Nella foto: Donald Davidson (1917-2003).
Traduzione di Mattia Corsini, Giacomo Penna e Francesca Pellegrino,.
Revisione di Filippo Pelucchi, pagina originale di Steven Yalowitz.
Versione: Inverno 2020.
The following is the translation of Steven Yalowitz’s entry on “Anomalous Monism” in the Stanford Encyclopedia of Philosophy. The translation follows the version of the entry in the SEP’s archives at https://plato.stanford.edu/archives/win2020/entries/anomalous-monism/ . This translated version may differ from the current version of the entry, which may have been updated since the time of this translation. The current version is located at <https://plato.stanford.edu/entries/anomalous-monism>. We’d like to thank the Editors of the Stanford Encyclopedia of Philosophy for granting permission to translate and to publish this entry on the web.
Il monismo anomalo è una teoria sullo statuto scientifico della psicologia, sullo statuto fisico degli eventi mentali e sulla relazione che sussiste tra le tematiche appena enunciate, per come è stata sviluppata da Donald Davidson. Questa teoria afferma che la psicologia non può essere una scienza come la fisica elementare, in quanto, in linea di principio, non è in grado di formulare delle leggi che non ammettano eccezioni per prevedere o spiegare i pensieri e le azioni umane (anomalia del mentale). Inoltre, essa sostiene che i pensieri e le azioni devono essere fisici (monismo o teoria dell’identità delle occorrenze). Quindi, secondo il monismo anomalo, la psicologia non può essere ridotta alla fisica, ma deve comunque condividere un’ontologia fisica.
Sebbene nessuna di queste affermazioni, di per sé, rappresenti una novità, la loro relazione, secondo il monismo anomalo, è del tutto originale. Infatti, è proprio perché non possono esserci leggi così rigide che governano gli eventi mentali che quest’ultimi devono essere identici agli eventi fisici. In effetti, le prime teorie dell’identità mente /cervello avevano già sostenuto che le affermazioni riguardanti l’identità di particolari eventi mentali e fisici (occorrenze) dipendevano, in realtà, dalla scoperta di relazioni tra proprietà mentali e fisiche (tipi). Si riteneva dunque che l’evidenza empirica delle leggi psicofisiche fosse richiesta per particolari affermazioni riguardanti un’identità delle occorrenze. Pertanto, le affermazioni sull’identità delle occorrenze dipendevano dall’identità di tipo. La posizione di Davidson è completamente diversa, in quanto non richiede che vi siano evidenze empiriche e non dipende dal fatto che vi siano relazioni tra proprietà fisiche e mentali, ma giustifica l’identità delle occorrenze degli eventi fisici e mentali sostenendo l’impossibilità di un’identità di tipo tra proprietà mentali e fisiche. (Per la discussione delle posizioni filosofiche collegate al monismo anomalo, vedi l’integrazione presente nella sezione “Posizioni correlate”.)
Il fascino del monismo anomalo è dovuto a queste caratteristiche enigmatiche, a una struttura argomentativa relativamente immediata e al suo tentativo di riunire una metafisica intuitivamente accettabile (monismo) con una comprensione elaborata della relazione tra schemi esplicativi psicologici e fisici (anomalismo). Ciascuno dei suoi espliciti presupposti viene accettato, se preso singolarmente, da posizioni che si oppongono al monismo, ma, presi insieme, essi mostrano come il monismo sia effettivamente necessario.
- 1. L’argomento a favore del monismo anomalo
- 2. Premessa I: il principio di interazione
- 2.1 Eventi fisici e mentali
- 2.2 Causalità mentale
- 2.3 Anomalia psicologica
- 3. Premessa II: Il principio di causalità
- 3.1 Leggi rigide
- 3.2 Giustificazione del principio di causalità
- 3.3 Obiezioni al principio di causalità
- 4. Premessa III: il principio dell’anomalismo
- 4.1 Gli argomenti dell’olismo / indeterminazione
- 4.2 Gli argomenti di razionalità
- 4.2.1 I principi normativi vs i principi descrittivi (Kim)
- 4.2.2 Immutabilità / non-modificabilità e razionalità forte come ideale (McDowell)
- 4.2.3 L’argomento del contesto / della complessità (McDowell e Child)
- 4.3 L’argomento della definizione causale
- 5. Monismo
- 5.1 Identità delle occorrenze
- 5.2 Obiezioni all’identità delle occorrenze
- 5.3 La sopravvenienza è coerente con l’anomalia del mentale?
- 6. Le obiezioni dell’epifenomenismo
- 6.1 Proprietà mentali e rilevanza esplicativa
- 6.2 Il relativismo dell’interesse e la strategia della doppia spiegazione
- 6.3 La costituzione causale delle ragioni
- 7. Conclusione
- Bibliografia
- Strumenti accademici
- Altre risorse in Internet
- Voci correlate
1. L’argomento a favore del monismo anomalo
La struttura fondamentale dell’argomento a favore del monismo anomalo è la seguente. Partiamo dal presupposto plausibile che alcuni eventi mentali, come credere che stia piovendo, sono causati da determinati eventi fisici, come in questo caso la pioggia. Allo stesso modo, si può ipotizzare che alcuni eventi fisici, come sollevare il braccio, siano causati da determinati eventi mentali, come la decisione di grattarsi la testa. Davidson lo chiama “principio di interazione causale”. Lo si chiamerà “principio di interazione”:
Principio di interazione: alcuni eventi mentali interagiscono causalmente con alcuni eventi fisici.
Davidson sostiene che tale principio è evidente e che non necessita di giustificazione, ma si vedrà che le motivazioni per sostenerlo si possono recuperare in alcune parti dei suoi scritti (2.2). A questo principio di interazione si aggiunge il requisito che tutte le interazioni causali e particolari rientrano all’interno di leggi rigide – leggi con antecedenti completamente articolati che garantiscono alcune conseguenze completamente articolate (per caveat e dettagli, vedi 3.1). Davidson lo chiama “principio del carattere nomologico della causalità”. Lo si chiamerà “principio di causalità”:
Principio di causalità: gli eventi collegati da una relazione di causa ed effetto rientrano all’interno di leggi rigide.
Anche questo principio di causalità fu inizialmente assunto senza argomentazioni da parte di Davidson, anche se si vedrà più avanti (3.2) come in seguito cercò di motivarlo. Ora, i presupposti considerati fino a questo momento sembrano puntare direttamente a favore dell’esistenza di rigorose leggi psicofisiche: se un particolare evento mentale m1 è causato da un particolare evento fisico p1, allora, per via del principio di causalità, sembra seguire necessariamente che debba esistere una legge rigida [strict law] della forma “P1 → M1”. Cioè, ogni volta che si verificano eventi di tipo P1, devono seguire eventi di tipo M1. Tuttavia, Davidson afferma in seguito che non possono esistere leggi del genere. Egli lo chiama “principio dell’anomalia del mentale” e sostiene che le proprietà mentali non sono adatte per essere incluse all’interno di leggi rigide di alcun tipo. Lo si chiamerà “principio dell’anomalismo”:
Principio dell’anomalismo: non esistono leggi rigide sulla base delle quali gli eventi mentali possono prevedere, spiegare, essere previsti o essere spiegati da altri eventi.
Davidson ha offerto ampie riflessioni sulla razionalità e spiegazioni razionalizzanti, che presumibilmente costituiscono la natura stessa delle proprietà mentali, a sostegno del principio dell’anomalismo (4.2). Tutto questo sarà discusso in dettaglio di seguito.
Con il principio di interazione, il principio di causalità e il principio dell’anomalismo appena enunciato, possiamo vedere che c’è una difficoltà che necessita di risoluzione. Dal principio di interazione e dal principio di causalità segue che devono esistere leggi rigide entro cui inserire l’interazione tra eventi fisici e mentali, mentre il principio dell’anomalismo implica che non esistono leggi psicofisiche del genere. Come si possono sostenere simultaneamente tutti e tre i principi?
Per risolvere tale difficoltà, Davidson ha osservato che sebbene il principio di causalità richieda l’esistenza di leggi rigide, esso non specifica il vocabolario in cui tali leggi devono essere formulate. Se un particolare evento fisico p1 causa un particolare evento mentale m1, questa interazione deve essere inserita all’interno di una legge rigida, ma non esistendone una della forma “P1 → M1”, allora dovrà esistere un’altra legge, “?1 →?2”, che copre la relazione causale tra p1 e m1. Cioè, m1 e p1 devono istanziare proprietà adatte per essere incluse all’interno di leggi rigide, ma poiché sappiamo che M1 non è una proprietà di questo tipo, m1 dovrà istanziare qualche altra proprietà. L’ingegnosa deduzione di Davidson, a questo punto, è che questa proprietà debba essere fisica, poiché solo le scienze fisiche riescono ad offrire un sistema chiuso di leggi rigide (Davidson 1970, 223-24; sulla nozione di sistema chiuso, vedi 5.1 e l’integrazione sulla chiusura causale del mondo fisico nell’argomento a favore del monismo). Pertanto, ogni evento mentale che interagisce causalmente deve essere identico a un’occorrenza di qualche evento fisico – da quanto appena enunciato, segue la definizione di monismo (5.1):
Monismo: ogni evento mentale che interagisce causalmente è identico a un’occorrenza di qualche evento fisico.
Per argomentare quanto appena sostenuto, Davidson si basa su una distinzione fondamentale, ossia quella tra spiegazione e causalità. Infatti, mentre la spiegazione è, intuitivamente, una nozione intensionale, in quanto è attenta al modo in cui gli eventi vengono descritti, la causalità, al contrario, è una nozione estensionale, dal momento che si ricava prendendo in considerazione coppie di eventi indipendentemente da come essi vengono descritti. Ad esempio, il crollo di un ponte si spiega attraverso l’esplosione di una bomba. Quell’esplosione, si suppone, è stato l’evento più interessante della giornata. Dunque, mentre l’evento più interessante della giornata ha causato il crollo del ponte, “l’evento più interessante della giornata” non spiega quel crollo. Pertanto, dire a qualcuno che è stato l’evento più interessante della giornata a spiegare il crollo del ponte non fornirebbe una spiegazione vera e propria – ciò non aiuterebbe la gente a comprendere il crollo del ponte – anche se ne individuerebbe la causa reale. Il modo in cui viene descritta la causa è rilevante per stabilire se sia presente o meno una spiegazione. Le cause e gli effetti possono essere individuati in modo accurato utilizzando una varietà di espressioni, molte delle quali non sono esplicative. Come si vedrà, la distinzione tra causalità e spiegazione è cruciale per il monismo anomalo (6.1–6.3; vedi anche la discussione sull’intensionalità delle relazioni deterministiche nella sezione “Questioni correlate: 3.1 Monismo anomalo e teoria della libertà di Kant”).
Infine, per alleviare alcune preoccupazioni circa l’adeguatezza della forma di fisicalismo che stava sostenendo, Davidson ha accolto una relazione di dipendenza che sostiene la sopravvenienza del mentale sul fisico, e, successivamente, ha affermato che quest’ultima era coerente con il monismo anomalo (5.1, 5.3) (Davidson 1970, 214; 1993; 1995a, 266):
Sopravvenienza del mentale sul fisico: se due eventi condividono tutte le loro proprietà fisiche, condivideranno anche tutte le loro proprietà mentali.
Nei paragrafi seguenti (2–5), ogni fase di questo argomento sarà analizzata e discussa separatamente, mantenendo, però, sempre un occhio all’argomento generale. Nel paragrafo 6, verrà spiegata e discussa un’obiezione fondamentale che viene mossa al monismo anomalo: questa sostiene che tale teoria sembra incapace di spiegare il potere causale / esplicativo di eventi e proprietà mentali. (Per una discussione sulla relazione tra il monismo anomalo e altri due pilastri della filosofia di Davidson, ossia il suo rifiuto nei confronti del relativismo concettuale e il suo impegno verso l’esternismo semantico – vedi il supplemento nella sezione “Questioni correlate”.)
2. Premessa I: il principio di interazione
Il principio di interazione afferma che alcuni eventi mentali interagiscono causalmente con alcuni eventi fisici. In questa sezione si esaminerà brevemente una serie di questioni relative a tale principio: come vengono demarcati gli eventi mentali e fisici, la natura degli eventi stessi, la portata del principio di interazione, la relazione tra eventi mentali e la causalità. Infine, l’uso del principio di interazione nell’originare una componente del dell’anomalia del mentale – l’anomalismo psicologico, secondo il quale non possono esistere leggi rigide puramente psicologiche. L’anomalismo psicologico deve comunque essere distinto dall’anomalismo psicofisico, secondo il quale non possono esistere leggi psicofisiche rigide. Quest’ultima tesi sarà analizzata in modo dettagliato nella nostra discussione relativa al principio dell’anomalismo (4).
2.1 Eventi fisici e mentali
Davidson riduce la classe degli eventi mentali di cui si occupa il monismo anomalo a quella degli atteggiamenti proposizionali: stati ed eventi contenenti verbi psicologici come “crede”, “desidera”, “intende” e altri che sottendono la proposizione “che-“, la quale mette in relazione i soggetti con contenuti proposizionali come la frase “fuori sta piovendo”. Pertanto, il monismo anomalo non si occupa dello stato di alcuni eventi mentali come ad esempio il dolore, il solletico e simili, vale a dire di eventi mentali “coscienti” o senzienti. Invece, si occupa esclusivamente di eventi mentali sapienti – pensieri con contenuto proposizionale privi di una “sensazione” distintiva.
Sebbene tradizionale e intuitivo, questo modo di dividere il dominio del mentale non è privo di controversie. In generale, Davidson esprime un certo scetticismo sulla possibilità di formulare una definizione chiara e generale della classe dei fenomeni mentali (Davidson 1970, 211). Inoltre, è anche dubbioso riguardo all’idea di attribuire stati mentali ad alcuni concetti, anche se non interpretati da essi, (Davidson 1974a), che è il modo in cui i filosofi hanno spesso concepito i fenomeni di coscienza. Tuttavia, per gli scopi attuali, la classe degli atteggiamenti proposizionali sarà sufficiente come criterio distintivo del mentale. Uno dei motivi principali per limitare in questo modo la portata del monismo anomalo, come si vedrà (4.2), risiede nel fatto che è lo stato razionale degli eventi mentali rilevanti il responsabile del principio dell’anomalia del mentale, come sostiene a più riprese Davidson. Tradizionalmente si pensa che eventi coscienti si verifichino in animali non-razionali: questa è una posizione con la quale Davidson mostra una certa simpatia (Davidson 1985a). Tali eventi sembrano dunque cadere al di fuori del dominio del razionale, e di conseguenza al di fuori della portata dell’argomento di Davidson.
Davidson si dimostra ancor meno disponibile ad offrire un criterio distintivo per il “fisico” (Davidson 1970, 211). Un tentativo poco convinto risiede nell’affermazione secondo cui
[L]a teoria fisica promette di fornire un sistema chiuso e completo che contribuisce a produrre una descrizione unica e standardizzata di ogni evento fisico, formulata in un vocabolario riconducibile a leggi. (Davidson 1970, 224)
Quella appena enunciata è nella migliore delle ipotesi una constatazione su un qualche linguaggio futuro della “fisica” – la fisica “vera” – e incorpora un requisito della chiusura causale del mondo fisico, il quale è problematico per alcuni aspetti del monismo anomalo (vedi il supplemento sulla chiusura causale del mondo fisico nell’argomento a favore del monismo anomalo). Probabilmente è meglio considerare una descrizione “fisica” semplicemente come quella che prenderà piede nel linguaggio di una scienza futura, la quale dovrà essere simile a quello che noi intendiamo con il termine “fisica” oggi, ma senza nessuna delle sue inadeguatezze. Una componente importante di tali descrizioni è la loro capacità di essere presenti all’interno di leggi di natura rigide (vedi 3.1). Sebbene ciò non si possa mettere in discussione per i termini fisici, rimane una questione aperta per i termini mentali e Davidson argomenterà (4) a favore di una risposta negativa.
