Nella foto: William James, 1895 circa, presente nella raccolta The Letters of William James, a cura di Henry James, Boston, 1920.
Traduzione di Filippo Pelucchi.
Revisione di Giuseppe Flavio Artese, pagina originale di Russell Goodman.
Versione: Inverno 2020.
The following is the translation of Russell Goodman’s entry on “William James” in the Stanford Encyclopedia of Philosophy. The translation follows the version of the entry in the SEP’s archives at https://plato.stanford.edu/archives/win2020/entries/james/ . This translated version may differ from the current version of the entry, which may have been updated since the time of this translation. The current version is located at https://plato.stanford.edu/entries/james/ . We’d like to thank the Editors of the Stanford Encyclopedia of Philosophy for granting permission to translate and to publish this entry on the web.
Nel presente testo, le traduzioni dei singoli passaggi sono a cura del traduttore. I titoli delle opere di James, qualora siano state tradotte in italiano, sono anch’essi tradotti, altrimenti vengono lasciati in lingua originale. La bibliografia contiene i riferimenti alle opere originali in lingua inglese.
Legenda delle abbreviazioni:
PP = Principi di Psicologia
VC = La volontà di credere e altri saggi di filosofia popolare
TT= Talks to Teachers on Psychology and to Students on Some of Life’s Ideals
V = Le varie forme dell’esperienza religiosa
P= Pragmatismo
UP = Un universo pluralistico
ERE = Saggi sull’empirismo radicale
MT = The Meaning of Truth
William James fu un pensatore originale nelle e tra le discipline di fisiologia, psicologia e filosofia. Il suo capolavoro di milleduecento pagine, Principi di psicologia (1890), è una ricca raccolta di fisiologia, psicologia, filosofia e riflessioni personali che ha dato vita a idee come il “flusso di coscienza” e l’idea che il mondo del bambino venga percepito “come di una grande confusione fiorente e ronzante” (PP 462). Il testo contiene i semi del pragmatismo e della fenomenologia e ha influenzato generazioni di pensatori in Europa e in America, tra cui Edmund Husserl, Bertrand Russell, John Dewey e Ludwig Wittgenstein. James ha studiato alla Lawrence Scientific School di Harvard e alla School of Medicine, ma i suoi scritti erano fin dall’inizio tanto filosofici quanto scientifici. “Some Remarks on Spencer Notion of Mind as Correspondence” (1878) e “Il sentimento della razionalità” (1879, 1882) anticipano il suo futuro pragmatismo e pluralismo e contengono le prime affermazioni della sua idea che le teorie filosofiche sono riflessi del temperamento di un filosofo.
James accenna alle sue preoccupazioni religiose nei suoi primi saggi e nei Principi di psicologia, ma diventano più esplicite in La volontà di credere e altri saggi di filosofia popolare (1897), Human Immortality: Two Supposed Objections to the Doctrine (1898), Le varie forme dell’esperienza religiosa (1902) e Un universo pluralistico (1909). James oscillava tra l’idea che uno “studio sulla natura umana” come quello condotto nelle Varie forme dell’esperienza religiosa potesse contribuire a una “scienza della religione” e che la credenza che l’esperienza religiosa coinvolga un dominio del tutto soprannaturale, in qualche modo inaccessibile alla scienza, ma accessibile al singolo soggetto umano.
James ha dato alcuni dei suoi contributi filosofici più importanti nell’ultimo decennio della sua vita. In una serie di scritti del 1904-5 (raccolti nei Saggi sull’empirismo radicale (1912)) espose la teoria metafisica più comunemente nota col nome di “monismo neutrale”, secondo la quale esiste una “materia” [stuff] fondamentale che non è né fisica né mentale. In Un universo pluralistico difende la visione mistica e anti-pragmatica secondo cui i concetti distorcono la realtà anziché rivelarla, e nel suo influente Pragmatismo (1907), presenta sistematicamente una serie di teorie sulla verità, sulla conoscenza, sulla realtà, sulla religione e sulla filosofia che permeeranno i suoi scritti dalla fine degli anni ‘70 in avanti.
- 1. Cronologia della vita di James
- 2. Primi scritti
- “Remarks on Spencer’s Definition of Mind as Correspondence” (1878)
- “Il sentimento della razionalità” (1879, 1882)
- 3. Principi di psicologia
- 4. Saggi di filosofia popolare
- 5. Le varie forme dell’esperienza religiosa
- 6. Scritti successivi
- Pragmatismo (1907)
- Un universo pluralistico (1909)
- Saggi sull’empirismo radicale (1912)
- Bibliografia
- Letteratura primaria: opere di William James
- Letteratura secondaria
- Strumenti accademici
- Altre risorse in Internet
- Voci correlate
1. Cronologia della vita di James
- Nasce a New York City, primo figlio di Henry James e Mary Walsh. James. Viene educato da tutor in scuole private a New York.
- Nasce suo fratello Henry.
- Nasce sua sorella Alice.
1855–8. La famiglia si trasferisce in Europa. William frequenta la scuola a Ginevra, Parigi e Boulogne-sur-Mer. Sviluppa interessi per la pittura e la scienza.
- La famiglia si stabilisce a Newport, Rhode Island, dove James studia pittura con William Hunt.
1859–60. La famiglia si stabilisce a Ginevra, dove William studia scienze all’Accademia di Ginevra. Poi torna a Newport, quando si decide a riprendere i suoi studi di pittura.
- William abbandona la pittura ed entra nella Lawrence Scientific School di Harvard.
- Entra nella Harvard School of Medicine.
- Si unisce alla spedizione in Amazzonia del suo maestro Louis Agassiz, contrae una lieve forma di vaiolo, si riprende e viaggia per l’Amazzonia, raccogliendo esemplari per il museo zoologico di Agassiz ad Harvard.
- Ritorna alla facoltà di medicina. In autunno soffre di affaticamento agli occhi, problemi alla schiena e depressione suicida.
1867–8. Viaggi in Europa per salute e istruzione: Dresda, Bad Teplitz, Berlino, Ginevra, Parigi. Studia fisiologia all’Università di Berlino, legge filosofia, psicologia e fisiologia (Wundt, Kant, Lessing, Goethe, Schiller, Renan, Renouvier).
- Consegue la laurea in Medicina e Chirurgia, ma non la esercita mai. Ha una grave depressione in autunno.
1870–1. La depressione e la cattiva salute continuano.
- Accetta l’offerta del presidente Eliot di Harvard di insegnare in un corso triennale di fisiologia comparata.
