Fondamentalità [DRAFT]

Originale di Tuomas E. Tahko.
Traduzione di Filippo Pelucchi (1-1.4) e Giulio Sciacca (2-fine)
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Versione: Inverno 2022.

The following is the translation of Tuomas E. Tahko’s entry on “Fundamentality” in the Stanford Encyclopedia of Philosophy. The translation follows the version of the entry in the SEP’s archives at https://plato.stanford.edu/archives/win2022/entries/fundamentality/ . This translated version may differ from the current version of the entry, which may have been updated since the time of this translation. The current version is located at https://plato.stanford.edu/entries/fundamentality/ . We’d like to thank the Editors of the Stanford Encyclopedia of Philosophy for granting permission to translate and to publish this entry on the web.

La nozione di fondamentalità, per come viene usata in metafisica, mira a catturare l’idea che ci sia qualcosa di fondamentale o primitivo nel mondo. Questa nozione metafisica è legata all’uso comune di “fondamentale”, ma i filosofi hanno anche proposto varie definizioni tecniche della nozione. Tra le più influenti c’è la definizione di fondamentalità assoluta in termini di indipendenza ontologica o infondatezza [ungroundedness]. Di conseguenza, la nozione di fondamentalità è spesso associata a queste altre due nozioni tecniche, trattate nelle voci sulla dipendenza ontologica https://plato.stanford.edu/archives/win2022/entries/dependence-ontological/ e il grounding metafisico https://www.gavagaitranslations.com/2021/11/19/30-revision-v1-15/  in questa enciclopedia.  

Perché i filosofi sono interessati alla fondamentalità? Un motivo deriva da una certa visione della scienza. Non è raro pensare che la fisica delle particelle svolga un ruolo speciale nella nostra indagine sulla struttura della realtà. Dopo tutto, ogni entità materiale è costituita da particelle fondamentali. Quindi, si potrebbe pensare che la fisica delle particelle miri a descrivere il livello fondamentale della realtà, che contiene i mattoni elementari della natura. Possiamo allora impiegare la nozione di fondamentalità relativa, che ci permette di esprimere la natura gerarchica della realtà svelata dalla scienza, secondo la quale i fatti della biochimica dipendono dai fatti della chimica elementare, i quali dipendono a loro volta dai presunti fatti fondamentali della fisica delle particelle elementari.

L’idea che questo ordinamento prioritario termini al livello fondamentale è spesso espressa con la nozione di buona fondatezza [well-foundedness]. La teoria secondo cui la realtà è ben fondata nel senso rilevante è chiamata fondazionalismo metafisico, in contrasto con l’infinitismo metafisico. Un’altra opzione, che indebolisce l’ordine di priorità e suggerisce che le catene di dipendenza possono formare degli anelli, si chiama coerentismo metafisico.

Possiamo identificare due compiti chiave che deve svolgere la nozione di fondamentalità. Il primo è catturare l’idea che esista un fondamento dell’essere, che consiste in entità indipendenti. Il secondo è catturare l’idea che le entità fondamentali costituiscono una base completa da cui dipende tutto il resto. Questi due compiti sono correlati. In effetti, il primo sembrerebbe richiedere il secondo, ma non viceversa. Vedremo che dare la priorità all’uno o all’altro di questi compiti può comportare spiegazioni differenti del concetto di fondamentalità. Il secondo compito può essere applicato alla fondamentalità relativa e utilizzato per esprimere l’idea che esiste una gerarchia dell’essere per cui alcune entità sono più fondamentali di altre, anche se in senso stretto questo quadro gerarchico è indipendente dalla nozione di “base completa”.

Questa voce si concentrerà sul dibattito contemporaneo, ma molte delle idee discusse all’interno della letteratura contemporanea esistono da millenni. Ora abbiamo gli strumenti per rendere queste importanti idee molto più precise. Questioni storiche rilevanti includono l’atomismo antico (ad esempio, Leucippo e Democrito, vedi la voce a parte sull’atomismo antico https://plato.stanford.edu/archives/win2022/entries/atomism-ancient/) le molteplici discussioni di Aristotele sulla priorità (vedi, ad esempio, Peramatzis 2011 e gli articoli in Sirkel & Tahko 2014), la discussione di Tommaso d’Aquino sulla causa prima (vedi la voce sull’argomento cosmologico https://plato.stanford.edu/archives/win2022/entries/cosmological-argument/ ), e il principio di ragion sufficiente https://plato.stanford.edu/archives/win2022/entries/sufficient-reason/ , per come viene discusso da Spinoza e Leibniz, tra gli altri.

1. Tipologie di fondamentalità

Ci sono parecchi sensi in cui si può dire che una cosa è fondamentale: alcuni tecnici, altri relativamente intuitivi. Un modo molto comune di pensare alla fondamentalità è in termini di indipendenza, per cui per qualsiasi nozione di dipendenza D, un’entità è D-fondamentale se e solo se non D-dipende da nient’altro (o da qualsiasi altra cosa che non dipenda da essa). Questa caratterizzazione della fondamentalità basata sull’indipendenza sarà discussa nelle sezioni 1.1 e 1.2. Ci sono anche altri modi per comprendere la fondamentalità; questi includono la fondamentalità come descrizione completa della realtà (sezione 1.3) e come primitiva (sezione 1.4). Esistono dunque molti modi per comprendere la fondamentalità e rimane un problema sostanziale se esista o meno una singola idea di fondamentalità che questi diversi modi stanno cercando di catturare. Ma anche se non esiste un senso unitario di fondamentalità, una questione interessante è se esistano entità fondamentali, dove “fondamentale” è inteso in uno dei diversi modi che verranno specificati di seguito. Potremmo anche chiederci se queste entità ci servano, se determinate teorie siano legate alla loro esistenza e quale sarebbe il ruolo dei fondamentalia nelle spiegazioni. Prima di iniziare, bisogna menzionare alcune questioni preliminari.

Per gli scopi presenti, siamo interessati alla nozione di una cosa fondamentale, o un tipo di cosa. I candidati alla fondamentalità possono includere oggetti, come gli elettroni, ma possono anche includere proprietà o fatti. La scelta relativa al tipo di entità pertinente può dipendere dalla spiegazione della fondamentalità che preferiamo maggiormente. Tuttavia, c’è spesso una traduzione accettabile tra teorie diverse.[1] Ad esempio, supponiamo che consideriamo fondamentale il fatto <gli elettroni hanno carica negativa unitaria>. Chi non sia desideroso di attribuire fondamentalità ai fatti (ad esempio, perché nella loro ontologia non esistono fatti), potrebbe intendere questo assunto come se dicesse che la proprietà carica negativa unitaria è fondamentale e istanziata dagli elettroni. La traduzione qui va da gli elettroni hanno carica negativa unitaria alla proprietà fondamentale carica negativa unitaria che è istanziata dagli elettroni (e da essi soltanto). Dunque, il disaccordo tra coloro che considerano fondamentali i fatti e coloro che considerano fondamentali gli oggetti e le proprietà potrebbe non essere così profondo come sembra.

Dovremmo anche distinguere tra la fondamentalità degli enti appartenenti a una certa categoria ontologica e la fondamentalità della categoria ontologica stessa. Una cosa è dire che certe proprietà sono fondamentali; un’altra è dire che la categoria di proprietà è una categoria fondamentale. Ci occuperemo principalmente della prima questione, ma il dibattito su quali categorie ontologiche siano fondamentali e quante di queste categorie esistano è stato vivace per il corso di tutta la storia della filosofia occidentale. Ad esempio, Aristotele avrebbe pensato che le sostanze fossero l’unica categoria separata e quindi più fondamentale delle altre categorie, come la categoria degli universali (Aristotele Fisica 185a31–32; Metafisica 1029a27–28).[2]

Dal momento che un compito essenziale per la nozione di fondamentalità è quello di aiutarci ad articolare l’idea secondo cui esiterebbe una struttura gerarchica per la realtà, spesso si assume che la relazione di dipendenza con cui abbiamo a che fare debba essere asimmetrica. Tipicamente, la relazione andrebbe anche considerata transitiva ed irriflessiva, producendo così un ordine stretto parziale. Tuttavia, ciascuna di queste caratteristiche formali può di fatto essere messa in discussione, anche se c’è dibattito sul fatto o meno che indebolisca questa concezione stratificata (vedi Rabin 2018).[3]

Abbiamo notato che la fondamentalità relativa è una nozione molto importante, poiché il secondo compito chiave che deve svolgere riguarda la sua gerarchia. Inoltre, la fondamentalità relativa probabilmente si potrebbe usare per definire la fondamentalità assoluta (dove un’entità x è assolutamente fondamentale se e solo se non è relativamente fondamentale per nessuna entità y). Al contrario, la fondamentalità relativa non può essere definita in termini di fondamentalità assoluta, quindi ci sono ragioni per pensare che dovremmo concentrarci sulla fondamentalità relativa, nella misura in cui la nozione ha senso. Detto questo, è forse sorprendente che finora ci siano relativamente poche spiegazioni esplicite della fondamentalità relativa in letteratura, ma vi faremo riferimento dov’è il caso di farlo (vedi Wilson 2012, 2016; Zylstra 2014; Koslicki 2015; Bennett 2017: capitolo 6; deRosset 2017; Correia di prossima pubblicazione).