Nel momento in cui Davidson ha sostenuto per la prima volta il monismo anomalo, egli ha sottoscritto un criterio causale di individuazione degli eventi, secondo il quale due eventi (descrizioni degli eventi) sono identici (co-riferiscono) se condividono le stesse cause e gli stessi effetti (Davidson 1969). Successivamente, egli giunse a respingere tale criterio per appoggiarne un secondo, il quale afferma che gli eventi sono identici se e solo se occupano la stessa regione spazio-temporale (Davidson 1985b). La differenza tra questi due punti di vista, tuttavia, non sarà tenuta in conto all’interno di tale discussione, in quanto non sembrerebbe influenzare né la derivazione, né la natura essenziale del monismo anomalo. Per i nostri scopi, le affermazioni fondamentali di Davidson sono due: la prima che ciò che rende un evento mentale (o fisico) è il possedere una descrizione mentale (o fisica), mentre la seconda, ossia la tesi estensionalista, sostiene che gli eventi sono delle entità concrete che possono essere descritte in molti modi diversi (“azionare l’interruttore della luce”, “l’illuminazione della stanza” e “l’allarme per il ladro che segnala che qualcuno è in casa” possono individuare lo stesso evento descrivendolo, però, in termini diversi). (Per le controversie relative all’estensionalismo, vedi 5.2 e il supplemento nella sezione “Questioni correlate (monismo anomalo e dualismo schema-contenuto)”.)
Il principio di interazione afferma che almeno alcuni eventi mentali causano e sono causati da eventi fisici (Davidson 1970, 208). Quanto appena detto lascia aperta la possibilità che alcuni eventi mentali non interagiscono causalmente con alcuni eventi fisici. Tuttavia, date le prime idee di Davidson sull’individuazione degli eventi (il criterio causale), non è chiaro se questa possibilità possa essere realizzata, mentre secondo ciò che scrive in seguito circa l’individuazione degli eventi, questa possibilità sembrerebbe rimanere aperta. Nonostante ciò, anche le sue affermazioni generali sull’individuazione causale dei contenuti e degli atteggiamenti mentali (vedi i paragrafi 4.3 e 6.3) sono in qualche modo in contraddizione con questa possibilità. In ogni caso, Davidson prosegue dicendo che in realtà crede che tutti gli eventi mentali interagiscano causalmente con gli eventi fisici (Davidson 1970, 208), ma limita il suo argomento solo a quelli che lo fanno realmente. Date le pressioni appena rilevate a favore di una lettura inclusiva del principio di interazione, le assumeremo in quanto segue.
L’affermazione di interazione stessa dovrebbe essere intesa in questo modo: alcuni eventi che hanno una descrizione mentale, o che istanziano una causa di una proprietà mentale, sono causati da eventi che hanno una descrizione fisica o che istanziano una proprietà fisica. Formulare il principio di interazione in questo modo apre la strada a una lettura estensionale della relazione causale (gli eventi sono collegati dal punto di vista causale indipendentemente da come vengono descritti), e lascia aperta anche la possibilità, che Davidson sosterrà successivamente, secondo cui gli eventi mentali in particolare devono avere qualche descrizione non mentale, oppure devono istanziare qualche proprietà non-mentale. A questo livello, la possibilità appena trattata viene lasciata aperta, ma è importante notare che affinché si possa dire a tutti gli effetti una questione aperta, dobbiamo perlomeno tenere conto della distinzione tra gli eventi stessi e il modo in cui essi sono individuati all’interno del linguaggio.
2.2 Causalità mentale
Sebbene su quanto si sta per affermare ci si concentrerà, separatamente, di seguito (6), è comunque importante tenere presente che stiamo incominciando il discorso supponendo che gli eventi mentali causano e sono causati da eventi fisici. Molti critici del monismo anomalo hanno affermato come sia difficile vedere in che modo tale teoria riesca ad evitare l’epifenomenismo – la teoria secondo cui gli eventi mentali sono impotenti dal punto di vista causale/esplicativo – e che, di conseguenza, il monismo anomalo è quindi inaccettabile come spiegazione del posto che occupa il mentale all’interno del mondo fisico. Tuttavia, dal momento che il monismo anomalo si basa sul principio di interazione, Davidson può affermare, in risposta a questi critici, che se il monismo anomalo è vero, questa comporta che gli eventi mentali hanno una qualche specie di efficacia causale. Come si vedrà, quest’ultimo punto non è di per sé sufficiente a scongiurare tutte le preoccupazioni epifenomeniste in riferimento al monismo anomalo, ma serve a ricordarci il framework completo entro il quale devono essere valutate le obiezioni al monismo anomalo, e in particolare fa emergere l’affidamento di tale framework in merito a ipotesi specifiche sulla causalità (vedi le sezioni 4.3, 6 e Yalowitz 1998a).
Quello che bisogna notare a questo punto è che Davidson ha sostenuto fin dall’inizio l’affermazione secondo cui gli eventi mentali hanno efficacia causale, tenendo comunque conto che quanto appena detto può creare delle difficoltà per quanto riguarda le teorie non causali sulla spiegazione dell’azione (Davidson 1963). Gli eventi e gli stati mentali spiegano l’azione rendendola intelligibile, razionale – tenendo in conto le credenze e gli scopi dell’agente. La sfida che Davidson ha sollevato per le teorie non-causali sulla spiegazione dell’azione è stata quella di rendere conto del fatto che, per qualsiasi azione eseguita, potrebbe esserci un gran numero di eventi mentali e stati reali dell’agente, in grado di razionalizzare l’azione, ma senza riuscire a spiegare in tal modo quell’azione. L’agente ha agito a causa di alcune credenze e scopi specifici, ma altrettanti potrebbero facilmente razionalizzare quell’azione ed essere, quindi, riportati nella sua spiegazione. L’agente stava muovendo la mano perché voleva scacciare la mosca, alleviare un crampo oppure perché voleva salutare? Potrebbe aver voluto raggiungere tutti e tre questi obiettivi, ma di fatto ha comunque compiuto l’azione solamente per uno di essi. Come si fa a capire il perché l’abbia fatto, in modo da escludere i possibili pretendenti? L’affermazione di Davidson è che solamente se comprendiamo il “perché” come “causato da” possiamo individuare correttamente ciò che spiega quell’azione, imputando in tal modo il potere causale agli eventi mentali.
Cosa mostra esattamente questo argomento? Ha lo scopo di andar contro le teorie non-causali dell’azione, le quali negano che le ragioni spieghino le azioni causandole. Ci sono stati tentativi sofisticati, a favore delle teorie non-causali sulla spiegazione dell’azione, per rispondere a questa sfida (von Wright 1971; Wilson 1985; Ginet 1995; per una buona panoramica, vedere Stoutland 1976; e vedere la discussione correlata in 6.3). Tuttavia, anche supponendo che l’argomento funzioni, esso stabilisce un tipo di efficacia mentale, ma non stabilisce di per sé il principio di interazione. Infatti, stabilire che le ragioni spiegano le azioni causandole, e che quindi le ragioni interagiscono causalmente con le azioni, non porta alla conclusione che le ragioni interagiscono causalmente con gli eventi fisici. I dualisti che rifiutano l’identità degli eventi mentali e fisici obietteranno sicuramente a quanto appena sostenuto.
Un punto fondamentale da cogliere in molte delle questioni sollevate dal monismo anomalo è che esiste un’importante distinzione tra azione e comportamento. Secondo Davidson, l’azione è un comportamento descritto intenzionalmente: il movimento di una mano nello spazio realizzato in un certo modo può, anche se non necessariamente, essere un’azione che simula un saluto, uno schiacciamento oppure può essere qualsiasi azione. Può essere banalmente un semplice comportamento corporeo, come accade in seguito a uno spasmo muscolare o ad una forte raffica di vento. Il comportamento deve essere causato dalle credenze e dai desideri di un agente, per essere un’azione. Tuttavia, sebbene ciò sia necessario per l’azione, secondo Davidson non è sufficiente. Il comportamento deve essere causato nella maniera corretta dalle credenze e dai desideri. Davidson ammette la possibilità di casi in cui le credenze e i desideri di un agente causano un comportamento, ma in cui esso non è razionalizzato da quegli stati, e di conseguenza non lo è nemmeno l’azione. Uno scalatore potrebbe allora innervosirsi a causa del suo desiderio di liberarsi di un secondo scalatore molto fastidioso che condivide la sua corda, e a causa della credenza che far oscillare la corda sia un’occasione per fare in modo che egli involontariamente scuota la corda, portarlo alla perdita del secondo scalatore. Questa non è un’azione: è un semplice comportamento che accade in lui, che non è diverso da quello causato da uno spasmo muscolare o da una raffica di vento. È causato nella maniera scorretta – si parla di una “catena causale deviata” – dalla credenza e dal desiderio, e perciò non è un’azione. Davidson è scettico sulla possibilità di mostrare ciò che significa essere causato nella maniera corretta (Davidson 1973b, 78-9), per ragioni relative al principio dell’anomalismo del mentale (Davidson 1973b, 80; vedi 4 per una discussione esplicita). Il punto fondamentale per ora è che, dal momento che Davidson rifiuta la possibilità di analizzare l’azione in termini di comportamento causato in un modo particolare dalle ragioni, il punto sollevato dall’argomento del perché non può essere utilizzato per stabilire che gli eventi mentali causano eventi fisici. Dal fatto che le ragioni devono causare le azioni per spiegarle non deriva che le ragioni devono causare il comportamento o (secondo il principio di interazione) che le ragioni causano il comportamento. Quanto appena detto non implica che le azioni siano un comportamento fisico.
Quest’ultimo punto è importante se si considera il framework più ampio a cui contribuisce il principio di interazione. Dal momento che Davidson sta tentando di derivare il monismo da esso oltre che altri principi che sono essi stessi neutrali rispetto alla metafisica della mente, non può presupporre che l’azione sia (identica al) comportamento, pena la circolarità. Una volta accertato il monismo, Davidson sarà in grado di utilizzare il punto sollevato dall’argomento del perché per sostenere l’affermazione secondo cui gli eventi mentali sono efficaci causalmente rispetto agli eventi fisici. Il modo in cui questo si collega all’ondata di critiche epifenomeniste sul monismo anomalo sarà esplorato in modo dettagliato successivamente (sezione 6, e vedi il supplemento nella sezione “Proprietà mentali e rilevanza causale”). Per riassumere, il principio di interazione è un presupposto non argomentato all’interno del framework davidsoniano, che non presuppone il monismo, e l’argomento del perché, sebbene importante per escludere le teorie non-causali dell’azione, non stabilisce la correttezza del principio di interazione.
2.3 Anomalismo psicologico
Davidson utilizza il principio di interazione per stabilire in maniera diretta una componente del principio dell’anomalia del mentale – l’anomalismo psicologico, il quale nega la possibilità di leggi rigide e puramente psicologiche della forma “M1 & M 2→ M3” (Davidson 1970, 224; 1974b, 243). Infatti, avendo gli eventi fisici un impatto causale sugli eventi mentali, allora il dominio del mentale risulta “aperto ” e qualsiasi legge all’interno della quale figurano i predicati mentali dovrà tenerne conto (per una discussione correlata, vedi l’integrazione sulla chiusura causale del mondo fisico nell’argomento a favore del monismo anomalo). Più in generale, le condizioni fisiche giocheranno sempre un ruolo importante in qualsiasi generalizzazione psicologica plausibile. Questo perché l’intervento fisico (ad esempio, un infortunio) è sempre una possibilità e può prevenire il verificarsi del conseguente “M3“. Pertanto, le uniche leggi rigide potenzialmente vere, all’interno delle quali possono essere presenti i predicati psicologici, sono le varianti della forma psicofisica “P1 & M1 & M2 → M3“. L’anomalismo psicofisico, l’altra componente del principio dell’anomalia del mentale e quella che nega la possibilità di leggi così rigide, rappresenta l’idea in base alla quale Davidson si concentra esclusivamente sulla definizione.
3. Premessa II: il principio di causalità
Il principio di causalità sostiene che eventi collegati, come ad esempio la causa e l’effetto, rientrano all’interno di leggi rigide. Nelle prime formulazioni del monismo anomalo, Davidson assunse questo principio, anche se non argomentò. La sua argomentazione a sostegno di tale principio sarà considerata di seguito (3.2), insieme alle obiezioni che vengono mosse al principio (3.3). Ma dobbiamo considerare la natura del requisito contenuto in questa affermazione iniziale e come tale natura si collega al framework dal quale viene dedotto il monismo anomalo.
3.1 Leggi rigide
La natura delle leggi rigide richieste dal principio di causalità è la seguente. Per ogni relazione causale tra due eventi particolari, e1 ed e2, deve esserci una legge della forma ‘(C1 & D1) → D2‘, dove ‘C1‘ afferma un insieme di condizioni permanenti, mentre ‘D1‘ è una descrizione di e1 sufficiente, una volta considerato C1, per il verificarsi di un evento del tipo “D2“, che è una descrizione di e2. Tradizionalmente, una legge rigida viene concepita come quella in cui la condizione e i tipi di evento specificati nell’antecedente sono tali da garantire che la condizione o i tipi di evento specificati nel conseguente si verifichino – quest’ultimo deve verificarsi se il primo in realtà si verifica. Tuttavia, sono possibili anche versioni indeterministiche o probabilistiche di leggi rigide (Davidson 1970, 219). Il punto che distingue le leggi rigide non è tanto garantire che si ottenga l’effetto desiderato, in quanto è stato soddisfatto l’antecedente di tale effetto, quanto piuttosto l’inclusione, nell’antecedente, di tutte le condizioni e di tutti gli eventi che potrebbero eventualmente impedire il verificarsi dell’effetto. Una legge rigida indeterministica sarebbe quella che specifica tutto ciò che è necessario affinché si verifichi un determinato effetto. Se quest’ultimo non si verifica quando si verificano quelle condizioni, non c’è nessuna ragione per spiegare questo insuccesso (oltre al fatto bruto di un universo indeterministico). Per ragioni di semplicità, in questa discussione, si assumerà il determinismo, anche se ciò che viene detto riguardo alle leggi rigide deterministiche potrebbe essere trasferito senza problemi a quelle indeterministiche.
Il principio di causalità si rivolge, in primo luogo, alle leggi di successione, che coprono relazioni causali singolari tra eventi in momenti distinti. Tuttavia, come diventerà più chiaro in seguito, il principio dell’anomalia del mentale comprende anche leggi ponte che collegherebbero anche istanze simultanee di predicati mentali e fisici, come ad esempio “P1 → M1“, “M1→ P1” o “P1↔ M1“. Anzi, il principio dell’anomalia del mentale rifiuta la possibilità di qualsiasi legge rigida in cui sono presenti predicati mentali (dove quei predicati sono presenti a livello essenziale, e dunque non sono ridondanti) – includendo (come si è visto in (2.3)) leggi formulate con predicati puramente mentali (‘ (M1 & M2) → M3‘), così come leggi che presentano predicati mentali nell’antecedente o nel conseguente, come ‘(M1& M2) → P1‘ e ‘(P1 & P2) → M1‘ e varianti miste di questi (vedi 4).
Il rifiuto delle leggi rigide da parte di queste forme è coerente con il fatto di consentire loro delle versioni “evasive”, qualificate da una clausola ceteris paribus. “A parità di condizioni” o “in condizioni normali”, tali generalizzazioni psicologiche e psicofisiche possono, secondo Davidson, essere asserite in modo giustificato (Davidson 1993, 9). Come verrà discusso più avanti (4), rifiutare la versione rigida di queste generalizzazioni equivale a negare l’idea secondo cui la clausola qualificante “ceteris paribus” possa essere pienamente spiegata. Cioè, “ceteris paribus”, ((M1& M2) → P1)’ non può essere trasformato in qualcosa come ‘(P2 & P3 & M1 & M2 & M3) → P1‘ (per una discussione correlata a questo particolare problema, vedi il dibattito tra Schiffer 1991 e Fodor 1991).
(Davidson organizza la sua discussione su questo processo di trasformazione, e sul monismo anomalo più in generale, intorno a una distinzione tra generalizzazioni “omonimiche” ed “eteronomiche” (Davidson 1970, 219). Tale distinzione è estremamente problematica ai fini della definizione del monismo anomalo. Pertanto, deve essere messa da parte per favorire la distinzione correlata (ma non identica) tra generalizzazioni rigide e ceteris paribus. Per la discussione sulla prima distinzione, vedi il supplemento sulle generalizzazioni omonimiche ed eteronomiche.)
