza viene fornito a Mary, quando pensa alla bluità fenomenica sotto il concetto dimostrativo “questo tipo di esperienza”? Non può essere ciò che si prova quando si fa un’esperienza con quella proprietà, poiché questa soluzione, così potrebbe dire qualcuno, introduce caratteri fenomenici di caratteri fenomenici e quindi introduce nuovamente il problema originale. Forse “il tipo di esperienza che sto avendo” è il candidato ideale. Ma ci sono problemi anche con questa proposta (vedi Chalmers 2002). Ci sono anche problemi nel dire che il concetto dimostrativo è “sottile”, nel senso che non ha una modalità di presentazione associata ad esso (per alcuni di questi problemi vedi Demircioglu 2013, 263–269).
Robert Stalnaker (2008) solleva ulteriori dubbi riguardo al modo in cui Perry analizza la nuova conoscenza di Mary. Basandosi su una distinzione tra le due fasi del progresso epistemico di Mary (vedi la Sezione 3.3 sopra), egli sostiene che i casi in cui si acquisiscono credenze dimostrative, che Perry confronta con la nuova conoscenza di Mary, sono simili alla seconda fase del progresso di Mary, ma “è nella fase uno che ha luogo il progresso cognitivo problematico – l’apprendere “che cosa si prova” a vedere il rosso” (2008, 44).
Stalnaker suggerisce un modo alternativo per cui la nuova conoscenza di Mary sarebbe di carattere dimostrativo. In base a questa proposta, Mary acquisisce essenzialmente informazioni contestuali, in cui “il contenuto di ciò che è espresso o creduto in un contesto non è trasportabile dal contesto in cui è espresso o creduto” (2008, 81). Come esempio di tale tipo di informazione, Stalnaker descrive un artificiere esperto nel disinnescare le bombe che indica un punto per terra e dice “Una bomba è sepolta lì, e se non la disinneschiamo ora esploderà entro cinque minuti” (2008, 85). Quest’informazione, suggerisce Stalnaker, non poteva essere conosciuta da qualcuno che non si trovasse in quella situazione in quel preciso momento, anche se si fossero conosciute le coordinate esatte di dove si trovava la bomba e quando questa sarebbe esplosa. Daniel Stoljar (2011) sostiene che la conoscenza fenomenica non è essenzialmente contestuale. A difesa di questa affermazione, suggerisce che la differenza tra Mary, prima e dopo essere uscita dalla stanza, e la differenza tra l’artificiere esperto nel disinnescare bombe e chiunque non fosse lì con lei quando ha pronunciato la frase, non possono essere messe sullo stesso piano. Il pensiero che l’artificiere ha espresso nella sua frase non poteva nemmeno essere udito da qualcuno che non fosse lì presente in quel momento; è per questo motivo che qualcuno che non era lì non poteva sapere ciò che sapeva l’artificiere. Per contro, Stoljar afferma che “il fatto che Mary ha appreso una volta uscita dalla stanza avrebbe potuto comprenderlo prima di uscire (ad esempio, può chiedersi se ciò valga o meno)” (2011, 441). Ciò suggerisce che Mary apprenda, quando esce dalla stanza in bianco e nero, appunto qualcosa che non è essenzialmente contestuale, almeno non nel senso che ha in mente Stalnaker.
Un’altra preoccupazione circa le descrizioni dimostrative è che non sembrano rendere conto del modo in cui il carattere soggettivo stesso è presente nella mente di chi sta pensando quando impiega un concetto fenomenico di quel carattere. Questa preoccupazione viene talvolta posta in termini di conoscenza: il modo specifico in cui chi pensa conosce il referente del suo pensiero nell’uso di concetti fenomenici non sembra essere catturato da questo resoconto dimostrativo (vedi Levine 2007; Howell 2007, 164–166 ). Sono stati fatti diversi tentativi per rispondere a obiezioni di questo tipo. Papineau (2002) e Balog (2012a) sostengono che l’ ”intimità” cognitiva di cui dare conto sia ben spiegata da una teoria citazionale dei concetti fenomenici: nei pensieri che riguardano concetti fenomenici, le occorrenze esperienziali sono usate per riferirsi al tipo a cui appartengono quelle occorrenze. Levine (2007) sostiene che anche queste teorie raffinate non spiegano il modo intimo e specifico in cui il pensante è in contatto coi referenti dei concetti fenomenici. Contrariamente a ciò, Levin (2007) non vede alcuna necessità di “abbellire” la semplice teoria dimostrativa originale. Mentre l’attuale posizione di Balog è una versione elaborata della teoria citazionale, Papineau (2007) l’ha abbandonata e ora sostiene che i concetti fenomenici siano casi speciali di concetti percettivi, in cui tali concetti percettivi non implicano una dimostrazione.