- Accetta l’offerta di insegnare per l’intero anno anatomia e fisiologia, ma rimanda di un anno l’insegnamento per viaggiare in Europa.
1874–5. Inizia a insegnare psicologia. Fonda il primo laboratorio di psicologia americano.
- Sposa Alice Howe Gibbens. Pubblica “Remarks on Spencer’s Definition of Mind as Correspondence” sul Journal of Speculative Philosophy.
- Pubblica “Il sentimento della razionalità” sulla rivista Mind.
- Viene nominato professore assistente di filosofia ad Harvard. Continua a insegnare psicologia.
- Viaggio in Europa. Incontra Ewald Hering, Carl Stumpf, Ernst Mach, Wilhelm Wundt, Joseph Delboeuf, Jean Charcot, George Croom Robertson, Shadworth Hodgson e Leslie Stephen.
- Insegna un corso dal titolo “Il dilemma del determinismo” e pubblica “On Some Omissions of Introspective Psychology” sulla rivista Mind.
1885–92. Insegna psicologia e filosofia ad Harvard: logica, etica, filosofia empirista inglese, ricerca psicologica.
- Pubblica Principi di psicologia con Henry Holt di Boston, dodici anni dopo aver accettato di scrivergli.
- Pubblica Psychology: Briefer Course con Henry Holt.
- Pubblica La volontà di credere e altri saggi di filosofia popolare, con Longmans, Green & Co. Lectures intitolate “Human Immortality” (pubblicate nel 1898).
- Si riconosce come pragmatista nelle “Philosophical Conceptions and Practical Results,” tenute presso la University of California, a Berkeley. Inizia ad avere problemi cardiaci.
- Pubblica Discorsi agli insegnanti e agli studenti sulla psicologia e su alcuni ideali di vita (tra cui “Su una certa cecità negli esseri umani” e “Cosa rende la vita degna di essere vissuta?”) con Henry Holt. Diventa membro attivo della Lega Antimperialista, opponendosi alla politica degli Stati Uniti nelle Filippine.
1901–2. Tiene un delle lezioni a Gifford dal titolo “Le varie forme dell’esperienza religiosa” a Edimburgo (pubblicate poi nel 1902).
1904–5. Pubblica “Esiste la “coscienza”?”, “Un mondo di pura esperienza”, “Come due menti possono conoscere una stessa cosa”, “L’empirismo radicale è solipsista?” e “Il posto dei fatti affettivi in un mondo di esperienza pura” in Journal of Philosophy, Psychology and Scientific Methods. Tutti furono ristampati in Saggi sull’empirismo radicale (1912).
- Abbandona la cattedra ad Harvard. Pubblica Pragmatismo con Longmans, Green & Co., attingendo ai corsi tenute a Boston e a Columbia.
- Pubblica Un universo pluralistico con Longmans, Green & Co., attingendo alle lezioni delle Hibbert Lectures tenute in Inghilterra e ad Harvard l’anno precedente.
- Pubblica “A Pluralistic Mystic” su Hibbert Journal. Abbandona il tentativo di completare un “sistema” filosofico. (Il suo manoscritto parzialmente completato pubblicato postumo come Some Problems of Philosophy). Muore per insufficienza cardiaca nella casa estiva di Chocorua, nel New Hampshire.
2. Primi scritti
“Remarks on Spencer’s Definition of Mind as Correspondence” (1878)
Anche se ufficialmente era un professore di psicologia quando lo pubblicò, la discussione di James su Herbert Spencer affronta temi caratteristici della sua filosofia: l’importanza della religione e delle passioni, la varietà delle risposte umane alla vita e l’idea che aiutiamo a “creare” le verità che “apprendiamo (E 21). Riprendendo il punto di vista di Spencer secondo cui l’adattamento dell’organismo all’ambiente è la caratteristica fondamentale dell’evoluzione mentale, James obietta a Spencer di proiettare la propria visione di come dovrebbero stare le cose in merito ai fenomeni che afferma di descrivere. La sopravvivenza, afferma James, è solo uno dei tanti interessi degli esseri umani: “Gli affetti sociali, tutte le varie forme di gioco, le suggestioni emozionanti dell’arte, i piaceri della contemplazione filosofica, il resto delle emozioni religiose, la gioia del sé morale – l’approvazione, il fascino della fantasia e dell’arguzia – alcune o tutte queste cose sono assolutamente necessarie per rendere tollerabile la mera nozione di esistenza […] “(E 13). Alla base, siamo tutti quanti creature teleologiche, sostiene James, ognuno con un insieme di valori e categorie a priori. Spencer “si limita a prendere posizione con il telos che preferisce” (E 18).
Il caratteristico empirismo di James appare evidente quando afferma che i valori e le categorie si scontrano nel corso dell’esperienza umana e che i loro conflitti “possono essere risolti solo ambulando, e non con una definizione a priori”. La “formula che dimostra di avere il destino più duraturo”, conclude, “sarà quella corretta” (E 17). Eppure, James desidera difendere l’idea che una tale formulazione sarà determinata tanto da una mente umana che agisce liberamente quanto dal mondo, una posizione che più tardi (nella sua opera Pragmatismo) chiamerà “umanesimo”: “Ci appartiene alla mente, dalla sua nascita verso l’alto, una spontaneità, un voto. È nel gioco, e non un semplice spettatore. E i suoi giudizi del dover essere, i suoi ideali, non possono essere staccati dal corpo del cogitandum come se fossero delle escrescenze […] “(E 21).
Il sentimento della razionalità (1879, 1882)
Lw tematiche principali di questo saggio furono pubblicate per la prima volta su Mind nel 1879 e sulla Princeton Review nel 1882, e poi ripubblicata in La volontà di credere e altri saggi di filosofia popolare nel 1897. Sebbene James non abbia mai affermato che la razionalità è un sentimento, egli sostiene che un sentimento – in realtà un insieme di sentimenti – è un “segno” di razionalità. Il filosofo, scrive James, riconoscerà la razionalità di una concezione “come riconosce tutto il resto, da certi segni soggettivi che lo smuovono. Quando conosce questi segni, può concludere di possedere la razionalità “. Questi segni includono una “forte sensazione di agio, pace, riposo” (VC 57) e una “sensazione di sufficienza del momento presente, della sua assolutezza” (VC 58). C’è anche una “passione per la parsimonia” (VC 58) che si avverte nel cogliere unificazioni teoriche, così come una passione per la distinzione, una “lealtà verso la chiarezza e l’integrità della percezione, antipatia per i contorni sfocati, le identificazioni vaghe” (VC 59). Il filosofo ideale, sostiene James, fonde queste due passioni sulla razionalità, e anche alcuni grandi filosofi si spingono troppo in là in una direzione o nell’altra: l’unità di tutte le cose di Spinoza in una sostanza è “sterile”, come lo sono in Hume la “‘scioltezza e la separazione’ del tutto […] “(VC 60).