Infine, la nozione di naturalezza [naturalness] e la nozione correlatadi scarsità [sparsness], familiare soprattutto a partire dal lavoro di Lewis (vedi Lewis 1986, 2009; Schaffer 2004; Dorr & Hawthorne 2013; McDaniel 2013, 2017; Thompson 2016a) è talvolta collegata alla fondamentalità. L’influente nozione di struttura di Sider (2011) è correlata in senso stretto alla nozione di naturalezza. Proprietà perfettamente naturali potrebbero sembrare buoni candidati per entità assolutamente fondamentali. La naturalezza è senza dubbio una parente stretta della fondamentalità, ma ci sono alcune ragioni per pensare che le due nozioni non possano svolgere gli stessi compiti (vedi Bennett 2017: capitolo 5.7). La cosa più sorprendente è che possono esistere entità perfettamente naturali che dipendono in modi che sono chiaramente esclusi da molte delle definizioni di fondamentalità che considereremo tra poco.[4] Per ulteriori approfondimenti, vedi il supplemento sulla distinzione naturale/non naturale presente nella voce sulla metafisica di David Lewis https://plato.stanford.edu/archives/win2022/entries/lewis-metaphysics/ .

1.1 Indipendenza assoluta

La prima definizione di fondamentalità che verrà considerata si può chiamare Indipendenza Assoluta:

(IA) x è assolutamente indipendente se e solo se, per tutte le relazioni metafisiche di dipendenza D, non esiste un y tale che Dxy.

Cosa è incluso in D? Possiamo compilare una lista aperta di possibili relazioni: grounding, dipendenza tra gli insiemi e le loro parti (nota come dipendenza mereologica o composizionale), realizzazione, dipendenza esistenziale, dipendenza essenziale e, in maniera controversa, anche dipendenza causale (sul legame con la causalità, vedi Bernstein 2016; Koslicki 2016; Schaffer 2016b; Shaheen 2017). L’elenco è aperto in parte perché c’è disaccordo su ciò che conta come relazione di dipendenza metafisica in senso rilevante e in parte perché potrebbero esserci relazioni di dipendenza metafisica che desideriamo escludere. Un possibile criterio (ovvero il “senso rilevante”) da includere nella lista è che le relazioni di dipendenza in questione debbano avere almeno alcuni tratti in comune, come, ad esempio, la transitività. Inoltre, due filosofi potrebbero non essere d’accordo, per dire, sul fatto che la dipendenza composizionale sia una vera relazione di dipendenza metafisica. Dunque, per questi due filosofi (AI) produrrà una definizione diversa di fondamentalità, perché lo scopo di D è diverso. Non tenteremo di fornire un elenco completo o di definire tutti questi diversi tipi di dipendenza metafisica, ma per ulteriori dettagli su alcuni di essi, vedi le voci a parte sulla dipendenza ontologica e il grounding metafisico.[5]

Ciò che conta è che (IA) è un tentativo di definire la fondamentalità nei termini più generali possibili, utilizzando una nozione molto ampia di dipendenza metafisica. Esiste, tuttavia, almeno un tipo di dipendenza che probabilmente vorremmo escludere da D, vale a dire la dipendenza modale. Il motivo è semplice: nulla sarà indipendente nel senso di (IA) se è richiesta l’indipendenza modale (cfr. Wang 2016). Ciò è evidente se consideriamo alcuni esistenti necessari, come i numeri (assumendo che i numeri esistano necessariamente), poiché è necessariamente il caso che il numero 2 esista se esiste anche Socrate. Dunque, l’esistenza di Socrate richiede l’esistenza del numero 2. Inoltre, il numero 2 necessita l’esistenza del numero 3 e viceversa. Questo ovviamente si va a generalizzare, il che comporta che non esista nessuna entità “assolutamente libera dal punto di vista della sua esistenza a livello modale”, come afferma Wang (2016).

Anche se escludiamo la dipendenza modale, (IA) è un senso molto forte di fondamentalità, probabilmente troppo forte. Di conseguenza, potrebbe non essere un’opzione molto popolare. In effetti, è difficile trovare un’approvazione diretta di (IA) nella letteratura. Detto questo, ci sono alcuni potenziali candidati, anche se controversi, per essere entità assolutamente indipendenti, come Dio. Forse è anche possibile pensare all’universo nel suo insieme come assolutamente indipendente in questo senso. Ciò potrebbe riflettere qualcosa di simile alla teoria dell’atomo primordiale di Georges Lemaître o all’ipotesi dell’uovo cosmico, un’idea ora meglio conosciuta col nome di teoria del Big Bang. L’ipotesi di Lemaître era che l’espansione osservata dell’universo potesse aver avuto origine da un singolo punto, l’atomo primordiale, che avrebbe contenuto l’intera massa dell’universo. Ora, si può naturalmente postulare che lo stesso atomo primordiale possa dipendere da qualcos’altro, ad esempio Dio, ma questo ci dà comunque un’idea di indipendenza assoluta motivata interamente dalla teoria naturalistica. La posizione metafisica che più si avvicina a questa idea sarebbe una specie di monismo, forse motivato da considerazioni emergenti dall’olismo quantistico (Calosi 2013; Ney 2015; Ismael & Schaffer di prossima pubblicazione; e la voce sul monismo https://plato.stanford.edu/archives/win2022/entries/monism/

Perché la fondamentalità definita in termini di (IA) sembra troppo forte? Uno dei motivi principali è che molte cose che normalmente potremmo considerare fondamentali risultano dipendere da altre cose in un senso o nell’altro. Supponiamo, ad esempio, che ci sia un livello mereologicamente fondamentale, cioè che ci siano atomi mereologici che non hanno delle parti proprie. Se la dipendenza mereologica va dagli interi alle loro parti, contrariamente al monismo prioritario come quello difeso da Schaffer (2010a), questi atomi mereologici sono chiaramente indipendenti in senso mereologico e la maggior parte dei filosofi vorrebbe probabilmente considerarli come fondamentali. Ma anche se questi atomi mereologici sono mereologicamente indipendenti, potrebbero comunque dipendere metafisicamente da altre entità in un altro senso.

Consideriamo un esempio dalla fisica. Il Modello standard della fisica delle particelle considera i quark come particelle puntiformi prive di struttura interna: sono atomi mereologici. Ma i quark non esistono indipendentemente; esistono in gruppi di due o tre, come nel caso di mesoni, protoni e neutroni. Dunque, non puoi ottenere dei quark che esistano liberamente l’uno dall’altro, per quanto possano essere degli atomi mereologici. Sembra esserci almeno un tipo debole di dipendenza esistenziale simmetrica tra i tre quark che compongono, ad esempio, un certo protone. In altre parole, i tre quark che compongono un protone dipendono simmetricamente l’uno dall’altro per la loro esistenza e forse anche per la loro identità o essenza, anche se questo è molto più controverso (vedi la voce sulla dipendenza ontologica https://plato.stanford.edu/archives/win2022/entries/dependence-ontological/  per la discussione sulla dipendenza dall’identità e sulla dipendenza essenziale dipendenza).