3.2 Giustificazione del principio di causalità
Davidson sostiene la necessità del principio di causalità – che le relazioni causali particolari richiedono di essere inserite all’interno di leggi rigide – sulla base di un’interconnessione concettuale tra i concetti di oggetto fisico, evento e legge. Egli, infatti, sostiene che “il nostro concetto di un qualunque oggetto fisico è il concetto di un oggetto i cui cambiamenti sono regolati da delle leggi” (Davidson 1995a, 274). Le interconnessioni sono stabilite in parte in risposta al tentativo di C.J. Ducasse, in reazione alla teoria della regolarità della causalità [regularity of causation] di Hume, di definire relazioni causali particolari senza appellarsi a leggi all’interno delle quali tali relazioni sono inserite (Ducasse 1926).
In poche parole, Ducasse ha definito un evento particolare c come causa di qualche effetto e se e solo se c fosse l’unico cambiamento che si verifica nell’ambiente immediato di e appena prima di dell’evento e. Lo sfregamento della testa del fiammifero su una superficie ruvida è la causa della sua accensione, ma solo nella misura in cui il fiammifero è l’unico cambiamento che si verifica nelle sue immediate vicinanze prima dell’accensione effettiva del fiammifero stesso. Con questa affermazione, Ducasse intendeva confutare l’affermazione di Hume secondo cui le relazioni causali particolari tra eventi particolari devono essere analizzate in termini di regolarità tra tipi di eventi (e quindi leggi). In effetti, Ducasse ha affermato che Hume aveva torto nel negare la nostra capacità di percepire relazioni causali particolari – questa negazione sarà poi la base per la successiva spiegazione della regolarità da parte di Hume (vedi 3.3). Questo perché, secondo Ducasse, possiamo percepire che un qualche evento rappresenta l’unico cambiamento nell’ambiente immediato di un qualche evento successivo, poco prima del verificarsi di quell’evento. (Possiamo, naturalmente, sbagliare nel pensare che questo è ciò che abbiamo effettivamente percepito, ma, come sottolinea Ducasse, lo stesso problema è presente nella spiegazione di Hume – possiamo sbagliarci sul fatto che ciò che abbiamo percepito sono istanze di un certo tipo che testimoniano una relazione regolare l’uno con l’altro. Ma quanto appena detto non porta Hume a sostenere che, dal momento che non possiamo percepire infallibilmente che una determinata successione è un’istanza di una certa regolarità, non possiamo neanche formulare il concetto di causalità in termini di regolarità. Lo stesso vale quindi per la spiegazione di Ducasse.)
Davidson rileva la forte dipendenza, nella spiegazione di Ducasse, dalla nozione di “cambiamento”, arrivando a chiedersi se abbiamo davvero una definizione precisa di questo concetto, dal momento che non possiamo appellarci alle leggi. Ci sono due aspetti che alimentano questa preoccupazione. In primo luogo, la nozione di “cambiamento” è l’abbreviazione della nozione di “cambiamento di predicato”: un cambiamento si verifica quando un predicato che è vero per qualche oggetto (oppure non vero per quell’oggetto) cessa di essere vero (o diventa vero) per quell’oggetto. Questo porta direttamente a domande su come vengono individuati i predicati e sulla loro relazione con le leggi (vedi sotto). In secondo luogo, a un livello più generale, la nozione di “cambiamento” è essa stessa cambiata nel tempo – la meccanica newtoniana definisce un cambiamento in modo diverso dalla fisica aristotelica: ad esempio, il movimento continuo conta come un cambiamento, e quindi richiede una spiegazione, secondo la fisica aristotelica, ma non secondo quella newtoniana. Pertanto, la nozione stessa di “cambiamento” dipende dalla teoria, e quindi (sostiene Davidson) presuppone anche la nozione di “legge”: qualcosa conta come un cambiamento, e quindi ha una causa, solo sullo sfondo di principi teoretici.
Questo secondo punto non sembra fornire il risultato che Davidson auspicava, in quanto stabilisce che ogni interazione causale deve essere inserita all’interno di una particolare legge rigida. L’affermazione secondo cui qualcosa rappresenta un cambiamento, e quindi ha una causa solo se sono presenti alcune ipotesi teoriche, è coerente con l’affermazione secondo cui quelle ipotesi (per esempio, secondo cui quel moto rettilineo uniforme non conta come un cambiamento) non possono svolgere il ruolo esplicativo per specifiche interazioni causali, che, invece, deve essere svolto dalle leggi rigide. Questo perché sono semplicemente di natura troppo generale: non consentono previsioni o spiegazioni di eventi particolari. In ogni caso, non sembra esserci nulla in queste considerazioni di Davidson che imponga il requisito secondo il quale le leggi, all’interno delle quali vengono inseriti gli eventi, siano rigide, in contrasto con l’irriducibile clausola del ceteris paribus. (Come si è già visto (3.1), lo stesso Davidson ha insistito sulla legittimità e sull’ubiquità di tali leggi nella spiegazione scientifica.)
Ritornando al primo punto sull’individuazione dei predicati, Davidson afferma che “sono solamente i predicati proiettabili quelli che entrano all’interno di induzioni valide, le quali determinano ciò che conta come un cambiamento effettivo” (Davidson 1995a, 272). Dal “nuove enigma dell’induzione” [new riddle of induction] di Nelson Goodman (Goodman 1983), sappiamo che possiamo inventare predicati, come ad esempio “grue” e “bleen” (dove un oggetto è grue se è verde ed è stato esaminato prima del 2020, altrimenti è blu, e dove un oggetto è bleen se è blu ed è stato esaminato prima del 2020, altrimenti è verde) in modo che un oggetto verde passi dall’essere grue all’essere bleen nel corso del tempo senza cambiare a livello sensoriale. Continuerà ad essere verde, anche se cesserà di essere grue e diventerà bleen. Contrariamente a molte discussioni sorte in riferimento all’enigma di Goodman, Davidson sostiene che questi insoliti predicati possono essere proiettabili ed essere presenti all’interno delle leggi, ma solo se opportunamente accoppiati con altri predicati simili (“Tutti gli smeraldi sono grue” non è simile a una legge, ma “Tutti gli smerildi sono grue” lo è (dove “smerildo” è vero per tutti gli smeraldi esaminati prima del 2020, altrimenti sono zaffiri). Quello che è fondamentale per Davidson è che per comprendere la nozione di cambiamento, che è strettamente legata a quella di causalità, si deve comprendere la nozione di predicato proiettabile – appropriato per l’uso nella scienza – e questa nozione porta inevitabilmente nella nozione di legge. I cambiamenti sono dunque descritti da predicati adatti ad essere inclusi all’interno delle leggi. Ma come si concilia col principio di causalità? Ancora una volta non è chiaro, perché Davidson avrebbe pensato che questa linea argomentativa motivi in particolare la nozione di legge rigida.
Davidson suggerisce una linea argomentativa collegata a quella appena esposta (vedi 4.3), la quale sembra suggerire che i predicati disposizionali – quelli definiti in termini di effetti che si vengono a produrre – non sono adatti per essere inseriti all’interno di leggi rigide (le generalizzazioni all’interno delle quali tali predicati si possono trovare sono sempre qualificate da una clausola ceteris paribus), ma devono comunque esistere leggi rigide in fondo, per così dire, al vocabolario disposizionale. La discussione di Davidson su questo problema fa riferimento a un vecchio dibattito sullo statuto dei termini disposizionali – in particolare, se essi siano “segnaposto” per predicati che sono non disposizionali (“detti “intrinseci”’ o “manifesti”) (vedi Goodman 1983, 41ss). Qualunque sia la sua idea su tale questione, ancora una volta non sembra che Davidson abbia fornito argomenti solidi per stabilire che leggi rigide (in contrasto con le leggi ceteris paribus) sono necessarie affinché il nostro vocabolario disposizionale funzioni nel modo in cui funziona. Quindi Davidson non sembra aver fornito al principio di causalità una giustificazione plausibile (per lo scetticismo su tale principio, vedi Anscombe 1971, Cartwright 1983, McDowell 1985, Hornsby 1985 e 1993, e 3.3 sotto). Questo comunque non vuol dire che sia falso, o che non sia plausibile assumerlo nell’argomentazione a favore del monismo anomalo: molti trovano tale principio fortemente intuitivo. Pertanto, vale la pena esplorare la relazione che quest’ultimo intrattiene con le altre affermazioni fondamentali del framework di Davidson.
3.3 Obiezioni al principio di causalità
Il principio di causalità è stato oggetto di molte critiche da quando è stato formulato in modo canonico nella teoria della regolarità della causalità di Hume, e vale la pena rivedere brevemente alcune delle obiezioni principali rilevanti alla luce delle discussioni di Davidson. Questo renderà chiaro quanto sia importante, per un argomento come quello di Davidson a favore del monismo anomalo, che in fin dei conti venga fornita una qualche giustificazione per la sua tesi.
Una prima obiezione sostiene che l’analisi di Hume sui giudizi causali singolari (‘a ha causato b’ è vera se e solo se ‘ogni volta che si verifica A, questa è seguita da un’occorrenza di B’), che rappresenta la sua versione del principio di causalità, non è una versione accurata del modo in cui si usa tipicamente il termine “causa”. Siamo sicuri riguardo a giudizi come “Il fatto che Harry fosse un fumatore ha causato il suo cancro ai polmoni” pur sapendo che in realtà non tutti i fumatori vengono colpiti dal cancro ai polmoni. Questo punto è assolutamente generico: formuliamo sempre giudizi causali particolari senza credere veramente (anzi, pur conoscendone la falsità) nella generalizzazione universale che viene associata (vedi Anscombe 1971). Tuttavia, l’estensionismo di Davidson in merito alla causalità fornisce una risposta diretta a questa problematica. La sua opinione è che mentre possiamo non credere alla generalizzazione universale che viene associata, ciò è comunque coerente con l’esistenza di una qualche generalizzazione universale, presentata usando un vocabolario diverso rispetto al giudizio causale particolare, che “ricopre” tale affermazione. (Vale la pena notare come Davidson rifiuti l’analisi di Hume sui giudizi causali particolari in termini di generalizzazioni universali, in quanto sostiene che il requisito di una tale generalizzazione è necessario, ma non sufficiente per la verità di tale affermazione (Davidson 1967).)
Sebbene questa risposta sembri in un primo momento soddisfare l’obiezione appena trattata, solleva la seguente problematica, che è alla base di un’obiezione collegata al principio di causalità: nessuno in effetti sembra riconoscere come vera una qualche legge predittiva “rigida” (nel senso letterale del termine). Ora, sebbene sia certamente coerente con quest’ultimo punto che ci sono o addirittura devono esistere tali leggi, diventa comunque più urgente sapere perché dovremmo pensarlo dal momento che non possiamo offrirne nessun esempio. Dunque, è positivo che Davidson indichi la possibilità di leggi rigide che trascendono le nostre attuali conoscenze, ma dobbiamo sapere perché dovremmo crederci. Infatti, la scienza sembra aver fatto progressi nella giusta direzione pur facendo a meno di quest’ultime.
Un’altra obiezione al principio di causalità viene dallo stato in cui versa la fisica contemporanea. Secondo la meccanica quantistica, non è semplicemente difficile o impossibile per noi enunciare tali leggi riferendole ai fenomeni quantistici. Piuttosto, la teoria quantistica sembra implicare che il determinismo non si riesce a raggiungere a livello di micro-particelle: quello che la teoria e il comportamento di tali particelle ci suggerisce è che la causalità, perlomeno al livello dei micro-fenomeni, è indeterministica. Pertanto, si sostiene che questo indeterminismo sia incompatibile con il requisito di leggi rigide. Questa obiezione al principio di causalità, quindi, ritiene che la filosofia non dovrebbe mai decidere al posto della scienza sulle questioni empiriche: l’osservazione del mondo ci dice che leggi rigide sono impossibili in questo mondo, anche quando è presente la causalità e anche quando ciò è in diretta contraddizione con il principio di causalità.
Ora, si è già vista la risposta di Davidson a questo tipo di obiezione (3.1). In base a come essa viene tradizionalmente intesa, si suppone che leggi rigide garantiscano la condizione conseguente sulla base della condizione antecedente. Ma non è necessario avere una garanzia del genere. Quello che le leggi rigide richiedono è che l’antecedente includa tutte le condizioni e tutti gli eventi che potrebbero impedire il verificarsi del conseguente. Se il conseguente non si verifica quando vengono prese in considerazione tutte queste condizioni, non c’è nient’altro da inserire nella spiegazione del perché ciò non sia avvenuto, se non il fatto puro e bruto di un universo indeterministico. Dunque, la causalità indeterministica è del tutto coerente con il principio di causalità (Davidson 1970, 219). Le distinzioni tra legge deterministica/indeterministica e tra rigido / non rigido non sono collegate perfettamente l’una con l’altra: una legge indeterministica può essere universale, priva di eccezioni e vera nello stesso momento. Quest’ultimo punto non sembra essere riconosciuto dai coloro che sostengono l’obiezione indeterministica verso le leggi rigide (vedi Cartwright 1983).
Un’ultima obiezione al principio di causalità, più interna alla più ampia struttura del monismo anomalo, è stata avanzata in McDowell 1985. McDowell individua una certa contraddizione tra la fedeltà di Davidson al principio di causalità e il suo rifiuto del “dualismo dello schema e del contenuto” (Davidson 1974a). In breve, il dualismo a cui si oppone Davidson è l’idea secondo cui, ad esempio, un giudizio percettivo sia il risultato razionale di un’interazione tra un concetto e un elemento esperienziale non-concettualizzato, ossia l’input sensoriale. A causa del sistematico rifiuto nei confronti di questa idea da parte di Davidson, McDowell ritiene che dovrebbe disconoscere anche il principio di causalità. McDowell non pensa che tale principio venga richiesto per una versione minimale di materialismo (vedi il supplemento nella sezione Voci Correlate (materialismo minimale), e, di conseguenza, non avendo la necessità di giustificare il materialismo, McDowell vede questo principio come insignificante all’interno del framework di Davidson. Per ulteriori discussioni su questo problema e altre questioni legate al dualismo schema-contenuto e al monismo anomalo, vedi il supplemento presente nella sezione “Questioni correlate (monismo anomalo e dualismo schema-contenuto)”.
4. Premessa III: il principio dell’anomalismo
Il principio dell’anomalismo afferma che non esistono leggi deterministiche sulla base delle quali gli eventi mentali possono prevedere, spiegare o essere previsti (o spiegati) da altri eventi. In questa sezione analizziamo diverse interpretazioni del principio. Le stesse formulazioni di Davidson, sebbene suggestive, sono notoriamente vaghe e spesso fanno appello a tipi molto diversi di aspetti, inclusi elementi del linguaggio e dell’interpretazione, questioni legate alla spiegazione psicologica e alla natura della causalità e delle disposizioni. Analizzeremo dunque interpretazioni specifiche, come anche i problemi che esse devono affrontare nel fornire una motivazione convincente sia per il principio dell’anomalismo, sia per il monismo anomalo.
Pur differendo in modo significativo, le varie formulazioni dell’argomento, così come le obiezioni, seguono uno schema ben preciso: i sostenitori dell’anomalismo mentale sottolineano alcune caratteristiche delle proprietà mentali affermando che (1) sono nettamente distinte dalle proprietà fisiche e (2) definiscono una sorta di tensione concettuale con le proprietà fisiche che preclude la possibilità di instaurare strette relazioni nomologiche tra queste proprietà. Secondo le obiezioni, tuttavia, la caratteristica sottolineata delle proprietà mentali o non serve a distinguerla dalle proprietà fisiche, o in realtà non implica alcuna tensione concettuale con le proprietà fisiche che precluda la possibilità di instaurare relazioni nomologiche. Considereremo a turno ogni interpretazione e le sue problematiche. In una sezione successiva (5.3) esamineremo un’altra obiezione relativa al principio dell’anomalismo – che non è coerente con la teoria che richiama Davidson, secondo cui le proprietà mentali instaurano una relazione di sopravvenienza con le proprietà fisiche. Per una discussione sulla relazione tra il principio dell’anomalismo e le opinioni di Davidson sul dualismo schema-contenuto e l’esternismo semantico, si veda l’inserto integrativo.