I sentimenti di razionalità operano non solo nella logica o nella scienza, ma nella vita quotidiana. Quando ci spostiamo per la prima volta in una stanza, ad esempio, “non sappiamo quali correnti d’aria possono soffiare sulla nostra schiena, quali porte possono aprirsi, quali forme possono entrare, quali oggetti interessanti possono trovarsi negli armadi e negli angoli”. Queste piccole incertezze agiscono come “irritazioni mentali”, che scompaiono quando impariamo a orientarci nella stanza, una volta che “ci sentiamo a casa” (VC 67-8).
James inizia la seconda parte del suo saggio considerando il caso in cui “due concezioni [sono] ugualmente adatte a soddisfare la richiesta logica” di fluidità o unificazione. A questo punto, sostiene, si deve considerare una componente “pratica” della razionalità. La concezione che “risveglia gli impulsi attivi, o soddisfa altre esigenze estetiche meglio dell’altra, sarà considerata la concezione più razionale e prevarrà meritatamente” (VC 66). James pone il punto sia come un punto di psicologia – una previsione di ciò che accadrà – sia come un giudizio, poiché sostiene che prevarrà “meritatamente”.
Come nel suo saggio su Spencer, James esplora le relazioni tra temperamenti e teorizzazione filosofica. L’idealismo, sostiene, “sarà scelto da un uomo di una certa costituzione emotiva, il materialismo da un altro”. L’idealismo offre un senso di intimità con l’universo, la sensazione che alla fine io “sono tutto”. Ma i materialisti trovano nell’idealismo “un’aria stretta, chiusa, da malato” e preferiscono concepire un universo incerto, pericoloso e selvaggio che “non ha rispetto per il nostro ego”. Lasciamo che “le maree scorrano”, pensa il materialista, “anche se scorrono su di noi” (VC 76). James è solidale sia all’idea che l’universo sia qualcosa con cui possiamo avere un rapporto molto stretto, sia all’idea che esso sia selvaggio e imprevedibile. Se critica l’idealismo per la sua “aria da camera da letto”, critica le forme riduzioniste di materialismo perché negano alle “nostre capacità più intime […] ogni rilevanza negli affari dell’universo” (VC 71). L’intimità e la natura selvaggia ritratte in queste filosofie contrastanti rispondono alle propensioni, alle passioni e alla capacità negli esseri umani, e la “lotta” di queste due forme di “temperamento mentale”, sostiene James, sarà sempre considerata in filosofia (VC 76). Certamente, le cose stanno così nella filosofia di William James.
3. Principi di psicologia
Nel 1878, James accettò di scrivere un libro di testo di psicologia per l’editore americano Henry Holt, ma gli ci vollero dodici anni per finire il lavoro, e quando lo fece lo descrisse a Holt come “una massa disgustosa, dilatata, tumefatta, gonfia, idropica, a testimonianza di nient’altro che di due fatti: primo, che non esiste una scienza della psicologia e secondo, che William James è un incapace” (The Letters of William James, ed. Henry James. (Boston: Little, Brown, 1926, pp. 393-4). Ciononostante, questo volume di mille pagine di psicologia, fisiologia e filosofia si è rivelato il capolavoro di James, contenente le prime affermazioni delle sue principali idee filosofiche in capitoli straordinariamente ricchi sul “flusso di coscienza” “la coscienza di sé “,” emozione”, “volontà” e molti altri argomenti.
James ci dice che seguirà il metodo psicologico dell’introspezione all’interno dei Principi, che definisce come “guardare nella nostra mente e riferire ciò che scopriamo” (PP 185). In effetti, nel libro adotta una serie di approcci metodologici. All’inizio include capitoli su “Le funzioni del cervello” e “Su alcune condizioni generali dell’attività cerebrale” che riflettono i suoi anni come docente di anatomia e fisiologia ad Harvard, e sostiene la tesi riduzionista e materialista che l’abitudine è “in fondo un principio fisico” (PP 110). Man mano che il libro va avanti, egli è coinvolto in discussioni con filosofi come Hume e Kant (nel suo capitolo di cento pagine sul sé) e si ritrova a fare affermazioni metafisiche che anticipano il suo successivo pragmatismo, come quando scrive: “Non vi è alcuna proprietà ASSOLUTAMENTE essenziale per nessuna cosa. La stessa proprietà che in un’occasione figura come l’essenza di una cosa diventa una caratteristica assai inessenziale per un’altra “(PP 959).
Anche la “introspezione” è molto discussa. James, infatti, discute gli esperimenti che i suoi contemporanei Wundt, Stumpf e Fechner stavano eseguendo nei loro laboratori e che li hanno portati a conclusioni quali “i suoni sono discriminati in intensità meno delicatamente delle luci” (PP 513). Ma molte delle osservazioni sull’introspezione più importanti e memorabili di James provengono dalla sua stessa vita. Per esempio:
Il ritmo di una parola persa può essere lì senza un suono che la rivesta […] Tutti devono conoscere l’effetto stuzzicante del ritmo vuoto di qualche verso dimenticato, il danzare irrequieto nella propria mente, sforzandosi di riempirlo di parole (PP 244).
Nostro padre e nostra madre, nostra moglie e i nostri bambini sono ossa delle nostre ossa e carne della nostra carne. Quando muoiono, una parte di noi scompare. Se fanno qualcosa di sbagliato, è nostra vergogna. Se vengono insultati, la nostra rabbia lampeggia prontamente come se fossimo al loro posto. (PP 280).
C’è un’eccitazione durante l’attacco di pianto che non è priva di un certo piacere pungente. Ma ci vorrebbe un genio della felicità per scoprire un pizzico di qualità redentrice nella sensazione di tristezza secca e rimpicciolita (PP 1061).
“Farai così oppure no?” è la domanda che ci viene posta più spesso. Ci viene chiesto ogni ora del giorno, e sulle cose più grandi come anche sulle più piccole, dalle più teoriche così come alle più pratiche. Rispondiamo con o senza assensi, e non a parole. Che meraviglia vedere che queste stupide risposte dovrebbero essere i nostri organi di comunicazione più in sintonia con la natura delle cose! (PP 1182).