Più in dettaglio, il legame forte tra i quark è noto come confinamento dei quark ed è talvolta illustrato con il “modello del sacchetto” [bag model]. L’idea è di pensare a una tripletta di quark come se fosse all’interno di un sacchetto elastico. Se provi a separare uno dei quark della tripletta, scoprirai che il sacchetto resiste ai tuoi sforzi con una forza crescente. L’energia che sarebbe richiesta per isolare un quark dalla tripletta è di gran lunga maggiore dell’energia prodotta da una coppia quark-antiquark. Dunque, ciò che accade è che prima che l’isolamento possa avvenire, nel momento in cui l’energia viene diretta al processo produce mesoni e coppie quark-antiquark. Invece di separare un quark da una tripletta di quark, ti ritroverai con una coppia quark-antiquark (e la tripletta di quark originale rimarrebbe intatta). Sembra dunque che i quark in una tripletta siano esistenzialmente dipendenti l’uno dall’altro. È importante osservare che questa dipendenza tra i quark potrebbe non essere puramente causale. Se ci fossero dei quark che esistenti indipendentemente l’uno dall’altro e che a volte vengono insaccati insieme, allora la loro mutua dipendenza sembrerebbe davvero essere meramente causale. Ma dato che non abbiamo mai osservato quark di questo tipo, sembra che l’esistenza di un quark richieda l’esistenza di un altro. Questo di per sé è già sufficiente per la dipendenza esistenziale.[6]

Si scopre così che molti candidati intuitivi per i fondamentalia non sarebbero fondamentali secondo la definizione (IA) di fondamentalità. Si potrebbe, tuttavia, anche considerare di far sì che i fondamentalia dipendano simmetricamente l’uno dall’altro (vedi Priest 2018).[7]

Ci sono altre due questioni da segnalare. In primo luogo, per come è stato formulato, (IA) lascia aperta la questione se le entità fondamentali possano dipendere da sé stesse, ma questo è un problema che il sostenitore della fondamentalità in ultima analisi dovrebbe affrontare. Nel caso di (IA), la definizione è già estremamente forte; quindi, potrebbe essere ragionevole lasciare spazio a entità auto-dipendenti (come fanno Bliss & Priest 2018b).

In secondo luogo, esiste un’interessante classe di entità che sono fondamentali secondo (IA), ma che possono causare problemi ad altre teorie sulla fondamentalità. Queste entità sono talvolta note come “scansafatiche” [idlers] (ad esempio, Lewis 2009: 205; Bennett 2017: 123). Per Lewis, gli scansafatiche sono proprietà fondamentali, che sono istanziate nel mondo reale, ma che “non svolgono alcun ruolo attivo nel funzionamento della natura”. Dunque, gli scansafatiche sono almeno causalmente isolati. Tuttavia, possiamo postulare in aggiunta che gli “scansafatiche assoluti” siano assolutamente isolati: non dipendono da nulla, e nulla (almeno nulla di concreto) dipende da loro. Gli scansafatiche assoluti sarebbero quindi assolutamente indipendenti nel senso richiesto da (IA). Se esistano questi scansafatiche assoluti è ovviamente un’altra questione. Se esistono, allora sono entità poco interessanti – anzi, probabilmente vanno completamente al di là della nostra comprensione visto quanto sono isolati. Inoltre, affinché l’idea delle scansafatiche assolute abbia una qualche plausibilità, dovremmo restringere il loro isolamento in modo tale che possano partecipare a costruzioni astratte come gli insiemi.

1.2 Indipendenza ristretta

La seconda definizione di fondamentalità che verrà considerata è molto più versatile e più debole di (IA). La chiameremo indipendenza ristretta. Ciò produrrà un senso relativizzato di fondamentalità, dove la fondamentalità è relativa rispetto a una certa tipologia o tipologie di dipendenza metafisica.  Non bisognerebbe confonderla con la fondamentalità relativa, che riguarda l’ordine di priorità [priority ordering] tra due entità non fondamentali. Dunque, l’indipendenza ristretta parte dall’idea che per ogni relazione di dipendenza metafisica c’è una corrispondente nozione di fondamentalità c dobbiamo relativizzare la nozione di fondamentalità di conseguenza:

(IR) x è indipendente in maniera ristretta se e solo se, per le relazioni di dipendenza metafisica D1, D2, DN, non esiste un y tale che Dxy

(IR) si limita a riguardare solo alcuni tipi specifici di dipendenza metafisica, perché è plausibile che alcune relazioni di dipendenza metafisica, come la dipendenza modale (come abbiamo visto nella sezione 1.1), escludano immediatamente le entità fondamentali. Si noti che (IR) implica ancora la possibilità di includere diverse relazioni di dipendenza, ma possiamo facilmente definire un senso di dipendenza ristretto per ciascuna di D1, D2 …DN. Possiamo anche definire un senso molto più debole di indipendenza ristretta, chiamiamola “poco-indipendenza” [some-indipendence]:

(PI) x è poco-indipendente se e solo se, per le relazioni di dipendenza metafisica D1, D2, DN, non esiste un y tale che Dxy. 

Tuttavia, anche se (PI) ha qualche utilità, è probabile che sia troppo debole per essere utile a definire la nozione di fondamentalità, poiché catturerà entità che sono indipendenti in modi radicalmente diversi.

Abbiamo già discusso alcuni tipi di dipendenza metafisica a cui potrebbe applicarsi (RI), come il grounding e la dipendenza mereologica. (RI) riguarda il sottoinsieme di quelle relazioni di dipendenza metafisiche che sono considerate rilevanti per la fondamentalità; quindi, qui due filosofi potrebbero non essere d’accordo su quali relazioni di dipendenza includere in quel sottoinsieme. Variazioni di questa concezione di fondamentalità si possono trovare in tutta la letteratura ed essa è probabilmente la più vicina a una concezione standard (alcuni esempi: Schaffer 2009: 373; Dixon 2016: 442; Bennett 2017: 105; vedi anche Tahko 2015: capitolo 6; Bliss & Priest 2018b). Ci sono, ovviamente, molte differenze tra le diverse spiegazioni. Le diverse formulazioni di (RI) sono abbastanza standard da essere state raccolte anche dalla maggior parte di coloro che sono critici nei confronti di questa concezione della fondamentalità (Bliss 2013: 413; Morganti 2015: 559; Raven 2016: 608).[8]

Sia (IA) che (IR) potrebbero essere intese come una proposta dell’idea che la realtà fondamentale ha bisogno di un sostegno relazionale (su questa nozione, confronta con Fine 2001: 25). In altre parole, qualunque sia la fondamentalità, deve essere il caso che una (o più) delle varie relazioni di dipendenza metafisica si possano usare per definire la fondamentalità. Ma poiché (IR) lascia completamente aperto quale sia effettivamente la relazione di dipendenza metafisica rilevante per la fondamentalità, dovremmo citare alcuni esempi. Ad un certo punto nei primi anni 2000, è possibile che la maggior parte dei filosofi che utilizzavano la nozione di fondamentalità avesse in mente quella che potremmo chiamare fondamentalità mereologica, per cui il tipo rilevante di dipendenza è la dipendenza mereologica (vedi in particolare Schaffer 2003). Una definizione concisa di dipendenza mereologica è offerta da Kim:

le proprietà di un tutto, o il fatto che un tutto esemplifica una certa proprietà, può dipendere dalle proprietà e dalle relazioni che hanno le sue parti.

(2010: 183; vedi anche Markosian 2005; Thalos 2010, 2013)

Tuttavia, anche se la dipendenza mereologica viene ancora considerata rilevante per la fondamentalità, sta diventando meno comune considerarla come l’unico tipo rilevante di dipendenza (Wilsch 2016; Bennett 2017: 8–9). Comunque sia, si può certamente risalire all’origine di questo tipo di idea, dato che l’atomismo (mereologico) come quello difeso già da filosofi antichi quali Leucippo e Democrito sembrerebbe essere un esempio della teoria (vedi la voce a parte sull’atomismo antico https://plato.stanford.edu/archives/win2022/entries/atomism-ancient/ per i dettagli).

È importante comprendere che la tesi secondo cui alcune cose sono mereologicamente fondamentali non implica un impegno per l’atomismo. Qui può essere utile introdurre la distinzione tra pluralismo (prioritario) e monismo. Abbiamo già visto che un monista potrebbe essere attratto da una visione della fondamentalità secondo cui esiste solo un’entità fondamentale, come il cosmo o l’universo nel suo insieme (Schaffer 2010a è una buona esposizione e una difesa di questa visione ispirata da Spinoza; vedi anche Newlands 2010). Questa visione non implica direttamente nulla sulle relazioni di fondamentalità relativa tra i non fondamentali, ma ci permette di comprendere meglio che potrebbe valere il contrario della dipendenza mereologica, per come la definisce Kim: invece di interi che dipendono dalle loro parti, le parti potrebbe dipendere dal tutto. Ciò è in contrasto con l’idea più familiare, spesso associata ma non implicata dall’atomismo, secondo cui la dipendenza mereologica debba andare dall’oggetto più grande a quello più piccolo, essendo gli atomi mereologici le entità fondamentali. Quindi, la scelta sulla direzione della relazione di dipendenza rilevante è spesso riflessa dalla scelta tra pluralismo prioritario e monismo, sebbene in senso stretto queste questioni siano indipendenti (Miller 2009; Trogdon 2009; Cotnoir 2013; Steinberg 2015; Tallant 2015). Due sostenitori di (IR), anche se concordano su quale sottoinsieme appropriato di relazioni di dipendenza metafisica sia rilevante per la fondamentalità, possono non essere d’accordo sulla direzione della relazione (o più di una) rilevante di dipendenza.[9]

Passando a una diversa sottospecie di (IR), vediamo un chiaro legame tra grounding e fondamentalità, dove grounding è inteso come espressione di una connessione non causale tra due cose. Ad esempio, un certo atto potrebbe essere considerato malvagio perché provoca danni. La congiunzione “perché” in questa affermazione non esprime un nesso causale; invece, ci dice che cosa fonda [grounds] la malvagità dell’atto. Allo stesso modo, si potrebbe pensare che gli stati mentali si ottengano in virtù degli stati neurofisiologici o che una sostanza sia anteriore ai suoi tropi. Le nozioni di “in virtù di” e “prima di” in questi casi possono essere intese in termini di grounding. Quello che probabilmente è il modo più comune nella letteratura contemporanea di comprendere (IR) è che la relazione più importante (se non l’unica) di dipendenza metafisica rilevante per la fondamentalità è il grounding. Si noti, tuttavia, che anche il grounding potrebbe essere inteso come una famiglia di relazioni di dipendenza (Trogdon 2013).