L’anomalismo mentale, per come inizialmente formulato da Davidson, sostiene che non possono esistere leggi deterministiche sulla base delle quali gli eventi mentali possono essere previsti e spiegati (Davidson 1970, 208). Si limita quindi a escludere leggi deterministiche di successione con predicati mentali che si presentano nel conseguente – leggi come ‘ P 1 → M 1 ‘, ‘(M 1 & P 1 ) → M 2 ‘, o ‘ M 1 → M 2‘.
Nega quindi che il verificarsi di particolari eventi mentali come giungere a credere o intendere qualcosa, o agire intenzionalmente in qualche modo, possa essere spiegato facendo ricorso a leggi deterministiche legate alla previsione. Ma, come emerge chiaramente, l’approccio di Davidson rifiuta la possibilità di qualsiasi legge deterministica in cui figurano i predicati mentali – e questo include, in particolare, le leggi ponte della forma ‘ P 1 ↔ M 1 ‘, che costituiscono la base delle teorie dell’identità di tipo della mente, così come qualsiasi legge deterministica con antecedenti mentali. Abbiamo già visto come leggi deterministiche puramente psicologiche siano escluse dal principio di interazione (2.3). E, a un livello più generale, esclude le presunte soluzioni al problema delle catene causali devianti riscontrato in 2.2, che espliciterebbe, per quanto riguarda alcune condizioni fisiche e forse anche mentali richieste, come il comportamento deve essere causato da ragioni (“causato nel modo giusto”) per essere un’azione. (Che alcune condizioni fisiche siano necessarie in una tale analisi è sicuro, come abbiamo visto (2.3), dalla natura dell’anomalismo mentale e del conseguente psicologico.) Ogni adeguata analisi dell’azione implicherebbe particolari leggi psicofisiche della forma ‘ (M 1 & M 2 & M 3 & P 1 ) → P 2‘. Per cui una tale analisi affermerebbe che un qualsiasi comportamento (P 2), che in realtà è causata correttamente (M 3 e P 1) da ragioni (M 1 e M 2), sarebbe l’azione che viene razionalizzata da tali ragioni. Ciò fornisce uno schema per generare leggi deterministiche psicofisiche: collegando motivazioni particolari e le condizioni causali P 1 e M 3 formulate dall’analisi, otteniamo una legge deterministica psicofisica predittiva semplicemente constatando quale effetto è prodotto da queste cause. (Nel corso di un’ampia discussione sul problema delle catene causali devianti, Bishop 1989 p. 125-75 non riesce a vedere questa connessione tra questo punto e l’anomalismo mentale – si veda 164.). Con le leggi deterministiche puramente psicologiche già escluse, l’attenzione ora è sulle leggi deterministiche psicofisiche.
È utile vedere l’attacco di Davidson contro le leggi psicofisiche alla luce di un argomento, in voga negli anni ’50 e ’60, contro l’affermazione che le ragioni sono le cause delle azioni che spiegano. Questo argomento è stato denominato “Argomento della connessione logica” (si veda Stoutland 1970). Secondo questo argomento, non si possono sostenere ragioni per spiegare le azioni causandole perché (1) le cause e gli effetti devono essere logicamente distinte l’una dall’altra (uno dei requisiti di Hume sulla causalità) ma (2) le ragioni e le azioni che spiegano hanno quasi una connessione logica tra di loro, in virtù del rapporto razionalizzante che si instaura. Questa relazione è quasi-logica perché non è vero che una ragione qualsiasi può spiegare un’azione, ma solamente quelle ragioni che effettivamente razionalizzano (ossia che rendono intelligibile) un’azione possono altresì spiegarla. L’importante risposta di Davidson a questo argomento fu di distinguere tra relazioni causali, che si hanno tra gli eventi indipendentemente da come vengono descritti, e relazioni logiche, che si hanno tra particolari descrizioni di eventi. L’argomento della connessione logica non riconosce questa semplice distinzione. La distinzione ha permesso a Davidson di unire due concetti chiave della sua teoria dell’azione: che le ragioni spiegano causando e che spiegano razionalizzando (Davidson 1963, 13-17). Come vedremo più avanti, tuttavia, Davidson sembra accettare una distinzione fondamentale al centro dell’argomento della connessione logica: che la relazione razionalizzante ha una certa proprietà fondamentale (con uno statuto quasi logico), che è incompatibile con la relazione tra eventi descritti fisicamente e causalmente correlati.
4.1 Gli argomenti dell’olismo/indeterminatezza
Le riflessioni di Davidson a favore dell’anomalismo mentale fanno appello a elementi sull’interpretazione dell’azione (linguistici e non-linguistici) e sull’attribuzione di stati ed eventi mentali alle persone. Si distinguono diverse caratteristiche: l’olismo rispetto a particolari attribuzioni, l’indeterminatezza rispetto a strutture interpretative sistematiche e la velocità dell’attribuzione mentale a un ideale di razionalità. Secondo l’olismo, particolari stati mentali possono essere menzionati nella spiegazione del comportamento solo nel contesto di altri stati mentali, che a loro volta dipendono dagli altri. Davidson afferma che questa dipendenza e interrelazione olistica è “senza limiti” (Davidson 1970, 217). Questo richiama una sua riflessione sull’impossibilità di una riduzione della definizione di stati mentali in termini puramente comportamentistici, a causa dell’ineliminabile necessità di condizioni mentali (ad esempio, che la persona comprende, o constata o si preoccupa), limitando qualsiasi tentativo di attribuire condizioni non-mentali a stati mentali.
Davidson presenta queste affermazioni sulla riduzione della definizione come fatti che “forniscono al meglio indizi sul perché non dovremmo aspettarci connessioni nomologiche tra il mentale e il fisico” (Davidson 1970, 217). Se una riduzione di questo tipo fosse di fatto impossibile, escluderebbe la possibilità di una sottoclasse di leggi psicofisiche specifiche – quelle che mettono in relazione stati mentali con comportamenti non intenzionalmente descritti – ma il fondamento di questa impossibilità non sarebbe stato spiegato. In realtà, tuttavia, senza sapere quale dovrebbe essere quel fondamento, non abbiamo alcun motivo di accettare l’affermazione di Davidson secondo cui tale riduzione è impossibile. Cosa ci impedisce di esprimere chiaramente tutte le condizioni richieste? Senza una ragione a portata di mano, nulla impedisce a un riduzionista di fornire semplicemente definizioni dettagliate e di sfidarci a fornire controesempi. È chiaramente necessario qualcosa a priori e convincente. Le preoccupazioni di Davidson sulla riduzione della definizione sono “indizi” riguardo alla riduzione nomologica solo in quanto fanno emergere le nostre intuizioni su qualcosa che ostacola la formulazione di tali leggi. Su quale sia questo ostacolo, si deve ancora fornire una definizione chiara.
A volte è sembrato che Davidson ritenesse che l’anello mancante fosse fornito dalla tesi dell’indeterminatezza della traduzione, sviluppata da W. V. Quine (1960) e avallata da Davidson (1970, 222; 1979). Questa tesi afferma che esistono schemi completi empiricamente adeguati, ma non equivalenti, per assegnare significati linguistici e stati mentali a una persona sulla base del suo comportamento, e che non vi è alcun dato di fatto che possa stabilire che uno (ma non un altro) di tali schemi sia corretto. In particolare, non ci sono fatti fisici, all’interno del corpo o della testa di una persona o all’esterno nel mondo che potrebbero stabilire se le parole di una persona si riferiscono a una determinata gamma di oggetti piuttosto che a un’altra, o se un insieme di stati mentali sistematicamente interdipendenti piuttosto che a un altro, con distinte assegnazioni di valori di verità, sia verso per quella data persona (Vedi Davidson 1979). Se la tesi dell’indeterminatezza è vera, allora a prima vista ci sarebbe una buona ragione per rifiutare la possibilità di leggi psicofisiche. Perché se tutti i fatti fisici sono coerenti con differenti attribuzioni psicologiche/semantiche, allora sembra che conoscere tutti i fatti fisici non potrebbe dirci se alcuni stati mentali sono veri per una persona, o alcun significato vero per le sue parole – nessuno dei due, senza eccezioni, potrebbe essere predetto o spiegato, proprio come sostiene l’anomalismo mentale.
Tuttavia, ci sono due problemi. Primo, questo non escluderebbe certe leggi psicofisiche, come quelle della forma ‘ M 1 → P 1 ‘. E quindi non potrebbe fondare la tesi generale dell’anomalismo mentale. Ma, cosa più importante, lo stesso Davidson sostiene che le versioni meno controverse dell’indeterminatezza, avendo a che fare con schemi di riferimento divergenti, equivalgono a mere variazioni notazionali – come dice lui, il significato è ciò che non varia tra gli schemi di traduzione empiricamente adeguati (Davidson 1977, 225; 1999a, 81). E dato che tali schemi sono ottenuti mediante una funzione di permutazione puramente meccanica (Davidson 1979, 229-30), è uno stratagemma tecnico relativamente semplice tenere conto di questi diversi schemi quando si formulano leggi psicofisiche. Le leggi, ad esempio, potrebbero essere formulate con predicati disgiuntivi (‘ P 1 → ( M 1 ∨ M 2 ∨ M 3‘). Oppure, se tali predicati sono considerati problematici, le leggi potrebbero essere della forma ‘ P 1 → M * ‘, dove ‘M *’ individua l’elemento che non varia tra le teorie empiricamente equivalenti. Quindi non è affatto evidente che l’indeterminatezza in sé e per sé sia in grado di supportare un rifiuto generalizzato delle leggi deterministiche psicologiche o psicofisiche. E Davidson in fin dei conti ne è consapevole, affermando che l’anomalismo sarebbe valido anche se l’indeterminatezza non lo fosse (Davidson 1970, 222).
4.2 Gli argomenti della razionalità
Ciò che è responsabile della possibilità dell’indeterminatezza, tuttavia, è il ruolo del principio di carità nel formulare una teoria del comportamento di un’altra persona (Davidson 1970, 222-23). E questo principio è posto strettamente in relazione da Davidson con l’anomalismo mentale. Secondo questo principio, dobbiamo “cercare una teoria che lo reputi coerente, che creda nella verità e che ami il bene (tutto secondo le nostre stesse ragioni, ovviamente)” (Davidson 1970, 222). Nel processo che permette di giungere a comprendere un altro, attribuendogli stati ed eventi mentali e significati alle sue parole, dobbiamo, sostiene Davidson, essere pronti a modificare precedenti attribuzioni di significati e stati mentali ed eventi in base a nuovi elementi sulla persona e a come essa si relaziona al progetto complessivo di ricercare il suo comportamento intelligibile. Ci sono due punti chiave qui che per Davidson implicano l’anomalismo mentale. Primo, non abbiamo mai tutti gli elementi possibili: dobbiamo mantenerci aperti a interpretazioni migliori del comportamento precedente man mano che si scoprono nuovi elementi. L’interpretazione è sempre comunque modificabile. In secondo luogo, le interpretazioni “migliori” sono quelle fatte alla luce dell’ideale costitutivo della razionalità. Di conseguenza, sostiene Davidson,
non possono esserci strette connessioni tra le sfere [del mentale e del fisico], se ognuna vuole mantenere la propria fedeltà alle proprie prove. (Davidson 1970, 222)
La razionalità è definita da Davidson come costitutiva del mentale nel senso che qualcosa conta come mente – e quindi come oggetto idoneo ad attribuzioni psicologiche – se soddisfa determinati standard razionali. Questa idea costitutiva è aperta a interpretazioni più deboli e più forti. L’interpretazione più debole vede solo limitazioni logiche, semantiche o concettuali molto basilari nella comprensione degli altri – e quindi per ciò che è costitutivo delle menti – che consente una variazione significativa man mano che ci si allontana da questi verso principi più sostanziali del ragionamento pratico e del ragionamento teorico, e persino di più quando ci si allontana ulteriormente verso i desideri e i valori. L’interpretazione più forte sembra essere accennata dalla precedente citazione di Davidson. Nell’esigere coerenza, come credenze vere e desideri adeguati, tale interpretazione sembra richiedere di aumentare il più possibile l’accordo tra interprete e interpretato, e dunque arrivare a una concezione ottimale di ciò che è costitutivo per le menti. L’interpretazione più debole invece richiede semplicemente di ridurre il più possibile errori inspiegabili in merito alla creatura che viene interpretata, consentendo così deviazioni significative rispetto ai compiti psicologici che potrebbero essere richiesti dall’interpretazione più forte. In quest’ottica, l’interprete si pone nei panni dell’interpretato, riconoscendo limiti evidenti e cognitivi che potrebbero impedirgli di raggiungere la massima razionalità (Grandy 1973). Come vedremo in questa sezione, il modo in cui si interpreta la nozione di razionalità come costitutiva influenza direttamente il modo in cui viene interpretato il meccanismo dell’argomento dell’anomalismo mentale.
Sebbene Davidson non offra mai alcuna spiegazione di quale sia la corretta fonte delle prove per il fisico, spesso invoca la nozione di razionalità come attribuzione mentale vincolante, ed è chiaro che qualunque cosa limiti l’attribuzione fisica dovrebbe seguire una diversa e potenzialmente conflittuale direzione. Un modo suggestivo per arrivare all’idea di Davidson è attraverso la distinzione tradizionale tra concetti “normativi” e “descrittivi”. Quando cerchiamo di scoprire generalizzazioni nel mondo descritto fisicamente, quello che troviamo che segue da un certo insieme di condizioni fisiche è un fatto bruto; il nostro mondo è costituito in certi modi (dalle sue leggi che lo governano) che potremmo immaginare essere diverse. Potremmo giungere a un’indagine empirica con certi obblighi teorici che inevitabilmente ci portano a leggere i dati in un modo piuttosto che in altri. E possono effettivamente esistere, come afferma lo stesso Davidson, principi a priori costitutivi che disciplinano concetti fisici molto basilari come ‘oggetto’ ed ‘evento’ (Davidson 1970, 220; 1974b, 239; 1973a, 254; si veda 3.2). Tuttavia, i vincoli sono molto più flessibili e consentono un’ampia variazione in termini di contenuto empirico – di come gli eventi e gli stati fisici possano derivare dagli altri. Ciò è in contrasto con l’attribuzione mentale, dove la nozione normativa di razionalità esclude la possibilità che certi stati mentali derivino da altri. Questa linea di pensiero è suggestiva, ma necessita di un notevole rafforzamento.
4.2.1 I principi normativi vs i principi descrittivi (Kim)
La teoria di Jaegwon Kim sulla posizione di Davidson (Kim 1985) tenta di fare proprio questo. Kim sostiene che se ci fossero relazioni strettamente nomologiche tra predicati fisici e mentali, la “fattualità bruta” e la contingenza del fisico “infetterebbero” il mentale. Ad esempio, riflessioni sulla razionalità ci porteranno tipicamente ad attribuire una credenza q a una persona se le attribuiamo una credenza p e anche la credenza che p implica q. Secondo la teoria di Kim, le credenze che implicano relazioni logiche, semantiche o concettuali molto basilari come questa valgono per necessità – possiamo rendere conto dei mondi possibili in cui sono attribuite credenze dei primi due tipi, ma non del terzo.
Ora, questa può sembrare un’affermazione davvero potente, alla luce del rifiuto di Davidson di rigide leggi puramente psicologiche – l’anomalismo mentale rifiuta la possibilità di qualsiasi legge rigida in cui figurano i predicati mentali, ma qui Kim sembra applicare leggi della forma ” M 1 e M 2 → M 3 “. Kim risponderebbe che Davidson è interessato solo a rifiutare rigide leggi descrittive (cioè esplicative, predittive) e non leggi normative (vedi sotto).