In quest’ultima citazione, James affronta un problema filosofico ricorrendo a una prospettiva psicologica. Anche se si astiene dal rispondere alla domanda se tali “risposte” siano in realtà organi di comunicazione in sintonia con la natura delle cose – riportando solo che ci sembrano essere tali – nei suoi scritti successivi, come in Le varie forme dell’esperienza religiosa e Un universo pluralistico, confessa, e in una certa misura difende, la sua convinzione che alla domanda si debba rispondere in maniera affermativa.
Nel meritatamente famoso capitolo su “Il flusso di coscienza”, James crede di offrire un resoconto dell’esperienza più ricco di quelli degli empiristi tradizionali come Hume. Crede che le relazioni, i vaghi contorni e le abitudini siano esperiti direttamente (un’affermazione che in seguito difenderebbe come parte del suo “empirismo radicale”.) James ritiene che la coscienza sia un flusso piuttosto che una successione di “idee”. Le sue acque si fondono e la nostra coscienza individuale – o, come preferisce chiamarla a volte, la nostra “scienza” – è “immersa e tinta” nelle acque della scienza o del pensiero che la circondano. La nostra vita psichica ha ritmo: è una serie di transizioni e luoghi di riposo, di “voli e trespoli” (PP 236). Ci riposiamo quando ricordiamo il nome che stavamo cercando, e siamo di nuovo fuori quando sentiamo un rumore che potrebbe essere il bambino che si sveglia dal suo pisolino.
L’interesse – e il suo parente stretto, l’attenzione – è una componente importante non solo della psicologia di James, ma dell’epistemologia e della metafisica che filtrano nella sua discussione. Una cosa, afferma James in “Il flusso di coscienza”, è un gruppo di qualità “che arrivano praticamente o esteticamente ad interessarci, a cui diamo quindi nomi sostanziali… “. (PP 274). E la realtà “significa semplicemente relazione con la nostra vita emotiva e attiva […], tutto ciò che eccita e stimola il nostro interesse è reale” (PP 924). La nostra capacità di attenzione a una cosa piuttosto che a un’altra è per James il segno di un “elemento attivo in tutta la coscienza […], un qualcosa di spirituale […] che sembra uscire per incontrare queste qualità e contenuti, mentre questi sembrano entrare per essere ricevuti da essa.” (PP 285). Di fronte alla tensione tra il determinismo scientifico e la nostra fede nella nostra libertà o autonomia, James – parlando non da psicologo, ma come il filosofo che era diventato – sostiene che la scienza “deve costantemente ricordarsi che i suoi scopi non sono gli unici scopi, e che l’ordine di causalità uniforme di cui si serve, e che giustamente postula, può essere racchiuso in un ordine più ampio, sul quale non ha alcuna pretesa” (PP 1179).
Nelle sue discussioni sulla coscienza, James sembra essere, in occasioni molteplici, un materialista riduzionista, un dualista, un proto-fenomenologo e uno psicologo neutrale che non oserebbe prendere in considerazione questioni filosofiche. Uno dei punti più originali dei Principi risiede nella ricerca di James di una descrizione “pura” del flusso di coscienza, che non presuppone che sia né mentale né materiale, attraverso una ricerca che anticipa non solo il suo successivo “empirismo radicale”, ma anche la stessa fenomenologia di Husserl. Nel suo capitolo sulla “Sensazione”, ad esempio, James si preoccupa di negare che le sensazioni risiedano “nella mente” e poi “con un atto speciale da parte nostra ‘estradato’ o ‘proiettato’ in modo da apparire localizzato nel mondo” (PP 678). Sostiene che le nostre esperienze originali sono oggettive, che “solo quando si sviluppa la riflessione diventiamo consapevoli di un mondo interiore” (PP 679). Tuttavia, il mondo oggettivo esperito originariamente non è il mondo delle relazioni spaziali al quale pensiamo:
Certamente un bambino appena nato a Boston, che ha una sensazione dalla fiamma di una candela che illumina la camera da letto o dalla sua spilla da pannolino, non sente che questi oggetti si trovano a 71 di longitudine ovest e 42 latitudine nord […] La fiamma riempie il proprio spazio, il dolore fa lo stesso. Ma, ancora, questi luoghi non sono né identificati né diversificati da altri luoghi. Quello accade dopo. Perché i luoghi così conosciuti (attraverso le sensazioni) sono elementi del mondo spaziale del bambino che lo accompagnano per tutta la vita. (PP 681–2)
Il capitolo di James sulla “Abitudine”, all’inizio del libro, inizia con l’analizzare l’abitudine come questione fisica, ma termina considerando le sue implicazioni etiche. James sostiene che le leggi di natura sono esse stesse abitudini, “nient’altro che le abitudini immutabili che i diversi tipi elementari di materia seguono nelle loro azioni e reazioni l’una sull’altra” (PP 109). Nel nostro cervello, le abitudini sono dei percorsi di energia nervosa, come i fiumi e i torrenti sono i percorsi del flusso dell’acqua. A livello della pelle, anche una cicatrice è una sorta di abitudine, con “più probabilità di essere abrasa, infiammata, di soffrire di dolore e di freddo, rispetto alle parti vicine” (PP 111). Anche a livello psicologico, “qualsiasi sequenza di azioni mentali che sia stata ripetuta frequentemente, tende a perpetuarsi…” (PP 116). Le abitudini sono utili per diminuire l’attenzione che dobbiamo dedicare alle nostre azioni, permettendoci così di sviluppare “le capacità superiori della nostra mente” (PP 126). Sul piano sociale, l’abitudine è “l’enorme volano della società, il suo più prezioso agente conservatore. Lei da sola è ciò che ci tiene tutti entro i limiti dell’ordinanza e salva i figli di ventura dalle invidiose rivolte dei poveri”“ (PP 125). Le “implicazioni etiche della legge dell’abitudine” (PP 124), per come le vede James, riguardano quando e quali abitudini scegliamo di sviluppare. Molte abitudini devono iniziare presto nella vita: “Quasi mai una lingua imparata dopo i vent’anni viene parlata senza accento straniero” (PP 126). Dobbiamo sforzarci di rendere “il sistema nervoso un nostro alleato, anziché un nostro nemico” formando quante più buone abitudini possibili, il più presto possibile nella vita. Anche più avanti con gli anni dobbiamo mantenere la nostra capacità di desiderare di tenerci in forma ogni giorno o due facendo “qualcosa per nessun’altra ragione che questa, anche se non che preferiresti non farlo” (PP 130).