Una visione molto influente sui concetti fenomenici che risponde all’argomento della conoscenza sostenendo che Mary acquisisce nuova conoscenza, ma senza apprendere fatti nuovi, è sviluppata in Loar (1990/1997): i concetti fenomenici sarebbero concetti di riconoscimento. Possedere il concetto fenomenico della bluità significa essere in grado di riconoscere le esperienze della bluità, quando le si ha. Il concetto di riconoscimento di bluità si riferisce direttamente al suo referente (la proprietà fisica della bluità), dove questo significa (nella terminologia di Loar) che vi è un’altra proprietà (nessuna proprietà di quella proprietà) coinvolta nella fissazione del riferimento. Dal punto di vista di Loar, il concetto di riconoscimento della bluità fenomenica si riferisce alla bluità fenomenica (come proprietà fisica) in virtù del fatto che è “attivato” da quella proprietà. Si è dubitato che l’immediatezza nel senso di Loar fornisca una spiegazione di ciò che si potrebbe chiamare contatto diretto: questo per via del modo in cui il carattere fenomenico è presente nella mente quando chi pensa impiega i concetti fenomenici (vedi Levine 2007). White (2007) sostiene che la descrizione da lui fornita non può spiegare in maniera soddisfacente il carattere a posteriori delle affermazioni sull’identità mente-cervello.
4.8 Obiezioni contro la Tesi nuova conoscenza / fatti vecchi
Un’obiezione alla Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi può essere elaborata come segue. In casi standard, se un soggetto non conosce in un certo modo un dato fatto che conosce in qualche altro modo, ciò può essere spiegato attraverso due modalità di presentazione: il soggetto conosce il fatto sotto una certa modalità di presentazione e non lo conosce sotto un’altra. Quindi, per esempio, una persona può conoscere il fatto che Venere è un pianeta in base alla modalità di presentazione associata a “la stella del mattino è un pianeta”, e non arrivare a conoscere lo stesso fatto in base alla modalità di presentazione associata a “la stella della sera è un pianeta”. In questo caso particolare, come in molti altri, la differenza nella modalità di presentazione implica due diverse proprietà utilizzate per fissare il referente. In una modalità di presentazione, Venere viene presentata come il corpo celeste visibile in tarda mattinata (o con qualche proprietà simile), mentre nell’altra modalità di presentazione l’oggetto viene presentato come il corpo celeste visibile nella prima parte della sera.
Se la Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi prevede due modalità di presentazione di questo tipo, allora non può essere usata per difendere il fisicalismo, perché questo tipo di spiegazione del presunto doppio accesso epistemico a fatti riguardanti tipi fenomenici reintrodurrebbe proprietà non-fisiche ad un livello superiore: si dovrebbe descrivere il soggetto come se si riferisse al tipo fenomenico in questione attraverso qualche proprietà fisica (nel caso in cui creda al fatto in questione in base al suo modo fisico di presentazione) e come se si riferisse a quel tipo fenomenico utilizzando una proprietà non-fisica (nel caso in cui creda al fatto in questione in base alla sua modalità di presentazione fenomenica).
Diversi autori hanno sostenuto che le diverse modalità di presentazione in questione, nel caso di credenze sugli stati fenomenici, comportano l’introduzione di diverse proprietà per fissare il riferimento e che pertanto tale proposta non funziona. Argomenti di questo tipo si trovano in Lockwood (1989, cap. 8) e McConnell (1994). White (2007) sviluppa l’obiezione in dettaglio. Block (2007) fornisce una risposta dettagliata a White (2007) in base a una distinzione tra ciò che definisce le modalità di presentazione cognitive e metafisiche. Chalmers (1996, 2002, 2010) replica in maniera simile a White (2007) utilizzando il suo quadro di intensioni primarie e secondarie. In tale quadro, le intensioni primarie descrivono il modo in cui un concetto seleziona il suo referente nel mondo attuale e l’indipendenza cognitiva dei concetti fenomenici, e di quelli fisici è spiegata dalle loro diverse intensioni primarie. Se un certo fatto particolare può essere conosciuto in una modalità di presentazione fisica e in una modalità di presentazione fenomenica, allora i due oggetti di conoscenza coinvolgono due concetti (un concetto fenomenico e uno fisico) con diverse intensioni primarie e queste diverse intensioni primarie corrispondono a diverse proprietà.