Se i predicati fisici fossero in stretta relazione nomologica con i predicati mentali, questa contingenza “infetterebbe” il mentale nel senso seguente. Supponiamo che esistano leggi ponte deterministiche che correlano l’istanziazione di proprietà fisiche e mentali, “P 1 ↔ M 1” e “P 2 ↔ M 2“. Quindi, sostiene Kim, i principi razionali della forma “M 1 → M 2 ” consentirebbero la derivazione logica di leggi fisiche come ” P 1 → P 2 “. In effetti, sarebbe vero anche il contrario: a partire dalla legge fisica ‘ P 1 → P 2 ‘, e assumendo leggi ponte psicofisiche, si potrebbe derivare il principio razionale’ M 1 → M 2‘. Tuttavia, la natura metafisica del principio razionale e delle leggi fisiche sono molto diversi: i principi razionali sono necessari, veri in tutti i mondi possibili, mentre le leggi fisiche, essendo contingenti, non lo sono. In particolare, con le leggi ponte in vigore, una legge fisica contingente potrebbe spiegare (tramite derivazione) il principio razionale, compromettendo la sua natura, se necessario. Siccome sono le leggi ponte che permettono queste derivazioni problematiche, queste – e quindi le leggi deterministiche psicofisiche – devono essere rifiutate. Questo è il modo in cui Kim dà un senso alla suggestiva affermazione di Davidson secondo cui l’anomalismo mentale è fondato sul fatto che la spiegazione mentale e fisica deve affidarsi diverse prove. (Per un approfondimento, vedi il documento integrativo sull’epifenomenismo esplicativo).
L’argomentazione di Kim si basa su due assunti centrali. In primo luogo, presuppone che nessuna distinzione tra rigide leggi e leggi ceteris paribus debba giocare alcun ruolo nella ricomposizione dell’argomento di Davidson. Non è, presumibilmente, lo scopo di una legge psicologica che spiega l’asimmetria con le leggi fisiche, ma piuttosto il punto di ogni tipo di legge (Kim 1985, 381). In secondo luogo, presuppone che esista una netta distinzione tra leggi e relazioni descrittive, da un lato, e leggi e relazioni normative, dall’altro, che può sostenere il peso dell’anomalismo mentale (Kim 1985, 383). Il primo assunto è chiaramente errato: come è stato già notato, Davidson incentra l’attenzione sulle leggi deterministiche nelle sue discussioni sul monismo anomalo e consente esplicitamente la possibilità di leggi che incorporano predicati mentali. La strategia di reductio di Kim, quindi, non riuscirebbe a identificare in modo univoco il responsabile della generazione del problema come le leggi ponte, piuttosto che il principio razionale, leggi che sono tutte deterministiche. E mentre Davidson sottolinea lo statuto normativo dei predicati mentali, riconosce anche, come abbiamo già notato (3.2 e 4.2), una componente normativa della sfera del fisico nei principi a priori costitutivi . Non sembra esserci una distinzione significativa tra principi descrittivi e normativi nella teoria di Davidson che possa sostenere il peso dell’anomalismo mentale, come richiesto dall’interpretazione di Kim. (Per ulteriori discussioni sulla strategia interpretativa di Kim, vedi il documento integrativo sulla strategia di riduzione di Kim per determinare l’anomalismo mentale).
4.2.2 Immutabilità / non-modificabilità e razionalità forte come ideale (McDowell)
Anche John McDowell si concentra sulla natura normativa della razionalità, ma sostiene una concezione molto forte di razionalità come ideale costitutivo del mentale, includendo più delle semplici relazioni deduttive familiari – logiche, semantiche o concettuali – analizzate nella lettura di Kim (McDowell 1985, 391–4). McDowell sembra essere guidato da alcune delle più vaste formulazioni e discussioni del principio di carità di Davidson (4.2), che si estendono a principi più generali che governano l’azione e la formazione delle credenze, illustrati nelle discussioni di Davidson sull’irrazionalità (vedi Davidson 1982). Ad esempio, il principio di continenza richiede che si agisca sulla base di tutte gli elementi disponibili, e il principio dell’evidenza completa richiede che una persona creda all’ipotesi supportata da ogni prova che essa stessa fornisce. E le formulazioni generali implicano che la nostra concezione di razionalità includa concezioni di bene, e quindi la formazione di desideri razionalmente adeguati, estendendosi così oltre i vincoli sulla credenza e sull’azione. Secondo McDowell, chi è disposto a pensare che le semplici relazioni deduttive possano essere catturate in termini fisici (vedi Loar 1981) troveranno l’anomalismo mentale molto più difficile da rifiutare, quando si considera questa concezione più forte di razionalità.
Questa concezione più forte di razionalità mette McDowell nella posizione di sfruttare un divario cruciale tra le norme razionali e le spiegazioni effettive del comportamento:
Dopo un’iniziale difficoltà, ritenere intelligibile un’azione o un atteggiamento proposizionale non solo può trattarsi di gestire la spiegazione di qualche aspetto fino a quel momento meramente implicito della propria concezione di razionalità, ma addirittura può trattarsi di convincersi che la propria concezione di razionalità necessita di correzione, in modo tale da fare spazio a questa nuova modalità di intelligibilità. (McDowell 1985, 392)
Proprio come le nostre credenze sulle questioni empiriche possono essere errate in qualsiasi data occasione, e possiamo fare nuove scoperte in merito alla realtà empirica, allo stesso modo ciò avviene anche con la razionalità. Ovviamente questa affermazione è molto più credibile con la concezione più forte di razionalità che McDowell sta sostenendo, rispetto alla concezione più debole limitata a mere relazioni deduttive. McDowell prosegue sostenendo che a causa di questa caratteristica dobbiamo essere aperti alla possibile reinterpretazione del comportamento e degli stati psicologici di una persona alla luce della nostra concezione mutevole di razionalità, e come cambia non può essere anticipato in modo che la razionalità possa essere catturata in un insieme permanente di principi da cui si potrebbero derivare leggi rigide. Per questo motivo, la razionalità non è modificabile. Secondo McDowell, questo è ciò che sta alla base dell’anomalismo mentale.
Si potrebbe comprendere il ragionamento nel modo seguente: siccome è insito nella nostra concezione di “razionalità” che la nostra particolare comprensione del termine può essere errata in qualsiasi data occasione ed è anche intrinsecamente limitata, nessuna affermazione su generalizzazioni psicologiche o psicofisiche potrebbe esaurire, e quindi spiegare, la nostra concezione di razionalità. Se il concetto di razionalità non consiste semplicemente nella propria concezione, in un dato momento, di razionalità, allora non può essere catturato in termini di reali azioni che avvengono nel proprio cervello (lo stesso si può dire se sostituiamo “tutti” con “uno”). Pertanto, sono impossibili strette relazioni nomologiche tra il mentale e il fisico. Questo si contrappone in modo interessante alla strategia di Kim: secondo la lettura di McDowell, è in parte dovuto al fatto che nessuna affermazione dettagliata di un principio razionale potrebbe essere dichiarata necessariamente vera in merito al fatto che non possono esistere leggi psicofisiche.
Quando si considera l’argomento di McDowell, sorge una serie di domande. Egli sembra essere profondamente influenzato dalle osservazioni di Davidson sulla natura permanente dell’interpretazione (Davidson 1970, 223; vedi 4.2). Tuttavia, Davidson si appella al fatto che sono sempre in arrivo nuovi elementi, sotto forma di comportamento e contesto ambientale, che possono costringerci a rivedere le interpretazioni esistenti di un agente. Non si menzionano affatto standard mutevoli o concezioni di razionalità non-articolate o non-articolabili. In effetti, l’implicazione è che uno standard solido, quando si considerano nuovi elementi, può portare a interpretazioni riviste del comportamento precedente. Quindi McDowell sembra andare oltre le opinioni di Davidson sul concetto di razionalità. Infatti, l’idea che non si sia in grado di esprimere completamente un concetto nel modo suggerito da McDowell – che è in effetti ineffabile – non si adatta pienamente alle opinioni di Davidson sul relativismo concettuale e sul rifiuto dell’idea di linguaggi intraducibili (vedi il supplemento nella sezione “Questioni correlate (monismo anomalo e dualismo schema-contenuto)”.
Inoltre, e soprattutto, la peculiare affermazione di non-modificabilità di McDowell, che si basa su questa visione della razionalità, sembra essere troppo generale per sottoscrivere una tesi specifica come l’anomalismo mentale. Ciò diventa evidente quando ci si chiede perché le stesse caratteristiche, vere secondo lui per la nostra concezione di razionalità, non sono vere anche per i concetti chiave che si trovano nelle spiegazioni del mondo fisico. Sicuramente i nostri concetti di realtà fisica superano qualsiasi concezione particolare che abbiamo in un dato momento, e la possibilità di un’applicazione errata è insita in essi. E gli scienziati si trovano nella stessa posizione degli interpreti in termini di possibilità di nuovi elementi e del loro rapporto con il modo in cui gli elementi precedenti sono stati interpretati. Finora questo non sembra essere nient’altro se non un connubio di un punto completamente generale sui concetti e del classico problema dell’induzione, che affligge tutta l’indagine empirica. L’affermazione di McDowell secondo cui “qualcuno che vuole spiegazioni che abbiano a che fare con l’ideale deve essere consapevole che ci sarà sicuramente un divario tra la concezione attuale e la struttura ideale, tanto nel suo caso quanto in altri” (McDowell 1985, 392) non sembra determinare in modo univoco alcuna teoria esplicativa particolare. Pertanto, non può dirci nulla di peculiare sullo stato metafisico della psicologia.
Se, tuttavia, qui l’accento cade sui principi costitutivi in particolare – come sicuramente deve fare – allora sorgono altri due problemi. In primo luogo, il ragionamento di McDowell non ci dice che cosa esattamente, di tali principi, li renda immuni alla riduzione, poiché, come abbiamo appena visto, quel ragionamento non è riuscito a distinguerli dai concetti empirici nelle scienze fisiche. E in secondo luogo, come notato in 4.2, Davidson sostiene che esistono principi a priori costitutivi alla base delle scienze fisiche che svolgono in esse un ruolo analogo a quello che la razionalità svolge nella spiegazione psicologica. Quindi, vi è ancora la necessità di trovare una spiegazione del perché la psicologia e la fisica non possono instaurare uno stretto rapporto nomologico. Ora, abbiamo constatato che tali principi costitutivi fisici sono molto più permissivi della razionalità, consentendo una maggiore varietà di contenuti empirici – di quel che può derivare e da che cosa. Questo, infatti, spiega un’importante asimmetria tra la spiegazione mentale e quella fisica. E McDowell sottolinea fortemente questo punto nella sua discussione: che la razionalità limiti l’intelligibilità non è solo un fatto, mentre le spiegazioni fisiche hanno il loro fondamento nei fatti bruti (McDowell 1985, 394). Tuttavia, questo punto sembra essere del tutto scindibile dalla caratteristica distintiva della lettura di McDowell dell’argomento dell’anomalismo mentale – non ha niente a che fare, in particolare, con l’idea di razionalità come non modificabile nel senso specifico di McDowell. In effetti, questo è il punto cardine della strategia di Kim e sembra non avere alcuna relazione essenziale con le interpretazioni di McDowell sulla razionalità forte. Si può pensare alla razionalità come costitutiva, normativa e asimmetrica rispetto al fisico nel modo appena sottolineato – come fa Kim – senza accettare l’immagine che ne dà McDowell. Quindi sembra che la parte salvabile dell’argomento di McDowell a favore dell’anomalismo mentale alla fine si riduca alla teoria di Kim. L’immutabilità sembra essere una falsa pista.
Pertanto, nonostante le idee sulla natura dell’ideale della razionalità di McDowell siano estremamente raffinate e interessanti, alla fine essere non sembrano fornire una base sicura per affermare l’anomalismo mentale. È solo quel che si condivide con la strategia di Kim – l’asimmetria modale tra spiegazione razionale e fisica – che richiama direttamente l’anomalismo mentale. E questo fa sì che la lettura di McDowell si trovi ad affrontare quel tipo di preoccupazioni sollevate nella sezione 4.2.1.
4.2.3 L’argomento del contesto/della complessità (McDowell e Child)
Come abbiamo visto sopra, Kim pensa che l’anomalismo mentale sia soggetto ad una sorta di dimostrazione. Questo sembra essere qualcosa di più forte di quanto sostiene lo stesso Davidson (Davidson 1970, 215). Alla luce dell’umiltà di Davidson circa la provabilità e la mancanza di argomentazioni esplicite, alcuni commentatori (Child 1992; vedi anche McDowell 1979) hanno suggerito che la semplice riflessione sui tipi di generalizzazioni a cui attingiamo per comprenderci a vicenda sostiene (ma non può provare) l’anomalismo mentale. Tali generalizzazioni sono regole pratiche che valgono solo per la maggior parte dei casi e richiedono, per la loro applicazione a uno specifico di essi, un’integrazione contestuale dettagliata che, per sua natura, non può essere inclusa in qualcosa come una generalizzazione universale. L’idea è che l’enorme quantità di dettagli contestuali che dovrebbero essere considerati per qualsiasi affermazione che ha anche solo la speranza di essere vera non è adatta per l’integrazione di affermazioni deterministiche nomologiche. Un’altra strategia è quella di indicare una mancanza di fini fissi e predeterminati a cui tutti gli esseri umani (o anche un particolare essere umano nel corso della sua vita) mirano in situazioni di scelta o di valori da massimizzare quando si decide cosa credere (come la semplicità, la portata e la coerenza nel caso della scelta teorica) (Child 1992). L’idea espressa qui è che se non ci sono tali fini o valori fissi, allora nessuna generalizzazione psicologica potrebbe essere completa, poiché in contesti particolari tali fini o valori svolgono un ruolo esplicativo cruciale nel determinare cosa fare o credere.
Sembrerebbe, tuttavia, che la riflessione sul grado di dettaglio richiesto per le leggi deterministiche nelle scienze fisiche non riesca qui a contemplare un’interessante asimmetria. Se si considera il numero di fattori che dovrebbero essere presi in considerazione per stabilire le condizioni che garantiscano che quando un fiammifero viene acceso produrrà una fiamma, la legge rigida risultante sarebbe piuttosto complessa, e in un modo non ovviamente diverso da qualsiasi legge deterministica putativa in cui figurano i predicati mentali, con caratteristiche contestuali incluse. E se davvero non ci sono fini o valori fissi nella sfera della scelta e di una decisione, questo può essere adattato allo stesso modo – i fini o i valori contestuali potrebbero essere essi stessi inclusi nelle leggi rigide putative. Ciò complicherebbe ed amplierebbe l’insieme di tali leggi, ma come già sottolineato questo non è qualcosa che distingue le generalizzazioni mentali da quelle fisiche. (Per ulteriori discussioni sulla razionalità e l’argomento del monismo anomalo, vedi Yalowitz 1997 e Latham 1999.)
4.3 L’argomento della definizione causale
Abbiamo esaminato diversi modi per giustificare e rendere conto dell’affermazione di Davidson secondo cui l’anomalismo mentale deriva dal ruolo costitutivo della razionalità nell’attribuzione mentale. Negli scritti di Davidson, tuttavia, emerge spesso un’altra linea argomentativa che si concentra meno sulla natura razionale degli eventi mentali e più sulla loro natura causale. Come abbiamo già visto, nel suo primo lavoro sull’azione Davidson sosteneva che le ragioni spiegano le azioni causandole, e in seguito arrivò a sottolineare che ciò che rende gli stati mentali e gli eventi ciò che sono è determinato in parte dalle loro cause ed effetti. Particolari spiegazioni psicologiche sono causali (ossia ricorrono a cause – Davidson 1963) e sono formulate in termini di concetti definiti in modo causale (per i caratteri proposizionali, vedi Davidson 1987b, 41; per i contenuti mentali, vedi Davidson 1987a, 44). In lavori successivi, egli nota frequentemente la natura anomica dei concetti (e delle spiegazioni) causali, e come per questo le proprietà mentali e le spiegazioni delle ragioni siano anomiche – “le spiegazioni della ragione […] sono in un certo senso di bassa qualità; spiegano meno delle migliori spiegazioni nelle scienze dure a causa della loro forte dipendenza dalle inclinazioni causali” (Davidson 1987b, 42; vedi anche Davidson 1991, 162). Se i concetti mentali sono definiti in modo causale e le leggi rigide non utilizzano concetti definiti in modo causale, allora sembra che da questo derivi immediatamente l’anomalismo mentale, senza bisogno di alcuna deviazione attraverso questioni riguardanti la razionalità dei concetti mentali.