Due capitoli degni di nota alla fine dei Principi sono “Le emozioni” e “Volontà”. Il primo espone la teoria – enunciata anche dal fisiologo danese Carl Lange – secondo cui l’emozione segue, più che le cause, la sua espressione corporea: “Il senso comune dice che iniziamo ad essere sfortunati, ci dispiace e piangiamo; se incontriamo un orso, ci spaventiamo e corriamo via; se veniamo insultati da un rivale, siamo arrabbiati e lo colpiamo. L’ipotesi qui difesa afferma che la sequenza di quest’ordine non è corretta […]: cioè che ci dispiace perché piangiamo, siamo arrabbiati perché colpiamo, abbiamo paura perché tremiamo… “(PP 1065–6). Il significato di questa visione, secondo James, è che le nostre emozioni sono legate alle nostre espressioni corporee. Cosa sarebbe il dolore, si chiede, “senza le sue lacrime, i suoi singhiozzi, il suo soffocamento di cuore, la sua fitta allo sterno?” Non un’emozione, risponde James, perché una “emozione umana puramente disincarnata non è un entità reale” (PP 1068).
Nel suo capitolo sulla “Volontà”, James si oppone alla teoria del suo contemporaneo Wilhelm Wundt secondo cui esiste una sensazione speciale – una “sensazione di innervazione” – presente in tutte le azioni intenzionali. Nella sua indagine su una serie di casi, James scopre che alcune azioni implicano un atto di determinazione o di energia nervosa in uscita, ma altre no. Per esempio:
Dopo cena mi siedo a tavola e di tanto in tanto mi ritrovo a togliere noci o uvetta dal piatto e mangiarle. La mia cena è giustamente finita, e nel vivo della conversazione mi rendo appena conto di quello che faccio, ma la percezione del frutto e la fugace idea che io possa mangiarlo sembrano fatalmente provocare l’azione. Non c’è certo un fiat espresso qui […]. (PP 1131).
Il capitolo sulla “Volontà” contiene anche passaggi sorprendenti che anticipano le preoccupazioni di Le varie forme dell’esperienza religiosa: stati d’animo, “cambiamenti di cuore” e “risvegli di coscienza”. Questi, osserva James, possono influenzare “l’intera scala di valori delle nostre motivazioni e impulsi” (PP 1140).
4. Saggi di filosofia popolare
La nota e influente opera di James, La volontà di credere e saggi di filosofia popolare, pubblicata nel 1897, raccoglie saggi precedentemente pubblicati nei diciannove anni precedenti, tra cui “Il sentimento della razionalità” (discusso sopra), “Il dilemma del determinismo”, “Grandi uomini e il loro ambiente” e “Il filosofo morale e la vita morale”. Il titolo del saggio, pubblicato appena due anni prima, si è rivelato controverso perché sembrava suggerire di avere credenze irresponsabili o irrazionali. James, in seguito, scrisse che avrebbe dovuto chiamare il saggio “il diritto di credere”, per indicare il suo intento di giustificare il possesso di certe credenze in determinate circostanze, non per affermare che possiamo (o dovremmo) credere alle cose semplicemente attraverso un atto di volontà.
Nella scienza, nota James, possiamo permetterci di attendere l’esito dell’indagine prima di giungere ad una credenza, ma in altri casi siamo “costretti”, in quanto dobbiamo giungere ad averne qualcuna anche se non ci sono tutte le prove rilevanti. Se mi trovo su un sentiero di montagna isolato, di fronte a una cengia ghiacciata da attraversare, e non so se posso farcela, potrei essere costretto a considerare la domanda se posso o devo credere di poter attraversare la cengia. Questa domanda non è solo obbligata, è “momentanea”: se sbaglio potrei cadere e morire, e se credo giustamente di poter attraversare la sporgenza, essere convinto di quella credenza può contribuire al mio successo. In tal caso, afferma James, ho il “diritto di credere” – proprio perché tale credenza può aiutare a realizzare il fatto in cui si crede. Questo è un caso “in cui un fatto non può verificarsi affatto, a meno che non esista una fede precedente al suo accedere” (VC, 25).
James applica la sua analisi alla fede religiosa, in particolare al possibile caso in cui la propria salvezza dipende dal credere in Dio prima di ogni prova che Dio esiste. In tal caso la credenza può essere giustificata dal risultato a cui conduce la credenza stessa. Egli estende poi la sua analisi oltre il dominio religioso, includendo anche una vasta gamma di fenomeni avvenuti nel corso della vita umana nei secoli:
Un qualsiasi organismo sociale è quello che è perché ogni membro procede al proprio dovere con la fiducia che gli altri membri faranno contemporaneamente il loro […] Un governo, un esercito, un sistema commerciale, una nave, un college, una squadra di atletica, tutto esiste a questa condizione, senza la quale non solo non si realizza nulla, ma non ci si prova nemmeno (VC 24).
Anche le questioni morali sono importanti e difficilmente possono essere sostenute da “prove sensate”. Non sono questioni di scienza ma di “ciò che Pascal chiama il nostro cuore” (VC 22). James difende comunque il nostro diritto di credere in certe risposte a queste domande.
Un altro saggio nella raccolta, “Azione riflessa e teismo”, tenta una riconciliazione tra scienza e religione. L’espressione di James “azione riflessa” allude all’immagine biologica dell’organismo come risposta alle sensazioni attraverso una serie di azioni. Negli animali superiori interviene uno stadio teorico o pensante tra la sensazione e l’azione, ed è qui che, negli esseri umani, sorge il pensiero di Dio. James sostiene che questo pensiero è una risposta umana naturale all’universo, indipendente da qualsiasi prova che Dio esista, e predice che Dio sarà il “centro di gravità di tutti i tentativi di risolvere l’enigma della vita” (VC, 116). Conclude il saggio invocando un “teismo” che pone “un’ultima opacità nelle cose, una dimensione dell’essere che sfugge al nostro controllo teorico” (VC 143).