Un quadro bidimensionale viene utilizzato in modo diverso in Nida-Rümelin (2007) per sviluppare l’idea che la natura delle proprietà fenomeniche sia presente nel soggetto pensante che pensa, quando questi utilizza le proprietà fenomeniche – un’idea che porta a concludere che la Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi è sbagliata. Questa idea è suggerita anche da Philip Goff (2017). Egli suggerisce che l’argomento della conoscenza di per sé non confuta il fisicalismo perché non riesce a superare la Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi. Tuttavia, le cose stanno in maniera diversa se il concetto fenomenico che Mary acquisisce è trasparente (cioè se rivela la natura o l’essenza della proprietà fenomenica che lo soddisfa):
“In questo caso la nuova conoscenza di Mary equivale alla conoscenza della natura delle esperienze del colore rosso, ma se il fisicalismo puro è vero, Mary la conosceva già completamente una volta conosciute le verità puramente fisiche, e quindi non dovrebbe esserci più nulla per lei da imparare sulla loro natura (2017, 74–75; vedi anche Fürst 2011, 69–70; Demircioglu 2013, 274–275)”.
Un argomento generale contro la strategia materialista che fa appello ai concetti fenomenici è sviluppato in Chalmers (2004; 2007); per una discussione critica vedi Balog (2012b).
Chiunque desideri argomentare in questo modo, in base a cui le due modalità di presentazione comportano l’introduzione di due diverse proprietà per fissare il riferimento, deve fare i conti con la proposta di Loar (vedi la sezione 4.7). Loar evita il problema di avere due proprietà per fissare il riferimento affermando che i concetti fenomenici si riferiscono direttamente al loro referente. Si è argomentato contro Loar che la sua spiegazione causale di come i concetti fenomenici riescano a riferirsi direttamente al loro referente (cioè per il fatto che è indotto da essi) non possa descrivere in maniera adeguata il particolare ruolo cognitivo dei concetti fenomenici (vedi McConnell 1994 e White 2007).
Un’ultima questione riguardante sia la Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi sia lo stesso l’argomento della conoscenza è se esistano effettivamente i concetti fenomenici. Derek Ball (2009) e Michael Tye (2009) argomentano che non esistono concetti del genere, almeno per come sono stati definiti sopra: in particolare, entrambi negano l’affermazione (4) delineata nella Sezione 4.6, secondo cui un soggetto può possedere concetti fenomenici solo se ha, o ha avuto, delle esperienze del tipo rilevante. Ball e Tye si appellano a ricerche sull’esternismo sociale per quanto riguarda il contenuto dei nostri concetti, per sostenere che anche prima di lasciare la stanza Mary possiede gli stessi concetti che utilizza per pensare alle proprie esperienze una volta uscita dalla stanza. In particolare, possiede tali concetti in maniera “deferente”, per il fatto di interagire con la sua comunità linguistica; una parte cruciale dell’esternismo sociale sul contenuto è che si possono possedere concetti in modo deferente, anche se si ignora in larga parte la natura di ciò che soddisfa questi concetti (Ball 2009, 947–954; Tye 2009, 63–70).[6] Questa conclusione minaccia di indebolire la Tesi nuova conoscenza/fatti vecchi, ma Ball suggerisce che così indebolisce anche l’argomento della conoscenza stesso, poiché esso dipende dal fatto che esistano i concetti fenomenici (2009, 940-943).
Torin Alter (2013) risponde a questi argomenti concentrandosi sulla distinzione tra il possesso deferente e non-deferente di concetti (quest’ultimo è detto padronanza concettuale). Egli suggerisce che è la padronanza dei concetti fenomenici, rispetto al semplice possesso deferente, ciò che conta per l’argomento della conoscenza: “Mary compie un progresso epistemico quando lascia la stanza perché arriva a padroneggiare, o a possedere in modo non-deferente, concetti fenomenici del colore” (2013, 486) . Chi difende l’argomento della conoscenza può affermare che la padronanza di un concetto fenomenico richiede effettivamente di avere esperienze del carattere fenomenico rilevante.