Secondo la caratterizzazione basata sul grounding della fondamentalità, i fondamentalia sono entità senza fondamento [ungrounded]: tutto è senza fondamento o in ultima analisi è fondato nelle entità fondamentali e senza fondamento (Schaffer 2009: 353; Audi 2012: 710; Dasgupta 2014a: 536; Raven 2016: 613). Ad esempio, Audi (2012: 710) distingue esplicitamente tra il fondamentale esplicativo e il fondamentale composizionale, dove il primo è associato al grounding, mentre il secondo alla dipendenza mereologica. Come nota giustamente Audi, si potrebbe pensare che spesso queste due nozioni di fondamentalità si sovrappongano. Ricorda, però, che abbiamo appena osservato che potrebbe valere il contrario della dipendenza mereologica, che va dall’oggetto più piccolo al più grande. Per il monista prioritario, questa relazione di dipendenza che va dal più piccolo al più grande è fondamentale, quindi produrrebbe anche una concezione diversa di fondamentalità.

Se fondamentalità esplicativa e fondamentalità composizionale sono veramente due nozioni diverse che corrispondono a due nozioni indipendenti di fondamentalità, allora (RI) consente la sovrapposizione di fondamentalità esplicativa e composizionale. Ma ci potrebbero certamente essere altre considerazioni contro questo punto. Ad esempio, se (RI) è inteso nel senso che essere fondamentale significa soltanto essere al punto di terminazione di qualche relazione di dipendenza, allora il dibattito tra monismo e pluralismo potrebbe essere solo un dibattito sulla direzione della fondamentalità composizionale, dove la fondamentalità composizionale termina negli atomi mereologici e il suo contrario termina nell’intero cosmo. In altre parole, questo potrebbe essere inteso come un dibattito sul fatto che la fondamentalità esplicativa sia allineata con la fondamentalità composizionale o il suo contrario. In qualunque modo decidiamo di procedere, sembrerebbe che finiamo per allineare alcune nozioni di fondamentalità e disallineare altre.

Sorge un’importante domanda: dovremmo davvero postulare diverse nozioni indipendenti di fondamentalità, relativizzate a ciascuna delle relazioni di dipendenza metafisica, o dovremmo puntare a definire un solo senso di fondamentalità, definendola in termini di una sola relazione di dipendenza metafisica o in termini di qualche privilegiato sottoinsieme proprio di queste relazioni?

Dato che ci sono buone ragioni per escludere alcune nozioni di dipendenza, come la dipendenza modale e forse la dipendenza causale, sembrerebbe sorgere un’ulteriore domanda: perché vogliamo fornire una corrispondente definizione di fondamentalità soltanto per alcune nozioni di dipendenza? C’è un ovvio problema per l’idea secondo cui dovremmo postulare diverse nozioni relativizzate di fondamentalità. La sfida è semplicemente che la nozione di fondamentalità sembrerebbe fare ben poco in aggiunta alle varie nozioni relativizzate di indipendenza. In effetti, è probabile che ciò crei confusione, perché la nozione di fondamentalità è talvolta utilizzata in letteratura senza alcuna menzione di quale sia il senso relativizzato di indipendenza in questione. Inoltre, poiché diversi tipi di dipendenza metafisica hanno proprietà formali diverse (ad esempio, alcuni sono ordini parziali rigorosi, ma altri potrebbero essere simmetrici, riflessivi o non transitivi) e possono forse anche procedere in direzioni diverse, è difficile vedere cosa potrebbe unificare le diverse nozioni di fondamentalità, cioè il sottoinsieme proprio di quelle relazioni di dipendenza che consideriamo rilevanti per la fondamentalità.[10]

Quelli che pensano che il grounding sia fortemente unificato spesso si appellano alle sue proprietà formali (per un approccio diverso, vedi Trogdon 2018a). Queste proprietà possono essere dibattute, ma se il grounding fosse fortemente unificato, allora si potrebbe ritenere che affinché una relazione conti come grounding, dovrebbe quantomeno adattarsi a queste proprietà. Le proprietà formali rilevanti includono quanto segue: il grounding è un ordine parziale rigoroso, non monotono, nel senso che non possiamo aggiungere motivi arbitrari e aspettarci che il grounding valga ancora (cioè, se A è fondato in B, allora non segue che A è fondato in B e C), e si pensa che i fondamenti richiedano metafisicamente ciò che fondano (vedi comunque Leuenberger 2014; Skiles 2015 contro la necessitazione). Al contrario, le relazioni costruttive di Bennett (vedi nota 10) non condividono tutte le loro proprietà formali. Egli sostiene che sono tutti antisimmetrici e irriflessivi, ma non necessariamente transitivi (Bennett 2017: 46). Un altro esempio di questo tipo di approccio “multidimensionale” alla fondamentalità si può trovare nel lavoro di Koslicki (2012, 2015, 2016).[11]

È importante notare che in una visione multidimensionale in cui le varie relazioni di dipendenza rilevanti per la fondamentalità potrebbero anche funzionare in direzioni diverse, bisogna stare molto attenti a specificare quale nozione relativizzata di fondamentalità si ha in mente. Se si scopre che qualche entità è indipendente in tutti i sensi relativizzati di indipendenza rilevanti per la fondamentalità, allora sembrerebbe che siamo tornati all’indipendenza assoluta (IA) (o indipendenza “punto” [full stop], come la chiama Bennett 2017: 106).

Qui faremmo bene a distinguere sistematicamente tra quei sostenitori di (IR) che sostengono che solo una relazione di dipendenza metafisica, ad esempio la dipendenza mereologica o una nozione fortemente unificata di grounding, sia rilevante per la fondamentalità e coloro che pensano che un sottoinsieme appropriato di queste relazioni sia rilevante per la fondamentalità. A volte le etichette monismo e pluralismo sono usate per distinguere tra la visione del fondamentalismo singolare e la visione multidimensionale, ma per chiarezza dovremmo introdurre termini diversi, poiché abbiamo già usato queste etichette per un altro scopo.[12] Useremo dunque le etichette (IR-uno) e (IR-molti) per distinguere tra coloro che pensano che esista una sola nozione di fondamentalità e coloro che pensano che ne esistano di diverse. In genere, c’è un modo semplice per tradurre queste due visioni. Diciamo che un sostenitore di (IR-uno) pensa che solo la dipendenza mereologica sia rilevante per la fondamentalità. Ebbene, un sostenitore di (IR-molti), a condizione che la dipendenza mereologica sia una delle relazioni che considera rilevanti per la fondamentalità, può semplicemente tradurre la nozione (IR-uno) di fondamentalità nella sua nozione (IR-molti) di fondamentalità mereologica. Il disaccordo nasce dunque dal fatto che secondo (IR-uno), esiste un’unica nozione di fondamentalità, e dal fatto che secondo lui (RI-molti) ritiene (erroneamente) che altre nozioni di fondamentalità siano autentiche, mentre secondo (RI- molti), esistono diverse nozioni relativizzate di fondamentalità, e (RI-uno) ne sceglie erroneamente solo uno, o addirittura nessuno, a seconda che la relazione rilevante (RI-uno) sia inclusa.[13]

Concludiamo questa sezione ponendo un’ulteriore domanda a tutti i sostenitori di (IR): cos’è che privilegia il sottoinsieme proprio di relazioni di dipendenza metafisica rilevanti per la fondamentalità, siano esse una o molte? Cosa rende queste relazioni di dipendenza rilevanti per la fondamentalità? Dato che si ritiene spesso che uno dei compiti principali della nozione di fondamentalità sia correlato all’idea della struttura gerarchica della realtà, un potenziale punto di partenza potrebbe essere quello di appellarsi all’asimmetria e alla transitività, ma abbiamo visto che potrebbero esistere relazioni di dipendenza che sono rilevanti per la fondamentalità che non sono transitive. A questo punto, può essere utile passare alla terza definizione potenziale di fondamentalità, dato che qualcosa sulla falsariga di questa definizione viene spesso utilizzato per caratterizzare la fondamentalità definita anche in termini di (IR).