Ampliando questo ragionamento, Davidson scrive che
i concetti mentali […] fanno appello alla causalità perché sono progettati, come il concetto stesso di causalità, per individuare nella totalità delle circostanze che causano un dato evento proprio quegli elementi che soddisfano un particolare interesse esplicativo. (Davidson 1991, 163)
Questo permette di fondare la definizione causale di proprietà anomiche (mentali o meno) nel fatto che rispondono a particolari interessi esplicativi. Ciò si contrappone al caso delle proprietà “fisiche universali”: “La spiegazione in termini di fisica universale, sebbene risponda a vari interessi, non è relativa agli interessi stessi” (Davidson 1987b, 45). Questo sembra far crollare la distinzione tra psicologia e tutte le altre scienze speciali rispetto alla questione dell’anomalismo. Tutte le scienze speciali rispondono a particolari interessi esplicativi e sono quindi selettive per quanto concerne la condizione sufficiente per un tipo di effetto (si veda Davidson 1987b, 45). La definizione causale, e quindi l’anomalismo, dei loro vocabolari è dovuta a questa relatività e selettività di interesse. La “fisica universale”, d’altra parte, “tratta ogni cosa senza eccezioni come causa di un evento, se si trova nella sfera fisica (rientra nel cono di luce che conduce all’effetto)” (Davidson 1987b, 45).
Davidson ripete questo tipo di affermazioni sulla natura anomica delle proprietà definite causalmente in diversi scritti successivi, ma in nessuno le mette chiaramente in relazione con le sue prime osservazioni sul ruolo costitutivo della razionalità nell’attribuzione psicologica. E non fornisce mai argomenti a sostegno di questa tesi generale sulla causalità. È naturale chiedersi perché, data questa tesi generale sui concetti causalmente definiti, si debba pensare che la razionalità sottoscriva l’anomalismo mentale. E diventa fondamentale sapere perché quella tesi generale è possibile (per la discussione, vedi Yalowitz 1998a).
Per quanto riguarda il primo problema, ci sono alcune prove che mostrano come Davidson confonda due questioni distinte: perché i concetti mentali non possono stare in relazione nomologica con i concetti fisici e perché i concetti mentali non possono essere sostituiti dai concetti fisici nella spiegazione del comportamento umano. Data la tesi generale sulle proprietà causalmente definite, possiamo comprendere per quale motivo i concetti mentali sono anomici. Ma questo lascia aperta la questione se dobbiamo continuare a parlare di concetti anomici in generale e di concetti mentali in particolare. Perché non sostituirli con concetti fisici nomici? A questo punto si può pensare che la razionalità dei concetti mentali fornisca una risposta. Se vogliamo comprendere il motivo per cui un agente ha eseguito una data azione, anziché avere una spiegazione causale completa e sufficiente del motivo per cui il suo corpo si è mosso in quel modo, siamo interessati a una spiegazione selettiva – quella parte della condizione sufficiente totale che soddisfa i particolari interessi esplicativi delle spiegazioni delle ragioni (Davidson 1991, 163). Questi interessi evidenziano la natura normativa della ragione e dell’azione, la loro reattività al principio di carità e all’ideale di razionalità. La razionalità, per questa linea di pensiero, non tiene conto in alcun modo dell’anomalismo mentale, ma affronta la questione del realismo mentale (vedi 6.2). (Per ulteriori discussioni sulla natura anomica dei concetti causalmente definiti e il suo rapporto con il monismo anomalo, vedi Yalowitz 1998a. Per ulteriori informazioni sulla relazione tra spiegazione razionale e realismo mentale, vedi il supplemento sull’epifenomenismo esplicativo. Per ulteriori discussioni relative all’argomento della definizione causale, vedi 6.3 il supplemento nella sezione “Questioni correlate (Anomalismo mentale ed esternismo semantico)”.
5. Monismo
Finora abbiamo esaminato le tre premesse di Davidson a sostegno del monismo anomalo – l’interazione, la legge di causa e i principi dell’anomalismo. In questa sezione, esaminiamo la conclusione che Davidson trae sulla base di questi principi – la teoria dell’identità delle occorrenze degli eventi mentali, secondo cui ogni evento mentale che si relazione in modo causale è identico a un evento fisico. Esamineremo la derivazione e la natura di questa teoria, alcune domande sulla sua correttezza, nonché l’ulteriore tesi secondo cui le proprietà mentali sopravvengono sulle proprietà fisiche. Come vedremo, sia le affermazioni di identità occorrente sia quelle di sopravvenienza risultano controverse, sia nello spiegare le ragioni, sia nella loro coerenza con l’anomalismo mentale. Un punto chiave da tenere a mente giunti fin qui è che il monismo dovrebbe derivare da principi e da altri assunti che, presi individualmente, potrebbero essere accettati anche da posizioni che si oppongono al monismo.
Per cominciare, vale la pena sottolineare che Davidson si occupa solo dello statuto ontologico degli eventi e non delle sostanze. Descartes, ad esempio, affermò che mente e corpo sono entità distinte. Sebbene la posizione di Descartes abbia implicazioni per le spiegazioni degli eventi mentali, le questioni riguardanti l’evento e l’identità della sostanza sono distinte (vedi Latham 2001). Davidson, tuttavia, ritiene di aver definito qualcosa che non può in alcun modo stare con il dualismo cartesiano, ed è utile guardare brevemente come il monismo anomalo influenza il dualismo delle sostanze.
Secondo Descartes, mente e corpo sono sostanze distinte in parte perché non condividono proprietà essenziali in comune. In particolare, le menti non occupano una posizione spaziale, mentre i corpi sì. Poiché gli eventi mentali rappresentano quindi variazioni che avvengono in un’entità non localizzata nello spazio, anch’essi non occupano una regione spaziale. Gli eventi corporei, invece, occupano posizioni spaziali in quanto sono variazioni nelle sostanze materiali, che a loro volta sono situate nello spazio. Secondo Descartes, quindi, particolari eventi mentali e fisici non possono essere identici per occorrenza, poiché non condividono una proprietà fondamentale senza la quale l’identità non è intellegibile. Sebbene il monismo anomalo non sia ufficialmente interessato allo statuto ontologico delle sostanze, sembra però implicare conseguenze che non sono coerenti con il dualismo delle sostanze di Descartes – anche se non stabilisce di per sé un monismo delle sostanze, esso rifiuta il pensiero cartesiano secondo cui gli eventi mentali e fisici non sono identici, e dunque si contrappone a uno degli elementi fondamentali del dualismo delle sostanze cartesiano.
5.1 Identità delle occorrenze
La struttura della derivazione di Davidson dell’identità delle occorrenze di eventi mentali che interagiscono in modo causale con eventi fisici non sembra essere complessa: gli eventi mentali che interagiscono in modo causale (principio di interazione) devono istanziare alcune proprietà di leggi specifiche, (principio della legge di causa), ma le proprietà mentali non sono adatte ad essere incluse in leggi specifiche (principio di anomalismo). Quindi, gli eventi mentali devono istanziare qualche altra proprietà, che è adatta a tale inclusione. Dato il riferimento alla chiusura causale del mondo fisico di Davidson, secondo la quale ogni evento fisico ha una spiegazione fisica, egli giunge piuttosto rapidamente alla conclusione che quest’altra proprietà deve essere fisica, poiché la chiusura implica che le proprietà fisiche abbiano uno statuto privilegiato, il che suggerisce di impegnarsi in leggi specifiche. (Davidson ha anche la tendenza a identificare semplicemente come “fisiche” quelle proprietà che figurano in leggi specifiche (Davidson 1970, 224; 1995a, 266), ma questo naturalmente porterebbe alla questione dell’anomalismo mentale.) Di conseguenza, gli eventi mentali che interagiscono in modo causale devono essere token–identici agli eventi fisici, escludendo il dualismo cartesiano e le altre forme di dualismo.
Ci sono notevoli problemi con la deduzione della chiusura causale del mondo fisico in riferimento a Davidson (per la discussione, vedi il supplemento sulla chiusura causale del mondo fisico nell’argomento a favore del monismo anomalo). In ogni caso, è difficile capire come Davidson possa passare dall’affermare che gli eventi mentali devono istanziare proprietà di leggi specifiche e non mentali all’asserzione che queste proprietà debbano essere fisiche, senza assumere la chiusura causale del mondo fisico. Perché assumere che solo le proprietà “fisiche” sono nomiche? Ciò solleva questioni interessanti sullo stato nomico di altre scienze speciali – quelle qui rilevanti sono la biologia e la chimica – ma non sembrano esserci possibilità chiare e distinte nel pensiero di Davidson per affrontare questo problema. Yalowitz 1998a, tuttavia, ha fornito un’interpretazione del monismo anomalo sottolineando le opinioni di Davidson sulla causalità e lo stato nomico delle disposizioni (vedi 4.3) in cui la chiusura causale si deriva dal principio della legge di causa, dalla identità delle occorrenze e dall’anomalismo delle proprietà definite causalmente. Secondo tale interpretazione, le proprietà delle leggi specifiche che gli eventi mentali devono istanziare risultano essere fisiche dal momento che solo le proprietà fisiche non sono individuate causalmente. Tutte le proprietà delle scienze speciali, invece, sono individuate causalmente e tutte queste proprietà sono anomiche.
La teoria dell’identità delle occorrenze di Davidson è di gran lunga differente dalle precedenti teorie dell’identità della mente, sia per lo stato a priori che per la sua posizione nei confronti della funzione che assumono le leggi nel giustificare il monismo. Le teorie precedenti sostenevano che le affermazioni inerenti all’identità di particolari eventi mentali e fisici dipendevano dalla scoperta di relazioni di tipo nomologico tra le proprietà mentali e fisiche. Così, queste teorie ritenevano che l’evidenza empirica a sostegno di tali leggi fosse richiesta per specifiche rivendicazioni di identità. Sulla base del monismo anomalo, tuttavia, è proprio perché non possono esserci leggi così specifiche che gli eventi mentali che interagiscono causalmente devono coincidere con qualche evento fisico. La teoria dell’identità delle occorrenze non richiede quindi alcuna prova empirica e dipende dall’assenza di relazioni nomologiche. In effetti, Davidson giustifica l’identità delle occorrenze degli eventi fisici e mentali sostenendo l’impossibilità di identità di tipo tra proprietà fisiche e proprietà mentali (Davidson 1970, 209, 212-13; vedi Johnston 1985).
Un punto importante per comprendere la versione di Davidson dell’identità delle occorrenze è che egli non sta semplicemente derivando la conclusione che gli eventi mentali hanno una proprietà che intuitivamente riconosciamo come “fisica” (come la posizione spaziale). Come è stato fatto notare in 2.1, le proprietà “fisiche” rilevanti dovrebbero presumibilmente somigliare al tipo di proprietà attualmente invocate in fisica, la nostra scienza più matura e quella più vicina all’emanazione di leggi specifiche. Tale punto ha suscitato numerose obiezioni alla teoria dell’identità delle occorrenze di Davidson, ma è anche stato trascurato da alcuni oppositori (vedi sotto). L’affermazione principale di Davidson è che ciò che rende un evento mentale identico a un evento fisico è che l’evento mentale ha una descrizione fisica. Nella formulazione originale di Davidson, il monismo prevedeva che ogni evento mentale potesse essere additato in modo univoco utilizzando solo nozioni fisiche (1970, 215). È questa la posizione che è diventata il bersaglio di alcuni critici di Davidson (5.2). Ciononostante, Davidson finì per negare esplicitamente che il suo monismo lo obblighi a fornire descrizioni di eventi o azioni mentali in termini fisici adatti a leggi specifiche (Davidson 1999d, 639; 1999b, 653–4). Egli ha osservato che le leggi specifiche diranno qualcosa sul fatto che “ogni volta che c’è una certa distribuzione di forze e materia in un campo di una certa dimensione al tempo t, seguirà una certa distribuzione di forze e materia in un campo di una certa dimensione al tempo t′” (Davidson 1999d, 639). Inoltre, ha affermato che sia gli antecedenti che i conseguenti di tali leggi, quando ricoprono particolari eventi e azioni mentali, copriranno regioni dello spazio molto più ampie del semplice agente o della sua azione. Perché? Perché mentre le singole affermazioni causali sono particolari, e pertanto selezionano a partire da un insieme completo di fattori causali quelli che sono rilevanti o in linea con i nostri interessi esplicativi particolari, le leggi specifiche non li selezionano autonomamente: “Questo è ciò che le rende specifiche e determinate” (Davidson 640; vedi Yalowitz 1998a per una discussione estesa di questo problema e del suo rapporto con l’argomento sia dell’anomalismo mentale che del monismo). Davidson si sofferma sul modo in cui questo punto di vista influisce sulla rivendicazione di unicità nella versione ufficiale del monismo anomalo, eliminando tale affermazione a favore dell’idea più blanda che “una descrizione fisica si applica a ciascun evento mentale” (Davidson 1999b, 654). Per quanto sottile possa sembrare, questo sembra essere un cambiamento fondamentale nel pensiero di Davidson sul monismo, sebbene rimanga inesplorato nei suoi ultimi lavori e non sia riuscito ad attirare l’attenzione dei suoi critici.
In ogni caso, dunque, il monismo anomalo non eredita il problema di come giustificare identificazioni specifiche tra eventi mentali ed eventi fisici, perché l’affermazione secondo cui esiste una descrizione fisica per ogni evento mentale è stabilita puramente a priori; e le descrizioni fisiche non sono (anzi, non possono essere) specificabili in termini spaziali e temporali precisi ed univocamente individuabili. Come stiamo per vedere (5.2), ognuno di questi punti è ignorato da molti dei critici di Davidson. Che quest’ultimo venga trascurato è comprensibile, visto la sua tarda formulazione. Tuttavia, il primo punto è sempre stato essenziale ed è strano che i critici non siano stati capaci di apprezzarlo.
In aggiunta Davidson afferma che la relazione tra le proprietà mentali e fisiche non è semplicemente casuale o fortuita. Tra i due si instaura una relazione di sopravvenienza (Davidson 1970, 214; 1973a, 253; 1993; 1995a, 266). (Davidson non sostiene mai la sopravvenienza. Per la discussione, vedi il supplemento sulla sopravvenienza e il primato esplicativo del fisico.) Un’affermazione funzionale riguardante tale relazione è che se due eventi non condividono una proprietà mentale, non condivideranno almeno una delle proprietà fisiche (Davidson 1995a, 266) – o, allo stesso modo, se due eventi condividono tutte le loro proprietà fisiche, condivideranno tutte le loro proprietà mentali. Ciò ha lo scopo di esprimere chiaramene una sorta di dipendenza del mentale dal fisico, e rispettivamente una sorta di primato esplicativo del fisico, ma senza rivendicare alcun tipo di relazione riduttiva tra il mentale e il fisico.
La verità di questa affermazione dipende, apparentemente, dall’idea che la distribuzione delle proprietà fisiche in qualche modo spieghi la distribuzione delle proprietà mentali – la mancata condivisione di una proprietà mentale dipende/è spiegata dalla mancata condivisione di almeno una proprietà fisica. La relazione di sopravvenienza è normalmente intesa come problema nelle generalizzazioni del seguente tipo: “P1 → M1”, “P2 → M1”, ecc. (Dove antecedente e conseguente si verificano contemporaneamente). Ciò consente la possibilità empirica che un numero di stati fisici di diverso tipo siano alla base dello stesso tipo di stato mentale (per ulteriori informazioni su questo punto, vedi il supplemento nella sezione “Questioni correlate (Anomalismo mentale ed esternismo semantico)”. Ciò, però, sembra anche suggerire l’esistenza di relazioni di tipo nomologico tra proprietà fisiche e mentali, e quindi sembra essere in tensione con l’anomalismo mentale. Questo problema verrà esaminato nella sezione 5.3.