La volontà di credere contiene anche il resoconto più sviluppato dell’approccio alla morale di James, “Il filosofo morale e la vita morale”. La moralità per James si basa sulla sensibilità: senza di essa non ci sono rivendicazioni morali né obblighi morali. Ma una volta che esiste la senzienza, viene fatta un’affermazione e la moralità ottiene “un punto d’appoggio nell’universo” (VC 198). Sebbene James insista sul fatto che non esiste un’essenza comune alla moralità, egli trova un principio guida per la filosofia etica nel principio secondo cui “soddisfiamo in ogni momento quante più richieste possibili” (VC 205). Questa soddisfazione va raggiunta lavorando per un “universo più ricco […], il bene che sembra più organizzabile, più adatto a entrare in combinazioni complesse, più adatto a far parte di un tutto più inclusivo” (VC 210). Questo lavoro procede da una serie di esperimenti, per mezzo dei quali abbiamo imparato a vivere (per la maggior parte) senza “poligamia e schiavitù, guerra privata e libertà di uccidere, tortura giudiziaria e potere regale arbitrario”. (VC 205). Tuttavia, James sostiene che non c’è “nulla di definitivo in un dato equilibrio di ideali umani, [al punto che] come le nostre leggi e costumi attuali hanno combattuto e conquistato altri passati, così saranno a loro volta rovesciati da qualsiasi ordine appena scoperto che metta a tacere i lamenti che ancora suscitano, senza produrne altri ancora più forti” (VC 206).
Il saggio di James “Su una certa cecità negli esseri umani”, pubblicato nei suoi Talks to Teachers on Psychology and to Students on Some of Life’s Ideals nel 1899, illustra un altro importante elemento della prospettiva morale di James. La cecità su cui James pone l’attenzione è quella di un essere umano nei confronti di un altro, una cecità che illustra con una storia presa dalla sua stessa vita. Cavalcando tra le montagne della Carolina del Nord, James si imbatté in un paesaggio devastato, senza alberi, solchi nel terreno, vi sono qua e là delle zone dove del granturco cresce alla luce del sole. Ma dopo aver parlato con i coloni che avevano disboscato la foresta per fare spazio alla loro fattoria, James giunse a vederla come la vedevano loro (almeno temporaneamente): non come una devastazione, ma come una manifestazione di “dovere, lotta e successo”. James conclude: “Ero così cieco alla peculiare idealità delle loro condizioni, come certamente loro lo sarebbero stati anche della mia idealità, se avessero dato un’occhiata ai miei strani modi di vivere accademici al chiuso a Cambridge” (TT 233-4). James ritrae una pluralità di prospettive nel saggio a cui attribuisce un significato sia metafisico/epistemologico che etico. Scrive che tale pluralità
ci comanda di tollerare, rispettare e assecondare coloro che vediamo innocuamente interessati e felici a modo loro, per quanto incomprensibili possano essere per noi. Giù le mani: né tutta la verità, né tutto il bene si rivela a un singolo osservatore, sebbene ognuno tragga una parziale superiorità di intuizione dalla peculiare posizione in cui si trova. Anche le carceri e le infermerie hanno le loro speciali rivelazioni (TT 264).
Sebbene il saggio riguardi la tolleranza e l’apprezzamento di diverse teorie, James espone il suo punto di vista romantico nella scelta degli eroi nel saggio: Wordsworth e Shelley, Emerson e W.H. Hudson, i quali si presume posseggano il senso del “significato illimitato delle cose naturali” (TT 244). Anche in città ci sono “un significato e un’importanza insondabili” (TT 254) negli avvenimenti quotidiani delle strade, del fiume, della folla. James elogia Walt Whitman, “un vecchio fannullone”, per aver saputo come trarre profitto dalle opportunità comuni della vita: dopo una mattinata di scrittura e un bagno, Whitman prende l’omnibus lungo Broadway dalla ventitreesima strada a Bowling Green e fa lo stesso al ritorno, solo per lo spettacolo e il piacere di farlo”. “Chi è più vicino alla verità”, si chiede James, “Whitman sul suo omnibus, pieno della gioia interiore con cui viene inspirato dallo spettacolo, o tu, pieno del disprezzo suscitato della futilità della sua occupazione? “(TT 252). L’interesse di James per le vite interiori degli altri e per scrittori come Tolstoj che condividono la sua comprensione dei loro “misteriosi flussi e riflussi” (TT 255), lo portò allo studio prolungato dell’esperienza religiosa umana, che presentò come le Gifford Lectures nel 1901 e nel 1902, pubblicato con il titolo di Le varie forme dell’esperienza religiosa nel 1902.
5. Le varie forme dell’esperienza religiosa
Come nei Principi di psicologia, quest’opera è “Uno studio della natura umana”, come afferma il sottotitolo. Ma con le sue circa cinquecento pagine corrisponde solo alla metà della lunghezza dei Principi di psicologia, il che si addice al suo ambito di indagine più ristretto, anche se comunque ampio. Questo perché James studia quella parte della natura umana che è, o è collegata, all’esperienza religiosa. Il suo interesse non è legato alle istituzioni religiose, ai rituali o, anche per la maggior parte, alle idee religiose, ma ai “sentimenti, le azioni e le esperienze dei singoli uomini nella loro solitudine, nella misura in cui si sentono in relazione a qualunque cosa possano considerare il divino” (V 31).
James stabilisce una distinzione centrale del libro nei primi capitoli “La religione della buona salute mentale e “L’anima malata”. La persona religiosa sana di mente – Walt Whitman è uno dei principali esempi di James – ha un profondo senso della “bontà della vita” (V 79) e un’anima di “colore azzurro cielo” (V 80). La mentalità sana può essere involontaria, semplicemente naturale per qualcuno, ma spesso si presenta in forme volontarie. Il cristianesimo liberale, ad esempio, rappresenta il trionfo di una risoluta devozione alla mentalità sana su una morbosa “vecchia teologia del fuoco dell’inferno” (V 91). James cita anche il “movimento della cura della mente” di Mary Baker Eddy, per la quale “il male è semplicemente una menzogna, e chiunque ne parli è un bugiardo” (V 107). Per “l’anima malata”, al contrario, “il male radicale giunge a peccare” (V 163). Per quanto ci si possa sentire al sicuro, l’anima malata scopre che “[in maniera insospettabile] dal fondo di ogni fonte di piacere, come diceva il vecchio poeta, sorge qualcosa di amaro: una leggera nausea, un morire di gioia, un soffio di malinconia…”. Questi stati non sono semplicemente sensazioni sgradevoli, perché portano “una sensazione di provenire da una regione più profonda e spesso hanno una capacità di convincimento spaventosa” (V 136). I principali esempi di James sono “La confessione” di Leo Tolstoj, l’autobiografia di John Bunyan e un rapporto di terrificante “paura” – presumibilmente da un corrispondente francese, ma in realtà dallo stesso James. Alcune anime malate non guariscono mai, mentre altre guariscono o addirittura trionfano: questi sono i cosiddetti “nati due volte”. Nei capitoli intitolati “Il sé diviso e il processo della sua unificazione” e “Conversione”, James discute di sant’Agostino, Henry Alline, Bunyan, Tolstoj e una serie di evangelisti popolari, concentrandosi su ciò che chiama “lo stato di certezza” (V 247) che essi hanno raggiunto. Al centro di questo stato c’è “la perdita di tutte le preoccupazioni, il senso che alla fine tutto va bene con una cosa sola, la pace, l’armonia, la volontà di essere, anche se le condizioni esteriori dovrebbero rimanere le stesse” (V 248).