1.3 Base minima completa

La concezione di fondamentalità da considerare in questa sezione è spesso usata per spiegare il secondo compito chiave della nozione di fondamentalità: che le entità fondamentali agiscono come i mattoni di base della realtà. Secondo questo approccio, le entità fondamentali determinano tutto il resto. Fornendo un elenco completo delle entità fondamentali, possiamo fornire una descrizione minima completa della realtà. Quindi, ora stiamo spostando la nostra attenzione da ciò da cui dipende tutto il resto a ciò che, per così dire, supporta tutto il resto. Questa idea è spesso invocata per caratterizzare la fondamentalità, ma non necessariamente per definirla (Schaffer 2010a: 39n14; Sider 2011: 16–18; Jenkins 2013: 212; Paul 2012: 221; Tahko 2014: 263; Wilson 2014: 561; Raven 2016: 609; Bennett 2017: 107 e seguenti). L’idea è che la fondamentalità può essere intesa in termini di una base minima completa:

(BMC) x è fondamentale se e solo se x appartiene a una pluralità di entità X e X forma una base completa che determina tutto il resto. La base completa è minima se nessun sottoinsieme proprio delle entità appartenenti a X è completo.

L’idea di “base” può essere interpretata in diversi modi. Un ovvio candidato è pensare alla base come a un insieme di entità. È del tutto naturale formulare (BMC) in termini di un insieme minimo completo e continueremo a farlo nelle sezioni successive (e anche Bennett 2017: 110). Un’altra nozione da chiarire in (BMC) è l’espressione “determina”. Questa dovrebbe essere intesa come un segnaposto [placeholder], inteso a comprendere i vari modi in cui i fondamentalia possono dare origine a fenomeni di livello superiore. Quindi, “determina” potrebbe essere sostituito, ad esempio, da “fonda”, “realizza”, “compone” o “costruisce”.[14] È importante sottolineare che questo tipo di determinazione dovrebbe essere qualcosa di più della semplice necessità o della sopravvenienza, sebbene l’idea sia strettamente correlata alle discussioni tradizionali di una base minima di sopravvenienza (vedi Schaffer 2003; confronta anche con la nozione di Schaffer di “generazione” in Schaffer 2016b: 54).[15]

Ci sono alcune questioni preliminari da specificare prima di poter passare a una discussione più generale su (BMC).

1) (BMC) è compatibile con l’idea che la realtà possa avere un fondamento [underpinning] plurale non riducibile per cui se X forma una base minima completa, nessun sottoinsieme proprio di X sarà completo.[16]

2) Abbiamo incluso una condizione di minimalità nella definizione di (BMC). Questa è un’aggiunta importante, perché altrimenti potremmo prendere l’insieme di tutte le entità del mondo e chiamarlo completo, dato che anche questo insieme comprenderebbe tutte le entità fondamentali. Quindi, secondo (BMC), la base minima completa deve includere tutte e soltanto le entità fondamentali.

3) C’è una questione aperta riguardante l’unicità. Potrebbero esserci diversi insiemi distinti che sono minimi e completi? In altre parole, potrebbero esistere insiemi minimi distinti, ciascuno completo e quindi in grado di determinare tutto il resto? Bennett (2017: 112ff.) lascia aperta la possibilità che esistano insiemi minimi completi distinti, ma fa un certo uso della nozione di un insieme unico minimamente completo, mentre Tahko (2018) specula sulla possibilità di diverse “descrizioni ontologicamente minime”, eliminando il requisito di unicità.[17]

4) In linea di principio, è possibile definire versioni relativizzate di (BMC), proprio come abbiamo fatto nella sezione 1.2 con (IR). Quindi, si potrebbe distinguere tra completezza assoluta e completezza ristretta. È facile vedere come dovrebbe funzionare la nozione ristretta di completezza. Ad esempio, la base completa mereologicamente minima è l’insieme minimo completo di elementi mereologici che determinano mereologicamente tutto il resto. Tuttavia, intraprendere questa strada non solo invita ad affrontare i problemi già osservati per (RI), ma può anche diminuire la potenziale attrattiva iniziale di (BMC) (Bennett 2017: 110). Quindi, metteremo da parte il senso relativizzato di (BMC).

Ora possiamo passare ad altre questioni.[18] Uno di questi problemi riguarda come dovremmo interpretare esattamente (BMC). Possiamo trovare una linea di interpretazione comune suggerita da Schaffer (2003: 509), Jenkins (2013: 212), Raven (2016: 609) e Tahko (2018) per cui la base minima completa dovrebbe essere intesa come se fornisse una descrizione minima completa della realtà. Si può paragonare alla “base fondamentale di sopravvenienza” di Schaffer, all’appello di Jenkins “a cui tutto il resto può essere spiegato”, alla “ineliminabilità” di Raven e alla “minimalità ontologica” di Tahko; vedi anche Lewis (1986: 60). In questa lettura, si pone meno enfasi sul ruolo attivo dei fondamentalia, concentrandosi invece sull’assicurarsi di includere nella realtà un fondamento per ogni cosa.

Una considerazione a favore di (IR) anziché (BMC) si può derivare considerando un “mondo piatto”, un mondo dove tutto è indipendente, sia nel senso di (IA) che di (IR), e nulla è “costruito”, per usare la nozione di Bennett (Bennett 2017: 123–124). In un mondo piatto, nulla determina qualcos’altro nel senso di (BMC), poiché nulla dipende da qualcos’altro. In questo caso, tutto è incluso nell’unico insieme minimamente completo. Quindi, non farà differenza quale definizione di fondamentalità usiamo qui; possiamo dire che tutto è fondamentale nel mondo piatto sia nel senso di (IA) o (IR), sia nel senso di (BMC). Questo perché le entità indipendenti si trovano nell’unico insieme minimamente completo per via della loro indipendenza, non viceversa. Si noti che affinché ciò avvenga, è necessaria l’interpretazione di (BMC) lungo le linee delineate nel paragrafo precedente, secondo la quale non è fondamentale che i fondamentalia facciano alcuna determinazione.

Un’altra possibile lettura (o impegno aggiuntivo) di (BMC) potrebbe richiedere che i fondamentalia debbano determinare “attivamente” qualcosa per poter contare tra i fondamentalia. Quindi, mentre (BMC) sembrerebbe essere vacuamente vero in un mondo piatto, il sostenitore di questa lettura più “attiva” potrebbe non essere d’accordo. Spinti dall’esempio del mondo piatto, si potrebbe quindi pensare che (IA) e (IR) siano precedenti a (BMC). Ricorda, tuttavia, che non tutti i filosofi intendono usare (BMC) come definizione di fondamentalità. (BMC) esprime solo una conseguenza dell’essere fondamentale. Per affrontare questa preoccupazione, ci si potrebbe appellare al fatto che (BMC) è compatibile con l’idea che la realtà abbia un fondamento plurale non riducibile. Cioè, dovremmo pensare a (BMC) come se definisse la pluralità delle entità fondamentali. Secondo quest’idea, un mondo piatto – anziché essere un mondo in cui tutto è fondamentale – sarebbe un mondo in cui nulla è fondamentale (o derivato), poiché nulla determina “attivamente” qualcosa. Un mondo che non contenga questa struttura risulterebbe quindi essere un mondo che non contiene alcuna priorità, e dunque nessuna fondamentalità (cfr. Wilson 2016: 199).