4.9 L’argomento della conoscenza e l’oggettivismo
L’argomento della conoscenza è stato tradizionalmente inteso come un argomento contro il fisicalismo o forse contro le versioni riduttive di fisicalismo. Ma un influente approccio alternativo vede l’argomento non come contro il fisicalismo in sé, bensì contro una posizione diversa che può essere definita col termine “oggettivismo”. [7] L’oggettivismo è l’idea secondo cui una descrizione oggettiva di ciò che esiste può essere completa; non ci sono aspetti della realtà che possono essere compresi solo vivendo esperienze di un certo tipo. Questa nozione è strettamente correlata alla caratterizzazione della natura fisica degli organismi fornita da Nagel, secondo cui essa consiste di “un dominio di fatti oggettivi par excellence– il tipo che può essere osservato e compreso da molti punti di vista e da individui con sistemi percettivi diversi” (1974, 442) . Da questo punto di vista, l’idea dell’esperimento mentale di Jackson è mostrare che Mary impara qualcosa che può essere conosciuto solo facendo un’esperienza di un certo tipo (ad esempio, un’esperienza percettiva). Se ciò è corretto, allora dimostra che nessuna descrizione obiettiva di ciò che esiste può essere completa. Per come lo formula Howell, l’argomento inteso in questo modo si svolge come segue:
“prima di lasciare la stanza, Mary conosceva tutte le informazioni oggettive sul mondo. Quando ha lasciato la stanza, ha acquisito un’ulteriore comprensione del mondo. Pertanto, tutte le informazioni oggettive sul mondo sono insufficienti per una sua totale comprensione” (2007, 147).
Numerosi sostenitori di questa interpretazione dell’argomento della conoscenza suggeriscono che sia compatibile con una forma specifica di fisicalismo, in base alla quale tutti i fatti sono fisici o metafisicamente necessitati da fatti microfisici, mentre alcuni fatti possono essere compresi solo attraverso esperienze specifiche (vedi, ad esempio, Kallestrup 2006; Howell 2007; per formulazioni leggermente diverse, vedi Crane 2003; Zhao 2012). Detto questo, vale la pena chiedersi come debba essere compreso il termine “fisico”, in modo tale che i fatti che possono essere conosciuti solo se si hanno determinate esperienze possano contare come fatti fisici. Inoltre ci si può domandare se l’idea per cui i fatti sono fisicamente o metafisicamente necessitati dai fatti microfisici conti come una forma di fisicalismo. È stato sostenuto che questa opinione è compatibile con posizioni non-fisicaliste, come l’emergentismo o alcune forme di non-naturalismo etico (vedi Horgan 1993, 559-566; 2010, 311-314; Crane 2010; per la discussione, vedi Stoljar 2017, sezione 9).
5. La prospettiva dualista sull’argomento della conoscenza
L’argomento della conoscenza non è stato molto discusso a partire da una prospettiva dualista. Ciò non sorprende, dato il numero esiguo di filosofi contemporanei che difendono una posizione di questo tipo (per un’eccezione di rilievo si veda Chalmers (1996); l’argomento della conoscenza è discusso alle pagine 140-146). Esistono due possibili strategie per un dualista che desidera difendere l’argomento della conoscenza. Il primo tipo è meramente difensivo o “distruttivo”, nel senso che cerca di rifiutare una ad una le proposte teoriche che sono state avanzate dai fisicalisti come obiezioni contro l’argomento della conoscenza. Il secondo è più “costruttivo”, in quanto mira a sviluppare un resoconto dualista alternativo dei concetti fenomenici, delle proprietà fenomeniche e delle loro relazioni, in modo tale che Mary apprenda fatti nuovi e non-fisici quando esce dalla stanza. Esempi (o quantomeno esempi parziali) della prima strategia possono essere trovati occasionalmente in letteratura (si confronti Warner 1986, Gertler 1999, Raymont 1995, 1999 e Connell 1994). Esempi della seconda sono difficili da trovare, ma Chalmers (1996, 2002) e Nida-Rümelin (2007) sono difensori della seconda strategia. Sfruttando il suo quadro di intensioni primarie e secondarie, il dualista sviluppa un resoconto positivo di quelli che chiama “concetti fenomenici puri”, che possono essere descritti come un tentativo di incorporare l’originale e spontanea intuizione per cui nel caso dei qualia (caratteri fenomenici) non vi è distinzione tra apparenza e realtà. In altre parole, i qualia “rivelano la propria natura” nell’esperienza.