Il capitolo classico delle Varie forme dell’esperienza religiosa sul “Misticismo” offre “quattro segni che, quando sono presenti in un’esperienza, possono giustificarci nel chiamarla mistica…” (V 380). Il primo è l’ineffabilità: “sfida l’espressione […], la sua qualità deve essere esperita direttamente, non può essere impartita o trasferita ad altri”. La seconda è una “qualità noetica”: gli stati mistici si presentano come stati di conoscenza. Terzo, gli stati mistici sono transitori; e, quarto, i soggetti sono passivi nei loro confronti: non possono controllare il loro andare e venire. Sono questi stati, conclude il capitolo James chiedendosi, “delle finestre attraverso le quali la mente si affaccia su un mondo più vasto e inclusivo[?]” (V 428).
Nei capitoli intitolati “Filosofia” – dedicati in gran parte al pragmatismo – e “Conclusioni”, James trova che l’esperienza religiosa sia nel complesso utile, anche “tra le più importanti funzioni biologiche dell’umanità”, ma ammette che ciò non la rende vera. Tuttavia, James articola la propria credenza – che non pretende di dimostrare – che le esperienze religiose ci connettono con una realtà più grande, o più lontana, non accessibile nelle nostre normali relazioni cognitive con il mondo: “Gli ulteriori limiti del nostro essere sprofondano, mi sembra, in un’altra dimensione dell’esistenza dal mondo sensibile e meramente ‘comprensibile’ “(V 515).
6. Scritti successivi
Pragmatismo (1907)
James annunciò per la prima volta il suo impegno nei confronti del pragmatismo in una conferenza a Berkeley nel 1898, intitolata “Concezioni filosofiche e risultati pratici”. Fonti successive per il suo scritto Pragmatismo furono le lezioni al Wellesley College nel 1905, e al Lowell Institute e alla Columbia University nel 1906 e 1907. Il pragmatismo emerge nel libro di James come sei cose: un temperamento filosofico, una teoria della verità, una teoria del significato, un approccio olistico alla conoscenza, una teoria metafisica e un metodo per risolvere le controversie filosofiche.
Il temperamento pragmatico appare nel capitolo di apertura del libro, dove (secondo un metodo da lui esposto per la prima volta in “Osservazioni sulla definizione della mente come corrispondenza di Spencer”) James classifica i filosofi secondo i loro temperamenti: in questo caso “rudi” o “teneri” di mente.” Il pragmatico è il mediatore tra questi estremi, qualcuno, come lo stesso James, con “lealtà scientifica ai fatti”, ma anche “l’antica fiducia nei valori umani e la conseguente spontaneità, sia di tipo religioso che romantico” (P 17). Il metodo per risolvere le controversie e la teoria del significato sono in mostra nella discussione di James di un argomento secondo cui un uomo che insegue uno scoiattolo intorno a un albero va anche intorno allo scoiattolo. Considerando espressioni come “effetti concepibili di tipo pratico che l’oggetto può comportare”, il filosofo pragmatico trova che sono in gioco due significati “pratici” di “andare intorno” [chase]: o l’uomo va a nord, est, sud e ovest dello scoiattolo, oppure osserva prima la testa dello scoiattolo, poi uno dei suoi lati, poi la sua coda, poi l’altro lato. “Compi la distinzione”, scrive James, “e non c’è occasione per ulteriori controversie”.
La teoria pragmatica della verità è l’argomento del sesto (e in una certa misura del secondo) capitolo del libro. La verità, sostiene James, è “una specie di bene”, come la salute. Le verità sono merci perché possiamo “guidarle” nel futuro senza essere spiacevolmente sorpresi. Essi “ci conducono in ambienti verbali e concettuali utili, nonché direttamente a termini utili e sensibili. Conducono alla coerenza, alla stabilità e alla fluidità dei rapporti umani. Conducono lontano dall’eccentricità e dall’isolamento, dal pensiero sventato e sterile” (103). Sebbene James sostenga che le verità sono “fabbricate” (104) nel corso dell’esperienza umana, e che per la maggior parte vivono “su un sistema di credito” in quanto non vengono verificate in un preciso momento, sostiene anche la tesi empirista secondo cui “le credenze verificate concretamente da qualcuno sono i pilastri di tutta la sovrastruttura” (P 100).
Il capitolo di James “Pragmatismo e umanismo” espone la sua epistemologia volontaristica. “Tagliamo ogni cosa”, afferma James, “proprio come ritagliamo le costellazioni, per servire i nostri scopi” (P, 100). Tuttavia, egli riconosce “fattori di resistenza in ogni esperienza di formazione della verità” (P, 117), includendo non solo le nostre sensazioni o le esperienze presenti, ma l’intero corpo delle nostre credenze precedenti. James non sostiene né che creiamo le nostre verità dal nulla, né che la verità sia del tutto indipendente dall’uomo. Abbraccia “il principio umanistico: che non si può estirpare il contributo umano (P, 122). Egli abbraccia anche una metafisica del processo quando afferma che “per il pragmatismo [la realtà] è ancora in divenire”, mentre per il “razionalismo la realtà è già pronta e completa dall’eternità” (P 123). Il capitolo finale di Pragmatismo denominato “Pragmatismo e religione” segue la linea di James nella Varie forme dell’esperienza religiosa nell’attaccare l’“assolutismo trascendentale” per la sua spiegazione non verificabile di Dio e nel difendere una “religione pluralistica e moralistica” (144) basata sull’esperienza umana. “Secondo principi pragmatici”, scrive James, “se l’ipotesi di Dio funziona in modo soddisfacente nel senso più ampio della parola, allora è vera” (143).