Una ragione potenzialmente più sostanziale per preferire (BMC) a (IR) è che potrebbe essere necessario tenere conto di casi come il coerentismo metafisico, in cui sono possibili cicli di dipendenza (vedi Bliss 2014, 2018; Barnes 2018; Morganti 2018; Nolan 2018 e Thompson 2018). Va sottolineato che questa visione viola l’asimmetria e quindi abbandona l’idea che la struttura della realtà sia gerarchica. Anche se richiede di abbandonare uno dei compiti chiave che spesso si attribuisce alla nozione di fondamentalità, ciò aiuta ad accogliere l’idea che dovremmo adottare un approccio più olistico in base al quale le entità possono essere correlate e reciprocamente formare anelli o cicli. A volte viene offerta un’analogia dall’epistemologia, poiché questi anelli di dipendenza potrebbero assomigliare a una rete di credenze quineana, di modo che ogni entità dipenda da una o più entità altre. Forse l’esempio più plausibile della possibilità di cicli di dipendenza viene dal realismo strutturale ontico (RSO). (RSO) suggerisce che gli oggetti possono essere ridotti o, in maniera più moderata, che sono ontologicamente alla pari anziché precedenti a strutture relazionali. Se (RSO) è vero, potremmo dover rivedere le nostre opinioni su cosa potrebbero essere i fondamentalia, in quanto potrebbero essere relazioni anziché oggetti (per la discussione su RSO e fondamentalità, vedi Wolff 2012; McKenzie 2014; Morganti 2018; Tahko 2018) . Ciò che accade esattamente secondo questa visione a (BMC) dipende dai dettagli del framework coerentista, ma una possibilità – secondo una comprensione moderata di (RSO) – è che i fondamentalia includerebbero relazioni e oggetti mutuamente dipendenti, che quindi determinano tutto il resto. Il coerentismo metafisico rimane una delle aree meno esplorate nella letteratura contemporanea, ma la ricerca futura potrebbe consolidare questa posizione tra le opzioni possibili.

Allo stesso modo, alcune forme di infinitismo metafisico, che saranno discusse in maggiore dettaglio nella sezione 4, potrebbero motivare (BMC) (Bliss 2013; Tahko 2014; Morganti 2014, 2018). In base a queste teorie, potrebbe risultare che nulla è indipendente nel senso di (IR), ma potrebbe comunque essere mantenuto un senso di completezza.

1.4 Primitivismo

Secondo il primitivismo, non possiamo definire la fondamentalità. Ma potremmo essere in grado di caratterizzarla, ed è prevedibile che (IR) e (BMC) siano probabili candidati in questo senso. Questo tipo di visione potrebbe essere ciò a cui punta Fine (2001: 26), quando osserva che è la struttura intrinseca del mondo ad essere fondamentale. Un modo per sviluppare l’idea è definire la fondamentalità assoluta in termini di fondamentalità relativa e introdurre una nozione primitiva di “realtà” così com’è in sé stessa (Fine 2001; vedi anche Fine 2009). Si noti tuttavia che Fine propone questa nozione in relazione al dibattito tra realismo e antirealismo, per cui “realtà” può essere intesa come oggettività. Quindi, non è del tutto chiaro se possiamo comprendere la fondamentalità in termini di questa nozione.

Più in generale, si può pensare che la nozione assoluta di realtà fondamentale non abbia bisogno di un sostegno relazionale (Fine 2001; Wilson 2014: 561). Ciò è in contrasto con le varie nozioni comparative o relazionali di dipendenza che abbiamo discusso (vedi anche Fine 2015). Si noti che il primitivismo deve essere contrapposto anche a (BMC) nella misura in cui è inteso come una definizione di fondamentalità, anche se non è raro vedere caratterizzazioni primitiviste di fondamentalità che assomigliano a (BMC). Ad esempio, un primitivista che accetta la nozione di “realtà” di Fine vorrebbe distinguere tra ciò che è reale in sé e ciò che può essere vero (cioè oggettivo) anche se non riguarda il modo in cui le cose sono a livello fondamentale. Come dice Fine,

anche se due nazioni possono essere in guerra, possiamo negare che le cose stiano realmente o fondamentalmente così, perché le entità in questione, le nazioni e la relazione tra loro, non fanno parte della realtà così com’è in sé stessa. (Fine 2001: 26)

L’idea alla base della visione primitivista è in realtà molto semplice e può essere prudente provare a catturarla senza la controversa nozione di “realtà”. Un modo per farlo sarebbe capire che le entità nella base fondamentale sono basilari nel senso che svolgono un ruolo analogo agli assiomi in una teoria, o che le entità fondamentali sono tutto ciò che Dio ha dovuto realizzare per creare il mondo. (Wilson 2014: 560; 2016; vedi anche Dorr 2005). Possiamo trovare diverse occorrenze di questo tipo di euristica nella letteratura sulla fondamentalità, ad esempio in Schaffer:

Il primario è (per così dire) tutto ciò di cui Dio avrebbe bisogno per creare. (Schaffer 2009: 351)

tutto ciò che Dio doveva fare per creare il mondo era fissare i fatti qualitativi. (Dasgupta 2014b: 14)

Spesso spieghiamo la nozione di realtà fondamentale in termini intuitivi dicendo che tutto ciò che Dio doveva fare per creare il mondo era fissare i fatti fondamentali. (Glazier 2016: 35)

Per cogliere a pieno l’idea, considera il seguente passaggio di Kripke:

Immaginiamo la creazione del mondo: che cosa dovrebbe fare Dio per ottenere che valga l’identità tra calore e moto molecolare? Sembrerebbe che non debba far altro che creare il colore e cioè lo stesso moto molecolare. Se le molecole dell’aria si muovono con sufficiente velocità, se c’è un fuoco acceso, allora sulla terra farà caldo anche senza osservatori per costatarlo. Dio ha creato la luce e (ha creato con ciò flussi di fotoni secondo l’attuale teoria scientifica) prima di creare gli esseri umani e gli animali che la possono osservare; e la stessa cosa vale presumibilmente per il calore. Com’è possibile, dunque, che l’identità tra moto molecolare e calore ci appaia come un fatto scientifico sostanziale, che la semplice creazione del moto molecolare lasci ancora addio il compito addizionale di trasformarlo in calore? Per ottenere ciò, Egli deve creare qualche essere dotato di sensi per assicurare che il moto molecolare produca in lui la sensazione S. Solo dopo che ci saranno degli esseri in grado di imparare che l’enunciato “Il calore è il moto delle molecole” esprime una verità a posteriori precisamente nel modo in cui l’impariamo noi. (Kripke 1980, 153. Nome e necessità in italiano)

Ora, Kripke qui ovviamente non sta cercando di proporre una spiegazione della fondamentalità, ma piuttosto di specificare che l’esperienza qualitativa della sensazione di calore è qualcosa di aggiuntivo rispetto al moto molecolare. L’idea, tuttavia, è sorprendentemente vicina alla concezione primitivista della fondamentalità, per cui l’importante è trovare una base sufficientemente ricca per ogni cosa nel mondo – questo ovviamente ricorda (BMC), ma qui l’euristica è semplicemente usata per caratterizzare la fondamentalità, non per definirla.

Poiché il primitivista pensa che non si possa definire la fondamentalità, ci si potrebbe chiedere come mai possa decidere quali siano le entità fondamentali. In altre parole, qual è il nostro accesso epistemico alle questioni circa la fondamentalità? Una possibile risposta è che procediamo nello stesso modo in cui procediamo con altri primitivi in ​​metafisica. Cioè, chiedendoci come l’idea che x sia fondamentale si adatta alla nostra teoria generale. Come va rispetto agli altri nostri impegni? Si tratta di questioni in cui potrebbero essere impiegate virtù teoriche come la semplicità e il potere esplicativo (per una discussione correlata, vedi Schaffer 2014). Tuttavia, non è questo il luogo per affrontare le questioni epistemiche, dichiaratamente difficili, che circondano le teorie metafisiche in generale, o i criteri che devono essere impiegati per scegliere una teoria. Il primitivista sulla fondamentalità può avere un altro primitivo nella sua teoria generale, e questo, ovviamente, richiede una giustificazione. Ma concepire il fondamentale come primitivo non è più misterioso del concepire, per esempio, la naturalezza o il grounding come primitivi. Questo non vuol dire che postulare la naturalezza o il grounding come primitivi non richiederebbe comunque una qualche giustificazione.

Il primitivista, tuttavia, deve affrontare alcune sfide che sono specifiche della fondamentalità. Alcune di queste sfide sono state sollevate da Schaffer (2016a), con l’idea di prendere di mira la proposta di Wilson. Un chiarimento potenzialmente utile da parte di Schaffer è il seguente: c’è qualcosa di primitivo in ciascuna delle teorie proposte, ma il primitivista sulla fondamentalità considera l’essere-assolutamente-fondamentale come quel primitivo, mentre almeno alcuni sostenitori della visione dell’indipendenza relativa (IR) (come lo stesso Schaffer e, ad esempio, Rosen 2010) considerano la “nozione di collegamento” di grounding, essendo-relativamente-più-fondamentale-di-e-collegato-a, come quel primitivo (Schaffer 2016a: 157). Come osserva Schaffer, si possono anche considerare entrambi primitivi, come fa forse anche Fine. Schaffer sostiene che mentre la fondamentalità assoluta si può definire abbastanza facilmente in termini di grounding, come abbiamo visto con (IR), potrebbe non essere altrettanto facile definire il grounding in termini di fondamentalità assoluta.