L’idea intuitiva appena menzionata è stata espressa in diversi modi. Alcuni sostengono che i qualia “non abbiano lati nascosti”. Altri sostengono che i qualia non siano dei termini di genere naturale, in quanto non spetta alle scienze dirci cosa significhi avere un’esperienza di un tipo particolare (sappiamo a che cosa corrispondano i qualia soltanto provandoli e partecipando della qualità in questione). È abbastanza chiaro che un resoconto di questa idea intuitiva deve essere uno degli ingredienti per una difesa dualista dell’argomento della conoscenza. Nida-Rümelin (2007) sviluppa una nozione tecnica di proprietà di “presa” per aiutare i dualisti che obiettano contro il materialismo, partendo dal presupposto che, nel caso speciale dei concetti fenomenici, la relazione che chi pensa ha con la proprietà che concettualizza è più intima che in altri casi: chi pensa comprende in che cosa consista essenzialmente la proprietà. Quest’intuizione può essere utilizzata per fermare le obiezioni più familiari contro l’argomento della conoscenza, in particolare quelle che rientrano nella categoria Nuova conoscenza/fatti vecchi. Un’idea di base simile ma formulata in un diverso quadro teorico è elaborata in Stephen White (2007).
Secondo l’opinione più diffusa, il problema più grave per il dualismo delle proprietà è il pericolo di incorrere nell’epifenomenismo. Se i caratteri fenomenici sono proprietà non-fisiche e se ogni evento fisico ha una causa fisica, e se escludiamo la possibilità di sovradeterminazione (in base a cui qualcosa ha per causa due cause differenti, che sono entrambe sufficienti), allora, molto probabilmente, se uno stato mentale ha o meno un particolare carattere fenomenico, non può avere alcuna rilevanza causale. Ma se i qualia sono causalmente inerti, come può una persona sapere di avere un’esperienza per mezzo di un particolare carattere fenomenico? Molti ritengono ovvio che una persona non può sapere che ora ha un’esperienza di blu a meno che essa non svolga un ruolo causale rilevante nella formazione della sua credenza in questione. Questo particolare problema è stato formulato come un’obiezione contro l’argomento della conoscenza in Watkins (1989). Fino a qualche tempo fa Jackson era uno dei pochissimi filosofi che abbracciavano l’epifenomenismo. Tuttavia ha cambiato idea. Jackson (1995) sostiene che la conoscenza dei qualia è impossibile se essi sono epifenomenici e conclude che deve esserci qualcosa di sbagliato nell’argomento della conoscenza. In Jackson (2003) e Jackson (2007), egli sostiene che l’argomento è sbagliato nel presupporre un resoconto erroneo dell’esperienza sensoriale e che si può rispondere all’argomento sostenendo una forma forte di rappresentazionalismo: l’idea è che trovarsi in uno stato fenomenico significa rappresentare delle proprietà oggettive, tali per cui le proprietà rappresentate e la rappresentazione stessa possono essere descritte secondo un approccio completamente fisicalista. Jackson ammette che esiste un modo fenomenico specifico di rappresentare, ma insiste sul fatto che tale modo può essere spiegato in termini fisici. I dubbi su quest’ultima affermazione sono stati sviluppati in Alter (2007). Altre possibili reazioni alla minaccia dell’epifenomenismo per il dualismo sono costituti dallo scetticismo sul fatto che un dualista possa abbracciare questa posizione, oppure sviluppare un resoconto della conoscenza dei propri stati fenomenici che non implichi una relazione causale tra i qualia e la conoscenza fenomenica di essi (vedi Chalmers 2002).
6. Osservazioni conclusive
Una valutazione appropriata dell’argomento della conoscenza rimane tutt’ora controversa. L’accettabilità della seconda premessa P2 (“Mary non possiede conoscenza fattuale prima di uscire dalla stanza”) e delle inferenze da P1 (“Mary ha una conoscenza fisica completa prima di uscire dalla stanza”) a C1 (“Mary conosce tutti i fatti fisici”) e da P2 a C2 (“Mary non conosce alcuni fatti prima di uscire dalla stanza”) dipendono da questioni tecniche controverse riguardanti (a) una teoria appropriata dei concetti di proprietà e la loro relazione con le proprietà che esprimono e (b) una teoria appropriata del contenuto delle credenze. Si può prevedere che la discussione intorno all’argomento della conoscenza non si esaurirà molto presto.
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Strumenti accademici
- Come citare questa voce
Vedi la versione PDF di questa voce (in inglese) presso: Friends of the SEP Society.
Vedi questo stesso argomento presso il progetto: Internet Philosophy Ontology Project (InPhO).
Bibliografia arricchita per questa voce presso PhilPapers, con link al suo database.
Altre risorse in Internet
• Nordby, Knut, ‘Vision in a Complete Achromat: A Personal Account’, online paper.
• Bibliography on The Knowledge Argument, edited by David Chalmers.
Voci correlate
dualism | epiphenomenalism | physicalism | propositional attitude reports | qualia | self-knowledge
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