Un universo pluralistico (1909)
Originariamente tenuto a Oxford come una serie di lezioni dal titolo “Sulla situazione attuale in filosofia”, James inizia il suo libro, come aveva iniziato Pragmatismo, con una discussione sulla determinazione temperamentale delle teorie filosofiche, che, afferma James, “sono così tante visioni, modi di sentire tutta la spinta […] imposti dal proprio carattere e dalla propria esperienza complessivi, e sempre nel complesso preferiti – non c’è altra verità– come la migliore attitudine lavorativa” (UP 15). Ritenendo che la “visione” di un filosofo sia “la cosa importante” di lui (UP 3), James condanna la “eccessiva tecnicità e il conseguente squallore dei discepoli più giovani delle nostre università americane…” (UP 13).
James passa dalle discussioni critiche sull’idealismo di Josiah Royce e sull’“intellettualismo vizioso” di Hegel ai filosofi di cui ammira le idee: Gustav Fechner e Henri Bergson. Egli loda Fechner per aver sostenuto che “l’intero universo nelle sue diverse estensioni e lunghezze d’onda, esclusioni e sviluppi, è ovunque vivo e cosciente” (UP, 70), e cerca di raffinare e giustificare l’idea di Fechner coscienze umane, animali e le vegetali separate si incontrano o si fondono in una “coscienza di portata ancora più ampia” (72). James utilizza la critica dell’“intellettualismo” di Henri Bergson per sostenere che “gli impulsi concreti dell’esperienza non sembrano racchiusi da limiti così definiti, da cui sono invece confinati i nostri sostituti concettuali. Si scontrano continuamente e sembrano compenetrarsi” (UP 127). James conclude abbracciando una posizione che aveva esposto in modo più incerto in Le varie forme dell’esperienza religiosa: che le esperienze religiose “indicano con ragionevole probabilità la continuità della nostra coscienza con un ambiente spirituale più ampio, da cui l’uomo prudenziale ordinario (che è l’unico l’uomo di cui la cosiddetta psicologia scientifica prende atto) è spento” (UP 135). Mentre in Pragmatismo James sussume il religioso all’interno del pragmatico (come un altro modo per farsi strada con successo nel mondo), in Un universo pluralistico suggerisce che il religioso offre una relazione superiore all’universo.
Saggi sull’empirismo radicale (1912)
Questa raccolta postuma include i saggi pionieristici di James sulla “esperienza pura”, originariamente pubblicati nel 1904-5. L’idea fondamentale di James è che la mente e la materia sono entrambi aspetti o strutture formate da una sostanza più fondamentale – l’esperienza pura – che (nonostante sia chiamata “esperienza”) non è né mentale né fisica. L’esperienza pura, spiega James, è “il flusso immediato della vita che fornisce il materiale alla nostra riflessione successiva con le sue categorie concettuali […] un qualcosa che non è ancora definito come qualcosa, anche se è pronto per essere definito come qualsiasi cosa” (ERE 46). Quel “qualcosa” di esperienza pura potrebbero essere le menti e i corpi, persone e oggetti materiali, ma ciò non dipende da una fondamentale differenza ontologica tra queste “esperienze pure”, ma dalle relazioni di cui fanno parte. Certe sequenze di esperienze pure costituiscono oggetti fisici, e altre costituiscono persone, ma un’esperienza pura (ad esempio, la percezione di una sedia) può far parte sia della sequenza che costituisce la sedia, sia della sequenza che costituisce una persona. In effetti, un’esperienza pura potrebbe far parte di due menti distinte, come spiega James in un capitolo intitolato “Come due menti possono conoscere una stessa cosa”.
L’“empirismo radicale” di James è distinto dalla sua metafisica dell’esperienza pura. Non è mai definito con precisione nei Saggi, ed è spiegato in maniera più precisa in un passaggio di Il significato della verità, in cui James afferma che l’empirismo radicale consiste in un postulato, un’affermazione di fatto e una conclusione. Il postulato è che “le uniche cose che possono essere argomento di dibattito tra i filosofi dovrebbero essere le cose definibili in termini tratti dall’esperienza”. Il fatto è che le relazioni sono ugualmente direttamente esperite come le cose a cui si riferiscono, mentre la conclusione è che “le parti dell’esperienza sono tenute assieme l’un l’altra da relazioni che sono esse stesse parti dell’esperienza” (MT, 6-7).
Nel 1910, anno della sua morte, James stava ancora lavorando sulle obiezioni alla sua dottrina dell’esperienza pura, rispondendo ai critici del suo Pragmatismo e scrivendo un’introduzione ai problemi filosofici. La sua eredità si estende alla psicologia, allo studio della religione e anche in filosofia, non solo in tutta la tradizione pragmatista da lui fondata (insieme a Charles Peirce), ma anche nella fenomenologia e nella filosofia analitica. Edmund Husserl ha incorporato le nozioni di James come quella di “fringe” e “alone” nella sua fenomenologia (Moran, pp. 276-80), mentre L’analisi della mente di Bertrand Russell è in debito con la dottrina di James della “esperienza pura” (Russell, 1921, pp 22-6). Ludwig Wittgenstein apprese il concetto di “assenza dell’atto di volontà” dalla Psicologia di James (Goodman, Wittgenstein e William James, p. 81), e infine le versioni del “neo-pragmatismo” esposte da Nelson Goodman, Richard Rorty e Hilary Putnam sono sature delle idee del filosofo americano. William James è uno dei filosofi più attraenti e accattivanti: per la sua visione di un universo “selvaggio”, “aperto”, che è tuttavia plasmato dalle nostre forze e risponde ad alcuni dei nostri bisogni più profondi, ma anche, come ha osservato Russell nel suo necrologio, a causa della “grande tolleranza e […] umanità” con cui espone tale visione. (The Nation (3 settembre 1910: 793-4).
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Strumenti accademici
- Come citare questa voce.
- Vedi la versione PDF di questa voce (in inglese) presso: Friends of the SEP Society.
- Vedi questo stesso argomento presso il progetto: Internet Philosophy Ontology Project (InPhO).
- Bibliografia arricchita per questa voce presso PhilPapers, con link al suo database.
Altre risorse in Internet
- William James, web page by Frank Pajares.
- Pragmatism Cybrary
Voci correlate
Dewey, John | Husserl, Edmund | pluralism | pragmatism | religious experience | Russell, Bertrand | Wittgenstein, Ludwig
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