Il nocciolo del problema è questo: se non c’è un livello fondamentale, allora non c’è modo di spiegare la fondamentalità relativa, e quindi uno dei due compiti chiave per la fondamentalità andrebbe perso. Al contrario, un sostenitore di (IR) può ancora costruire un ordinamento prioritario utilizzando la sua nozione preferita di dipendenza, poiché non è necessario alcun livello assolutamente fondamentale per avviare l’ordinamento (Schaffer 2016a, 158).[19] Come può rispondere il primitivista?

Una possibilità è provare a fissare la direzione di priorità anche in assenza di un livello assolutamente fondamentale (Wilson 2016: 196 e pagine seguenti). Attingendo a un suggerimento di Montero (2006: 179), Wilson propone che, in maniera analoga a una sequenza infinita di numeri come 1/2, 1/3, 1/4… avendo ancora un minorante che parte da zero, potrebbe esserci una discesa infinita di entità fondamentali che si avvicina a un limite, per cui il limite funge da livello fondamentale anche se non viene mai raggiunto. Idee correlate si possono trovare in altri lavori in letteratura (Tahko 2014; Morganti 2015; Raven 2016). Una difficoltà per questa proposta è che l’applicazione della nozione di limite presuppone che possiamo assegnare una misura numerica alle entità discendenti che si avvicinano a questo limite. Quindi, dovremmo essere in grado di costruire la struttura gerarchica della fondamentalità relativa in modo tale che questa misura numerica si applichi ad essa. Inoltre, anche se l’avvicinamento a un limite non deve necessariamente essere costruito numericamente, la stessa nozione di limite richiede di postulare il limite (fondamentale), in questo caso lo zero. Sebbene lo zero non faccia parte della sequenza, sembra far parte dell’ontologia.

Un’altra possibile strategia per affrontare questa sfida al primitivismo è sostenere che fissare il fondamentale non è (sempre) sufficiente per fissare l’ordine di priorità. Piuttosto, dovremmo prestare molta attenzione alle varie relazioni di dipendenza che ci interessano, come la relazione di parzialità, e valutare la natura delle entità non fondamentali che queste relazioni mettono in relazione. È importante sottolineare che potremmo ottenere risposte diverse a seconda di quale visione su queste nature sia corretta (vedi Wilson 2016: 200ff.).

Ciò conclude la nostra discussione sui diversi modi di comprendere la fondamentalità assoluta. Passeremo ora a discutere una serie di teorie importanti spesso espresse in termini di fondamentalità, mettendo in pratica questa nozione.

2. Buona fondatezza

Come abbiamo notato all’inizio di questa voce, uno dei due compiti principali della nozione di fondamentalità è quello di catturare l’idea che esiste una fondazione dell’essere e che ogni altra cosa dipende dalle entità fondamentali. Questa idea sulla fondamentalità è spesso espressa nei termini di buona fondatezza (Morganti 2009: 272; Orilia 2009: 333; Fine 2010: 100; Schaffer 2010a: 37; Bennett 2011a: 30; Bliss 2013: 416; Trogdon 2013: 108; Tahko 2014: 260; Raven 2016: 614; Bohn 2018; Jago 2018). Ma la nozione di buona fondatezza stessa è talvolta impiegata senza ulteriori qualificazioni, e ci sono molti casi in cui un altro termine è invece usato per ciò che chiaramente è la stessa idea generale (e.g., Lowe 1998: 158; R. Cameron 2008; Paseau 2010; Rosen 2010). Una formulazione comune di questa idea è la seguente: una catena di priorità/dipendenza è ben fondata se e solo se termina, e cioè, ha un’estremità costituita da una o più entità che non dipendono da altre entità. Ma non tutti gli autori sopramenzionati accetterebbero questa particolare formulazione, ed è talvolta capitato che i filosofi abbiano discusso tra loro senza tuttavia capirsi veramente a causa delle leggere differenze della formulazione di buona fondatezza che avevano in mente. Fortunatamente, la letteratura è maturata, e disponiamo ora di descrizioni molto più precise delle varie potenziali formulazioni della buona fondatezza (si veda in particolare Dixon 2016; Rabin & Rabern 2016; Litland 2016b; Wigglesworth 2018).

Iniziamo con l’origine del termine “buona fondatezza”. Il termine è familiare nelle scienze matematiche, specialmente nella teoria degli insiemi; fu senza alcun dubbio adottato dalla teoria degli insiemi con la speranza di rendere più precisa l’idea metafisica. Una formulazione semplice della buona fondatezza insiemistica può essere trovata in Cotnoir e Bacon (2012: 187):

Un ordine < su un dominio si dice essere ben fondato se ogni sottoinsieme non vuoto di quel dominio ha un elemento <-minimo.

La prima cosa da notare qui è che la buona fondatezza è relativizzata a un certo ordine, una certa relazione di dipendenza, proprio come (RI) nella sezione 1.2. Quindi, strettamente parlando, dovremmo specificare quale relazione abbiamo in mente e considerare le varie complicazioni che questa introduce, che abbiamo discusso nella sezione 1. Tuttavia, molta della letteratura sulla buona fondatezza (sebbene non tutta) si concentra sul grounding, e ai fini dell’esposizione è più semplice concentrarsi su questa letteratura, assumendo tra l’altro che il grounding stabilisce un ordine assoluto di priorità.

La formulazione insiemistica della buona fondatezza è il senso in cui, ad esempio, Fine (2019: 100) sembra usare la nozione. Applicata alle catene di grounding, la proposta è che la buona fondatezza escluderebbe le catene di grounding infinite, non terminanti, e implica che “i ground di qualunque verità che è groundata “giungono al termine” in verità che sono non groundate”. Possiamo vedere formulazioni leggermente diverse ma equivalenti in Schaffer (2010a, 37), Bennett (2011a, 30), Trogdon (2013: 108), Tahko (2014: 260), Dixon (2016: 452), and Jago (2018).  Come dice Dixon (ibid.), il fascino di utilizzare la nozione insiemistica di buona fondatezza è dovuto al suo essere un’applicazione diretta della definizione matematica standard di una relazione ben fondata (questo è riconosciuto anche da Morganti 2015: 556 fn2). L’unico problema è che la comprensione standard di buona fondatezza potrebbe essere troppo stretta per il compito da svolgere. Molti autori hanno considerato versioni indebolite del requisito della buona fondatezza, che potrebbero essere più adatte ad esprimere i limiti desiderati sulle catene infinite di grounding (R. Cameron 2008: 4; Trogdon 2013: 108; Leuenberger 2014: 170–171). Quindi, per ricapitolare, potrebbe sembrare a prima vista intuitivo interpretare la buona fondatezza semplicemente come una proibizione di catene infinite e cicli di grounding, in linea con la buona fondatezza insiemistica. Ma ciò sembrerebbe andare contro l’intuizione che esistono casi di catene infinite che sono accettabili dal metafisico fondazionalista (R. Cameron 2008; Bliss 2013). Ciò è stato recentemente reso esplicito da Dixon (2016) e Rabin e Rabern (2016).

Per iniziarci all’idea che i metafisici fondazionalisti potrebbero accettare violazione della buona fondatezza, consideriamo un’osservazione importante di Bliss (2013: 416), che compare anche, ad esempio, in Rabin e Rabern (2016: 362). Bliss distingue tra catene di grounding finite e infinite, dove una catena di grounding non solo termina in qualcosa di fondamentale, ma è anche tale che noi possiamo raggiungere le entità fondamentali in un numero infinito di passi da qualunque punto della catena. Secondo questo approccio, una catena ben fondata di grounding è a tutti gli effetti groundata in qualcosa di fondamentale, ma essa stessa potrebbe essere infinitamente lunga. Ma nota che ciò viola già la buona fondatezza insiemistica come definita sopra. Per dimostrare ciò, considera una catena infinita di dipendenza f < … d3 < d2 < d1, dove la catena delle entità dipendenti dn termina in qualche elemento minimo f. Ora, se prendiamo un sottoinsieme di quella catena di dipendenza senza l’elemento minimo f, ecco che ci rimane una catena priva di un elemento <-minimo, così da violare la definizione insiemistica di buona fondatezza.