5.2 Obiezioni all’identità delle occorrenze
La tesi dell’identità delle occorrenze è stata oggetto di numerose critiche interessanti. Molti di loro, tuttavia, sono difficili da porre appieno in relazione con la particolare versione della tesi di Davidson, principalmente perché la sua tesi è derivata a priori dalle altre premesse strutturali. Così, ad esempio, è stato affermato che gli eventi mentali non sostengono il peso della precisione spazio-temporale degli eventi fisici, di cui avrebbero bisogno se i primi fossero veramente identici ai secondi (Hornsby 1981; Leder 1985). Ad esempio, sembrerebbe illegittimo identificare la deduzione di una conclusione da un ragionamento con un particolare evento neurale o un insieme di eventi neurali che si verificano in un momento e in un luogo specifico nel cervello, specialmente data la micro-precisione della struttura nervosa. Si confronti il tentativo di fornire una descrizione fisica per l’azione di rimborso di un debito: come possono essere determinati i parametri spazio-temporali con la precisione richiesta dal linguaggio della fisica? Distinguere “l’evento fisico” in opposizione alle sue cause e i suoi effetti può sembrare arduo, se non addirittura privo di senso (Leder 1985; vedi anche Di Pinedo 2006). Inoltre, è stato affermato che l’unica prova empirica possibile per specifiche affermazioni riguardati l’identità delle occorrenze potrebbe essere l’identità di tipo tra quelle o altre proprietà mentali e fisiche, perché le prove devono essere tratte da casi differenti così da estrapolare solo coincidenze con eventi identici (Leder 1985).
Tali obiezioni diventano difficili da valutare data la procedura a priori di Davidson per stabilire la tesi dell’identità delle occorrenze. A queste critiche Davidson può replicare che sappiamo già, a priori, che ogni particolare evento mentale deve istanziare qualche proprietà fisica se interagisce causalmente con qualsiasi evento mentale o fisico, dati i principi della legge di causa e dell’anomalismo. Le domande legate a come questa proprietà fisica, qualunque essa sia, si relazioni alle proprietà attualmente invocate dalle neuroscienze vengono successivamente e sono inevitabilmente secondarie a questa conclusione monistica. E non vi è alcuna garanzia (anzi, è abbastanza improbabile) che le proprietà neuroscientifiche attualmente in voga siano adatte ad essere proprietà per leggi specifiche. Come abbiamo appena visto (5.1), Davidson finì per associare esplicitamente le proprietà fisiche che coprono eventi mentali con ampie descrizioni che coprono vaste regioni spazio-temporali. Inoltre, porterebbe a confondere l’epistemologia con la metafisica, in quanto possiamo stabilire quale proprietà fisica un evento-token mentale istanzia solo facendo affidamento su alcune correlazioni di tipo tra altre proprietà mentali e fisiche, le affermazioni di identità delle occorrenze presuppongono l’identità di tipo. Il modo in cui scopriamo le proprietà fisiche specifiche è una cosa. Se possono esistere leggi psicofisiche è tutt’altra cosa, e non viene risolta scoprendone l’esistenza.
Dobbiamo anche tenere presente che Davidson accoglie la possibilità di legami fisico-mentali sostanziali (le cosiddette leggi psicofisiche ceteris paribus), che affrontano direttamente tali questioni epistemologiche. Più in generale, l’affermazione dell’identità delle occorrenze di Davidson è che i predicati che formano il lessico scientifico delle leggi specifiche finora sconosciute potranno essere usati per descrivere eventi mentali. Seppur non si possa giudicare questa affermazione appellandosi alle caratteristiche delle attuali neuroscienze, pare altresì opportuno prevedere che ci si potrà pronunciare sulle preoccupazioni in merito alla sua possibilità. Inoltre, mettendo da parte le idee successive di Davidson, mentre attualmente non ci occupiamo di attribuire parametri spaziotemporali a grana fine agli eventi mentali, non sembra scontato che arriveremo ad accettare tali attribuzioni sulla base di considerazioni teoriche, senza per questo impegnarci di conseguenza sull’esistenza di identità di tipo. Ad ogni modo, la posizione ufficiale di Davidson, all’inizio e alla fine, è sempre stata che non occorre essere in grado di fare tali attribuzioni per affermare l’identità delle occorrenze: ci devono semplicemente essere questi effettivi attributi, e questo è qualcosa che sappiamo sulla base di un argomento puramente a priori. (Davidson 1999b; per ulteriori discussioni su questo problema, vedi il supplemento nella sezione “Visioni correlate (materialismo minimale)”; per una diversa critica dell’identità delle occorrenze, vedi il supplemento sempre nella sezione “Visioni correlate (Altre posizioni)”. Per una critica basata sulla trattazione di Davidson della spiegazione causale, vedi Horgan e Tye 1985. Per la discussione sull’obiezione per cui il monismo di Davidson è troppo debole per giustificare l’etichetta di “materialismo”, vedi il supplemento sull’identità delle occorrenze e il materialismo minimale).
5.3 La sopravvenienza è compatibile con il monismo anomalo?
Abbiamo visto che Davidson integra il suo monismo con un assunto di sopravvenienza. Ci sono molte concezioni differenti della relazione di sopravvenienza (vedi Kim 1993b), e in definitiva Davidson arrivò a identificare la sua versione con quella che viene denominata sopravvenienza “debole”, in contrasto con la sopravvenienza “forte” e “globale”. In breve, le principali differenze tra queste posizioni sono le seguenti. La sopravvenienza debole pone in relazione determinate proprietà fisiche e proprietà mentali all’interno, ma non attraverso mondi possibili, mentre la sopravvenienza forte collega queste proprietà attraverso i mondi. La sopravvenienza globale pone in relazione la classe delle proprietà mentali nel suo insieme con la classe delle proprietà fisiche nel suo insieme all’interno, ma non attraverso i mondi, evitando di limitare le relazioni tra coppie specifiche di proprietà mentali e fisiche. La sopravvenienza debole si riduce all’idea che le proprietà mentali dipendano da quelle proprietà fisiche con cui sono associate all’interno di un particolare mondo possibile, ma quelle stesse proprietà fisiche possono, in un altro mondo possibile, essere correlate con proprietà mentali molto diverse (o addirittura nessuna). La sopravvenienza debole è quindi più forte della sopravvenienza globale, in quanto pone correlazioni tra particolari coppie di proprietà mentali e di proprietà fisiche, ma è più debole della sopravvenienza forte in quanto riconosce la possibilità che queste correlazioni non si riescano ad ottenere in altri mondi possibili. (Va notato che Davidson non ha mai confrontato le sue opinioni inerenti alla sopravvenienza con le sue opinioni successive, sopraindicate, sulla vasta natura delle proprietà fisiche che gli eventi mentali devono istanziare in base al monismo anomalo. Non è affatto chiaro se o come questi punti di vista possano essere combinati. Nella seguente discussione sulla sopravvenienza, questa complicazione verrà ignorata e si assumerà che le proprietà fisiche in questione non siano connotate da una vasta natura, poiché questo è il modo in cui le discussioni di Davidson sulla sopravvenienza sembrano procedere, e certamente è ciò che i suoi critici presuppongono.)
L’aspetto sconcertante della dottrina della sopravvenienza di Davidson sorge indipendentemente dai punti fini di disaccordo tra le contrastanti idee di sopravvenienza abbozzate sopra. Oltre al fatto che la dipendenza intercorra tra particolari proprietà mentali e particolari proprietà fisiche, o insiemi delle due, e che la dipendenza sia o meno solo all’interno o anche attraverso mondi possibili, ciò sembra implicare che esisteranno leggi specifiche grazie alle quali gli eventi mentali potranno essere previsti e spiegati, cosa che avrebbe dovuto essere esclusa dal principio di anomalismo. Davidson a volte afferma (Davidson 1995a, 266) che la sopravvenienza è in realtà implicata dal monismo anomalo: in tal caso si potrebbe dire che il monismo anomalo stesso è una teoria incoerente – poiché implica che non possono esistere leggi psicofisiche specifiche (principio dell’anomalismo) e che devono comunque esistere tali leggi (sopravvenienza). Tuttavia, in generale, la sua posizione sembrerebbe essere che il monismo anomalo è semplicemente coerente con la sopravvenienza (Davidson 1993, 7). Se la sopravvenienza e il monismo anomalo fossero davvero incoerenti, e la prima venisse rigettata, sorgerebbe la questione della plausibilità di una posizione materialista senza alcuna relazione distinguibile tra proprietà mentali e fisiche (vedi il supplemento sulla sopravvenienza e il primato esplicativo del fisico). (L’avvertenza sulla correlazione tra le opinioni successive di Davidson sulle descrizioni fisiche e la sopravvenienza annotata alla fine di 5.1. qui dovrebbe essere tenuta presente.)
Perché la sopravvenienza sembra produrre leggi specifiche? Quando Davidson enunciò inizialmente l’affermazione della sopravvenienza, la articolò nei seguenti termini: “Non possono esserci due eventi uguali sotto tutti i punti di vista fisici, ma diversi sotto alcuni punti di vista mentali” (Davidson 1970, 214)). Questa formulazione sembra implicare determinate leggi psicofisiche della forma “P1 → M1”. Successivamente, Davidson si concentrò sull’inversione di questa formulazione: “Se due eventi non condividono una proprietà mentale, non condivideranno almeno una proprietà fisica” (Davidson 1995a, 266). Il vantaggio di questa riformulazione è che mette in evidenza il fatto che le differenze fisiche richieste non devono necessariamente essere le stesse in ogni caso di differenza mentale (vedere Davidson 1973a, 253–254). Come dice Davidson:
nonostante la sopravvenienza comporti che qualsiasi cambiamento in una proprietà mentale p di un particolare evento e sarà accompagnato da un cambiamento nelle proprietà fisiche di e, ciò non implica che un cambiamento in p in altri eventi sarà accompagnato da un cambiamento identico nelle proprietà fisiche di quegli altri eventi. Solo quest’ultima implicazione sarebbe in contrasto con il [monismo anomalo]. (Davidson 1993, 7)
Tuttavia, pare che qui ci siano due problemi. In primo luogo, la riformulazione inversa implica effettivamente la tesi originale – che se due eventi condividono tutte le proprietà fisiche, allora condivideranno tutte le proprietà mentali – e così, ancora una volta, si producono determinate leggi psicofisiche. In secondo luogo, anche se i cambiamenti fisici correlati possono essere diversi, ciò genera semplicemente leggi psicofisiche più specifiche: “P1 → M1”, “P2 → M1” e così via. Quindi, è difficile capire perché Davidson pensi che la seconda formulazione sia compatibile con il principio dell’anomalismo.
Alcuni sostenitori di Davidson (Child 1992, 224; vedi anche Davidson 1973, 258) hanno risposto all’apparente contrasto tra sopravvenienza e anomalismo mentale evidenziando che il grado di specificazione che tali leggi dovrebbero avere nella loro formulazione le renderebbe inutili per la previsione, poiché è improbabile che le condizioni importanti iniziali si ripetano. Ciò nonostante, come abbiamo visto (4.2.3), questo sembra essere vero per qualsiasi candidato a una legge specifica: bisogna tenere in considerazioni tutte le possibili condizioni di interferenza, e così facendo diventa piuttosto inutile per la formulazione di previsioni. E in ogni caso, tali leggi fornirebbero comunque spiegazioni specifiche degli eventi mentali, contrariamente alla formulazione stessa di Davidson dell’anomalismo mentale. Rimane dunque il problema che le “leggi” di sopravvenienza sembrano porre al principio di anomalismo.
Altri sostenitori di Davidson (vedi Macdonalds 1986) hanno risposto a questo problema sostenendo che l’esistenza di leggi di sopravvenienza specifiche è compatibile con l’anomalismo mentale fintanto che non siamo effettivamente in grado di enunciare tali leggi e quindi in grado di usarle per prevedere e spiegare gli eventi mentali reali, il che è certamente il caso attuale e probabile per un futuro prossimo. Questo suggerimento sfrutta una interpretazione letterale della versione ufficiale di Davidson del principio dell’anomalismo, che nega la possibilità di leggi specifiche sulla cui base gli eventi mentali possono essere spiegati o previsti. Ma così facendo, il monismo anomalo diventa una posizione molto più debole, dipendente dai limiti conoscitivi degli esseri umani. In effetti, diventa una potenziale posizione epistemologica piuttosto che la dottrina metafisica necessaria che pretende di essere.
Davidson offre in un’unica sede un’ipotesi ben diversa in risposta al problema. Afferma che le relazioni di sopravvenienza tra predicati fisici e mentali che secondo lui sono di natura ceteris paribus. Egli accetta la condizione secondo cui qualsiasi resoconto soddisfacente della relazione tra proprietà mentali e fisiche deve consentire il ricorso a correlazioni e dipendenze locali tra proprietà fisiche e mentali specifiche (Davidson 1993, 9). Ma blocca qualsiasi implicazione da questo requisito a rigide leggi psicofisiche, suggerendo che tali “correlazioni” e “dipendenze” sono della forma ceteris paribus.
Una tale concezione di natura ceteris paribus per la sopravvenienza non è stata discussa nella vasta bibliografia sull’argomento (la sua possibilità è riconosciuta e approvata da Kim 1995, 136; tuttavia, vedi Kim 1993, 24-25) e non è chiaro se possa fornire una nozione adeguatamente forte di dipendenza per soddisfare le intuizioni materialiste. Tuttavia, sembra essere un modo interessante per conciliare la sopravvenienza con l’anomalismo mentale, affinché il monismo anomalo rimanga una teoria coerente.
6. Le obiezioni dell’epifenomenismo
È stato ampiamente sostenuto che il monismo anomalo non può evitare l’epifenomenismo, l’idea secondo cui gli eventi mentali sono privi di poteri causali/esplicativi. Ad un primo approccio, il problema è sollevato da una tensione tra l’anomalismo mentale e lo stato apparentemente privilegiato assegnato alle proprietà fisiche nel framework di Davidson – nello specifico, che tutti gli eventi sono fisici e tutti gli eventi fisici hanno una spiegazione rigorosa ricorrendo ad altri eventi fisici. Dunque, diventa importante chiedersi che tipo di ruolo causale/esplicativo possono svolgere le proprietà mentali quando tutti gli eventi hanno già una spiegazione fisica.
Alcuni sono favorevoli a questa conclusione, ritenendo che gli eventi mentali spieghino le azioni in un modo sui generis non responsabile in termini di tipiche spiegazioni scientifiche (vedi von Wright 1971; Stoutland 1976; Wilson 1985; Ginet 1995; Campbell 1998 e 2005 e la discussione correlata nel supplemento sull’epifenomenismo esplicativo). Molti, tuttavia, vedono questa accusa come devastante per le teorie che sostengono la possibilità che il monismo anomalo occupi una posizione tra il materialismo riduzionista e il dualismo. Senza un ruolo causale proprio degli eventi mentali nella spiegazione dell’azione, molti pensano che gli mancherebbe quel tipo di forte concretezza necessaria per competere con il riduzionismo e il dualismo. In questa logica, solo i poteri causali possono giustificare il realismo mentale. Quindi, se il monismo anomalo non può evitare l’epifenomenismo, sembra aprire le porte al materialismo eliminativista, che afferma che il lessico e le spiegazioni mentali sono vuoti e che dovrebbero essere respinti e sostituiti dalle neuroscienze (assumendo, il che sembra estremamente dubbio, che le neuroscienze stesse possano fornire leggi specifiche – in caso contrario, questa linea di pensiero porterebbe ad eliminare tutte le proprietà e le spiegazioni delle leggi specifiche tranne quelle “fisiche”).
Come evidenziato, l’epifenomenismo nasce da due punti che sono assolutamente fondamentali per il monismo anomalo: il primo, secondo cui gli eventi mentali sono allo stesso tempo eventi fisici e, il secondo, secondo cui mentre i predicati mentali non possono ritrovarsi in leggi causali specifiche, ciò deve valere per i predicati fisici. I primi critici si spostarono rapidamente da questi punti alla conclusione epifenomenista che le proprietà mentali sono causalmente irrilevanti, perché ci sono sempre proprietà di legge specifiche – proprietà fisiche – per spiegare causalmente il verificarsi di un evento. (Per una discussione dettagliata di questa linea argomentativa, vedi il supplemento sulle proprietà mentali e la rilevanza causale.) Tra molti altri problemi con questa linea di argomentazione, tuttavia, c’è quella immediatamente sfruttata da Davidson: quella all’interno della struttura metafisica estensionalista, in cui è sviluppato il monismo anomalo (2.1 sopra). In essa, le proprietà non causano nulla e quindi non possono essere né causalmente rilevanti né irrilevanti. Secondo Davidson, solo gli eventi sono relazioni causali. Egli esprime uno scetticismo generale sulle preoccupazioni epifenomeniste al monismo anomalo che dipendono dall’idea che gli eventi sono cause “in virtù” delle proprietà che istanziano (Davidson 1993, 6, 13). Ciò è strettamente legato alla netta distinzione che pone tra causalità – una relazione metafisica tra eventi particolari indipendentemente da come vengono descritti – e spiegazione – che mette in relazione gli eventi solo perché descritti in modi particolari. Ma come vedremo ora, questo non pone fine alle preoccupazioni sull’epifenomenismo. (Per la discussione correlata sull’epifenomenismo e il suo rapporto con la relazione tra monismo anomalo e libertà umana, vedi la sezione “Questioni correlate: 3.2 Monismo anomalo e compatibilità contemporanea”.)
6.1 Proprietà mentali e rilevanza esplicativa
I critici di questa linea difensiva estensionalista hanno insistito sul fatto che riguardo al monismo anomalo rimanevano le medesime questioni, anche tenendo conto della distinzione tra causalità e spiegazione. In particolare, si sono chiesti se le proprietà mentali potessero svolgere un vero ruolo esplicativo – se avessero rilevanza esplicativa – data la priorità assegnata alle proprietà fisiche nel framework di Davidson. Perché pensare che le proprietà mentali spieghino qualcosa, dato che gli eventi che le istanziano possiedono sempre anche proprietà fisiche, le quali figurano nelle leggi causali? Qui si potrebbe rispondere che le spiegazioni concrete richiedano leggi, e il monismo anomalo, nell’escludere leggi psicologiche e psicofisiche, non può spiegare alcun ruolo esplicativo delle proprietà mentali rispetto a eventi fisici o mentali.
In risposta, Davidson osserva che mentre il monismo anomalo rifiuta la possibilità di leggi specifiche in cui possono figurare predicati mentali, consente leggi psicofisiche e psicofisiche ceteris paribus (Davidson 1993, 9-12). Il suo punto sembra essere che se appoggiarsi a tali leggi è sufficiente per la rilevanza esplicativa, allora le proprietà mentali sono rilevanti dal punto di vista esplicativo. (Davidson e i suoi critici spesso scivolano tra le questioni di rilevanza causale ed esplicativa, ma quest’ultima questione è chiaramente la posta in gioco, date le opinioni di Davidson sull’efficacia e le proprietà causali). In secondo luogo, Davidson fa appello alla sopravvenienza delle proprietà mentali sulle proprietà fisiche per fondare [ground] il ruolo esplicativo delle proprietà mentali. Davidson dice:
le proprietà sono causalmente efficaci se fanno la differenza rispetto a ciò che gli eventi individuali causano, e la sopravvenienza assicura che le proprietà mentali facciano la differenza rispetto a ciò che gli eventi mentali causano. (Davidson 1993, 15)
Il primo punto non viene sviluppato da Davidson in maniera sistematica, sebbene sia stato approfondito da altri interessati a difendere il monismo non-riduzionista dalle preoccupazioni epifenomeniste. Alcuni si sono soffermati sulla valorizzazione del ceteris paribus che ricopre nelle leggi per le relazioni causali psicofisiche, sostenendo che ciò permette alle proprietà mentali di essere sufficienti per i loro effetti, offrendo così il tipo di ruolo esplicativo necessario (McLaughlin 1989; Fodor 1989, 1991). Altri hanno cercato di evitare la questione delle leggi di copertura [covering laws] richiamandosi direttamente alla veridicità dei controfattuali psicologici e psicofisici fondando [grounding] il ruolo esplicativo delle proprietà mentali (LePore e Loewer 1987, 1989; Horgan 1989). Davidson stesso si è invece concentrato sulla sopravvenienza (anche se, come stiamo per vedere, la possibilità di leggi ceteris paribus rientra nelle sue considerazioni).
La sopravvenienza implica che:
se due eventi differiscono nelle loro proprietà psicologiche, differiscono nelle loro proprietà fisiche (che assumiamo essere causalmente efficaci). Se la sopravvenienza è corretta, le proprietà psicologiche fanno la differenza per quanto riguarda le relazioni causali di un evento, poiché contano per le proprietà fisiche, e le proprietà fisiche contano per le relazioni causali. (Davidson 1993, 14)
Qui il punto non è semplicemente che le proprietà mentali riprendono o si appoggiano sulle capacità causali delle proprietà fisiche su cui sopravvengono. Piuttosto, Davidson sembra affermare che le proprietà mentali influenzano le capacità causali delle loro proprietà fisiche sottovenienti.
Un problema con la risposta di Davidson qui è il capovolgimento della relazione di dipendenza tra proprietà mentali e proprietà fisiche generalmente richieste nelle relazioni di sopravvenienza. Un motivo centrale per supporre la sopravvenienza è quello di ricordare una sorta di primato esplicativo per le proprietà sottovenienti (vedi il supplemento sulla sopravvenienza e il primato esplicativo del fisico). Ciò si riflette nella prima parte della formulazione di Davidson soprastante: sicuramente una differenza nelle proprietà psicologiche implica (richiede) una differenza nelle proprietà fisiche, perché la differenza nelle proprietà fisiche è necessaria per spiegare la differenza nelle proprietà psicologiche. Quindi, il senso in cui le proprietà psicologiche “contano” nelle proprietà fisiche è che cambiare le prime equivale a cambiare le seconde perché un cambiamento nelle seconde spiega un cambiamento nelle prime. Ciò sembra non essere utile per stabilire la rilevanza esplicativa delle proprietà mentali. Un altro problema, discusso in precedenza (5.3), è che è difficile vedere come una relazione di sopravvenienza avente capacità sufficiente per rendere le proprietà mentali esplicative delle proprietà fisiche di un evento, nel modo in cui Davidson lo sembra affermare, non sia oggetto di leggi specifiche. Quindi, è poco chiaro come la sopravvenienza non sia in contraddizione con il principio dell’anomalismo, e quindi come possa aiutare a fermare le obiezioni epifenomeniste, sebbene in precedenza abbiamo notato una possibilità potenzialmente utile ma inesplorata – una relazione di sopravvenienza ceteris paribus – che Davidson approva.
6.2 Il relativismo dell’interesse e la strategia della doppia spiegazione
Kim ha approfondito una strada dal monismo anomalo all’epifenomenismo mentale correlata, ma diversa: il problema dell’esclusione esplicativa (Kim 1989, 44). Una spiegazione causale di un evento riporta una condizione sufficiente per il verificarsi di quell’evento. Ciò sembra escludere la possibilità di altre cause o spiegazioni indipendenti da quell’evento. Quindi, se, come implica il monismo anomalo, la fisica può fornire una spiegazione sufficiente di un evento specifico, non sembra esserci spazio per una spiegazione mentale indipendente e irriducibile di quell’evento (Davidson 1993, 15). L’effetto avviene perché la causa ha istanziato una particolare proprietà fisica (che avviene per istanziare una proprietà mentale). Qualsiasi proprietà mentale che la causa stabilisce sembra superflua per spiegare perché l’effetto si è verificato, a meno che quelle proprietà non siano identiche o correlate in qualche modo alle proprietà fisiche, cosa esclusa dal principio dell’anomalismo.
Davidson risponde sostenendo che adducendo solo le proprietà fisiche della causa, per fornire una spiegazione sufficiente di un’azione, non si prendono in considerazione gli interessi particolari a cui servono le spiegazioni psicologiche delle azioni, fornendo le ragioni dell’agente, alla luce delle quali ha eseguito quella data azione. Utilizzare questi interessi esplicativi compensa il fatto che tali spiegazioni non possono essere trasformate in leggi specifiche o espresse perfettamente in leggi fisiche (Davidson 1991, 163). Capiamo solo perché l’agente ha agitato la mano – perché l’effetto è di tipo mentale “agitare la mano” (al contrario semplicemente di “una mano che va su e giù”) – citando le proprietà mentali dell’evento causato, ad esempio che lei vuole salutare la sua amica. Richiamare le proprietà fisiche dell’evento causante e del mero movimento corporeo associato non porterà a tale comprensione assumendo l’anomalismo mentale, a causa della mancanza di qualsiasi relazione riduttiva tra le proprietà fisiche della causa e le ragioni dell’agente, o le proprietà fisiche dell’effetto e dell’azione dell’agente.
Qui vediamo la relatività dell’interesse nella spiegazione e il suo rapporto con la rilevanza esplicativa (vedi il supplemento nella sezione “Proprietà mentali e rilevanza causale”), che gioca un ruolo importante per Davidson. Bisogna menzionare le proprietà mentali, se vogliamo una spiegazione logica degli effetti mentali. La risposta di Davidson ai problemi epifenomenisti può quindi essere vista come una sorta di teoria della “doppia spiegazione” del ruolo esplicativo delle proprietà mentali. Secondo questa teoria, per ogni evento mentale (che interagisce causalmente) ci sono due spiegazioni distinte che necessitano di una delucidazione: un evento di un determinato tipo fisico e un evento di un determinato tipo mentale. Alle proprietà mentali viene attribuito un ruolo esplicativo ineliminabile e (dato il monismo anomalo) irriducibile, in virtù della loro singolare capacità di rendere intelligibile il verificarsi di altre proprietà mentali attraverso la relazione sui generis di razionalizzazione. Ciò rispecchia il punto sollevato alla fine della sezione 4.3 sull’interpretazione della definizione causale dell’argomento a favore dell’anomalismo mentale: che la razionalità indebolisce non l’anomalismo mentale, ma piuttosto il realismo mentale. (Per la discussione correlata all’approccio della doppia spiegazione, vedi Macdonalds 1995 e Gibbons 2006.)
Va notato, tuttavia, che non è vero che solo le proprietà mentali possono spiegare ed essere spiegate attraverso l’insorgere di proprietà mentali. Ciò porterebbe al problema della “uscita” [outlet], con le proprietà mentali esplicitamente isolate dalle proprietà fisiche, che è qualcosa di incoerente rispetto al modo in cui normalmente pensiamo all’interazione fisico-mentale. Un colpo alla testa può, ad esempio, spiegare il verificarsi di un pensiero, e un pensiero può spiegare il movimento di un oggetto, come quando la mia decisione di dissetarmi porta le mie labbra a muoversi verso un bicchiere d’acqua. Tuttavia, il colpo non può razionalizzare il pensiero e la decisione non può razionalizzare il movimento del bicchiere (sebbene possa razionalizzare l’azione di muoverlo). La doppia strategia esplicativa di Davidson non fornisce alcun resoconto di tali fenomeni (per la discussione del problema dell’uscita, vedi Gibbons 2006). Ciononostante, finché ci sono eventi di proprietà mentali che necessitano del tipo particolare di spiegazione fornito dalla razionalizzazione, le proprietà mentali occupano un ruolo esplicativo ineliminabile. Dato il monismo anomalo, quel ruolo è irriducibile. Vale la pena notare che questa duplice strategia esplicativa è coerente con l’impegno di Davidson a favore della chiusura causale del mondo fisico (Crane 1995 sembra non afferrare questo punto): ogni evento fisico può avere una spiegazione fisica, anche se la componente mentale di alcuni eventi fisici può essere spiegata razionalmente solo facendo appello alle componenti mentali dell’evento che causa. Dunque, per quanto la chiusura causale alla fine entri nel monismo anomalo (vedi il supplemento sulla chiusura causale del mondo fisico e il monismo anomalo), non sembra creare ulteriori problemi alla capacità del monismo anomalo di rendere conto del ruolo esplicativo ineliminabile e irriducibile delle proprietà mentali.
La relatività dell’interesse della spiegazione causale è quindi cruciale nel grounding di Davidson del ruolo esplicativo ed ineliminabile delle proprietà mentali nel suo framework di monismo anomalo. Se, come sostiene il monismo anomalo, i tipi di eventi mentali come le azioni non sono riducibili ai tipi di eventi fisici, allora l’unico modo per spiegare le azioni (al contrario dei semplici movimenti corporei) in modo da renderle intelligibili è appellarsi alle proprietà mentali della causa-ragione. (Per discutere se, alla luce di ciò, le spiegazioni delle ragioni possono ancora essere ritenute spiegazioni causali nel framework del monismo anomalo, vedi il supplemento sull’epifenomenismo esplicativo.)
6.3 L’organizzazione causale delle ragioni
Un ultimo punto da considerare nel valutare le obiezioni epifenomeniste al monismo anomalo è il modo in cui la causalità entra nell’organizzazione e nelle spiegazioni delle ragioni secondo Davidson. Prima di aver stabilito il principio dell’anomalismo, o di continuare a derivare il monismo, sappiamo già che le ragioni spiegano le azioni causandole (il problema del “perché” discusso in 2.2). E, come abbiamo visto (4.3), sappiamo che gli atteggiamenti proposizionali e i contenuti mentali sono individuati, e quindi definiti, parzialmente in termini di ciò da cui sono causati e di ciò di cui sono causa (per le posizioni, vedi Davidson 1987a, 444, e una discussione estesa nel supplemento nella sezione “Questioni correlate (anomalismo mentale ed esternismo semantico)”). Tuttavia, se qualcosa non può nemmeno essere riconosciuto come una ragione a meno che non sia una causa, allora l’obiezione che le proprietà mentali siano causalmente deboli sembra avere difficoltà a ottenere una qualsiasi aderenza. Inoltre, poiché queste affermazioni sono precedenti all’argomento a favore del monismo, sono neutre su qualsiasi altra ragione con l’obiettivo di essere causa. Quindi, le ragioni devono essere riconosciute come cause indipendentemente dalla possibile scoperta che siano anche eventi fisici. Ciò sembra garantire il potere causale delle ragioni in un modo del tutto indipendente dalla pretesa di identità delle occorrenze. Nel framework di Davidson, le ragioni possono svolgere solo il ruolo razionalizzante ed esplicativo che svolgono in virtù della loro natura causale.
Molti dei critici epifenomenisti del monismo anomalo non affrontano questo intenso sfondo causale. Come abbiamo visto, lo sfondo non è sufficiente da solo a mettere a tacere tutte le preoccupazioni epifenomeniste. Ciononostante, influisce in modo significativo su come queste preoccupazioni possono essere formulate e affrontate. Chiaramente, il monismo anomalo si impegna a fondo in diversi livelli, come nella rilevanza esplicativa causale del mentale, e quindi il principio di carità suggerisce di cercare di interpretarlo in modo tale che questi impegni siano rispettati. La duplice strategia esplicativa discussa sopra (6.2) fornisce un framework promettente, mentre allo stesso tempo mostra sensibilità al tipo di preoccupazioni che guidano gli epifenomenisti.
7. Conclusioni
Nonostante l’apparente semplicità iniziale nella sua ipotesi, struttura e argomentazione, abbiamo rilevato diversi e importanti problemi e lacune che ostacolano qualsiasi valutazione finale e complessiva sull’attendibilità del monismo anomalo. Mentre le principali obiezioni che ha dovuto affrontare derivano da preoccupazioni epifenomeniste, la forza di queste obiezioni non è ancora chiara. Probabilmente, le difficoltà più gravi per il monismo anomalo non riguardano la sua idoneità, ma la sua spiegazione. Abbiamo ancora bisogno di un ragionamento preciso su come la razionalità conduca al principio dell’anomalismo. Ci sono seri problemi che circondano lo stato della chiusura causale del mondo fisico e il suo rapporto con il monismo. Infine, l’esigenza di specificità del principio della legge di causa necessita ancora di una motivazione convincente. Anche con questi problemi, il monismo anomalo continua a fornire un framework estremamente utile per esplorare questioni e problemi fondamentali in filosofia della mente e si è guadagnato un posto centrale nell’elenco, piuttosto breve, di posizioni importanti sulla relazione tra eventi e proprietà mentali e fisiche.
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Strumenti accademici
- Come citare questa voce.
- Vedi la versione PDF di questa voce (in inglese) presso: Friends of the SEP Society.
- Vedi questo stesso argomento presso il progetto: Internet Philosophy Ontology Project (InPhO).
- Bibliografia arricchita per questa voce presso PhilPapers, con link al suo database.
Altre risorse in internet
- Mind and Anomalous Monism, in the Internet Encyclopedia of Philosophy.
Voci correlate
action | Davidson, Donald | dualism | epiphenomenalism | events | externalism about the mind | functionalism | laws of nature | mental causation | mental content: causal theories of | mind/brain identity theory | monism | multiple realizability | physicalism | psychologism | Quine, Willard Van Orman | relativism | scientific explanation | Spinoza, Baruch | supervenience
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