Per essere più chiari sulla presente questione, introduciamo un’altra nozione, essere “confinato da sotto” o “avere un estremo superiore”. Possiamo dire che un ordine < su un dominio è confinato da sotto se ogni sottoinsieme di quel dominio ha un estremo inferiore. Più precisamente, un estremo inferiore di un insieme dato è qualunque elemento che è più minimale o uguale a tutti gli elementi dell’insieme. Ad esempio, 1, 2, e 3 sono tutti estremi inferiori dell’intervallo [3, 4, 5]. Un estremo inferiore di un insieme non ha bisogno di essere un elemento dell’insieme stesso. Di conseguenza, la catena f < … d3 < d2 < d1 è confinato da sotto. Più in generale, ogni catena finita è insiemisticamente ben fondata e confinata da sotto. Abbiamo appena visto che alcune catene di dipendenza infinitamente discendenti potrebbero essere confinate da sotto e tuttavia non essere insiemisticamente ben fondate. Come dicono Rabin e Rabern (2016: 360), una catena infinitamente discendente potrebbe o potrebbe non avere un “limite” dove il limite è l’estremo inferiore più grande di un insieme. Nell’esempio precedente, 3 è il più grande estremo inferiore dell’intervallo [3, 4, 5]. Perciò, qualcuno potrebbe suggerire che il senso rilevante della buona fondatezza metafisica è catturato da quest’idea di essere limitato da sotto o avere un estremo, un estremo inferiore più grande. Ma anche queste opzioni potrebbero essere troppo forti. Questa è l’intuizione chiave del lavoro recente di Dixon e Rabin e Rabern. Se ciò è corretto, allora abbiamo bisogno di avere un senso di una fondazione metafisica che non solo è compatibile con catene infinite di dipendenza, ma anche con catene infinite che non hanno un estremo inferiore (e cioè, catene “senza confine”).

Potrebbe essere utile presentare un esempio in qualche modo semplificato di un caso dove la buona fondatezza e l’essere limitato da sotto non coincidono. Usiamo una variazione della ricostruzione di Trogdon (2018b) di un esempio di Rabin e Rabern (2016: 361; questo è un esempio di ciò che Dixon 2016: 448 chiama “catena pienamente incolonnata”). Considera una regione sferica di spazio S, che dividiamo in moda tale che ciascuna delle sottoregioni proprie di S ha una sotto regione propria. In principio, possiamo continuare questo processo infinitamente. Ora, assumiamo che ciascuna regione di spazio deriva il suo essere in parte dalle (o è parzialmente groundata nelle) sue sottregioni. Ci sembrerebbe di avere qui un regresso infinito in cui, per usare una frase familiare, l’essere è per sempre deferito, mai raggiunto. Ma supponi inoltre che vi sono punti spaziali e che questi punti sono fondamentali. Allora, potremmo voler dire che S e in realtà ciascuna delle sue infinite sottoregioni proprie deriva completamente il suo essere da (o è completamente groundato in) punti spaziali. In questo caso, il regresso infinito delle sottoregioni sembrerebbe essere innocuo dal momento che i punti spaziali fondamentali rendono pienamente conto di ciascuna di queste. Vale la pena notare che questo esempio accetti la sovradeterminazione dal momento che le sottoregioni sono qui concepite come derivanti il proprio essere parzialmente dalle loro sottoregioni proprie e completamente dai punti spaziali. Tuttavia, la possibilità di un senso di fondamentalità che è compatibile almeno con un qualche tipo di discesa infinita non ben fondata sembra essere stato reso sufficientemente chiaro nel lavoro recente. Il fondazionalismo metafisico non sembra essere propriamente catturato dall’idea della buona fondatezza insiemistica. Ma allora, in che cosa consiste?

Possiamo trovare numerosi tentativi formalmente precisi di catturare il senso rilevante di una fondazione metafisica nel lavoro recente. La concezione preferita di Dixon (2016: 446) (che egli chiama “fondazioni complete”) suggerisce che ogni fatto non fondamentale è completamente groundato in alcuni fatti fondamentali. Rabin e Rabern (2016: 363) provano a catturare l’idea di una fondazione metafisica con la frase “avere una fondazione”, Dove una struttura di grounding ha una fondazione se e solo se c’è un insieme di fatti che (i) groundano insieme tutti i fatti derivatici e (ii) sono essi stessi non groundati. Raven suggerisce (2016: 612) che il fondazionalismo metafisico potrebbe essere concepito in termini di ineliminabilità (che sarà discussa nella sezione 3). Tahko (2014: 263) prova ad analizzare il fondazionalismo metafisico nei termini di un senso “ontologico” di buona fondatezza, che richiede che una catena ontologicamente ben fondata termini in una base di sopravvenienza fondamentale. Trogdon (2018b) segue le recenti indicazioni a favore di una comprensione più debole del fondazionalismo metafisico e la definisce come la concezione secondo cui, necessariamente, ogni entità non fondamentale è completamente groundata in entità fondamentali. Sebbene la terminologia vari, è piuttosto chiaro che ci sono sensi più deboli di fondazionalismo metafisico rispetto a quello definito nei termini della buona fondatezza insiemistica. Giungiamo alla seguente definizione di fondazionalismo metafisico:

(FM) Ogni entità non fondamentale è dipendente D1, D2, …, DN da una o più entità fondamentali che rendono conto completamente del suo essere/della sua realtà.

Questa definizione di fondazionalismo metafisico è in qualche modo vaga dal momento che cerca di catturare l’idea per tutte le differenti varietà di fondamentalità che abbiamo discusso, ma potrebbe essere completato da un’appropriata restrizione sul tipo di entità che riguarda (ad esempio, i fatti) e i pedici D1, D2, …, DN potrebbero essere rimpiazzati dal genere o i generi di dipendenza che uno preferisce, esattamente come gli schemi proposti in (AI) e (RI) nella sezione 1. Inoltre, ci serve comprendere “rendere completamente conto” di conseguenza, ad esempio, nel caso del grounding dovrebbe essere analizzato come “fonda completamente” e nel caso della dipendenza composizionale dovrebbe essere analizzato come “compone completamente” (anche se in alcuni casi potrebbe non essere completamente chiaro che una distinzione completo/parziale si applichi appropriatamente). Ora che disponiamo di una nozione operativa di fondazionalismo metafisico, possiamo procedere a discutere argomenti a favore e contro questa concezione.

3. Fondazionalismo metafisico

Il fondazionalismo metafisico è la concezione secondo cui la realtà ha una fondazione – che esiste un “livello fondamentale”, in un senso che va specificato. La maniera più comune di specificare l’idea di avere una fondazione è nei termini della buona fondazione, ma come abbiamo visto nella sezione 2, la buona fondazione insiemistica potrebbe essere troppo forte per catturare il fondazionalismo metafisico. Il fondazionalismo metafisico si declina in una varietà di formulazioni più o meno forti, in base a quanto viene indebolito il requisito di buona fondatezza. Sembra ragionevole sostenere che fino a tempi piuttosto recenti il fondazionalismo metafisico era la posizione di default (R. Cameron 2008; Schaffer 2009; 2010a; Bennett 2011a). L’intuizione rilevante è spesso catturata dall’espressione molto citata secondo cui senza una fondazione, “un ground dell’essere”, “l’essere sarebbe infinitamente deferito, mai raggiunto” (Schaffer 2009: 376; 2010a, 62).

L’intuizione fondazionalista è talvolta esplicitamente collegata alla composizione (ad esempio, dipendenza mereologica) e la possibilità (o impossibilità) del gunk, e cioè, l’idea secondo cui tutto ha una parte propria: “la preoccupazione anti-gunk è che la composizione potrebbe non partire mai” (R. Cameron 2008: 6). La preoccupazione è che gli oggetti complessi non sono possibili in mondi gunky, cosicché, essendoci composizione, deve esserci una fondazione. Tuttavia, abbiamo visto che la fondamentalità non ha bisogno di essere collegata alla dipendenza composizionale/mereologica. Inoltre, altri (McKenzie 2011; Bliss 2013; Tahko 2014; Morganti 2014, 2018; Bohn 2018; Trogdon 2018b) hanno sollevato sospetti sull’intuizione trainante che sta dietro questo senso di fondazionalismo metafisico, e ora anche alcuni tra coloro che precedentemente avevano difeso il fondazionalismo metafisico optano per l’agnosticismo sulla questione (Bennett 2017: 120ff; Rosen 2010: 116). In effetti, pare esserci ora un consenso riguardo la difficoltà nel produrre un argomento appropriato in favore del fondazionalismo metafisico, qualcosa che vada oltre l’intuizione appena espressa. L’idea ha uno status più simile a quello di una sorta di assioma o legge metafisica come dice Bohn (2018) (vedi Morganti 2018 per un buon quadro generale). Questa conclusione sembra essere ancora più garantita dal fatto che definire il fondazionalismo metafisico semplicemente nei termini della buona fondatezza insiemistica si è rivelato essere troppo restrittivo. Per stabilire un senso più chiaro di fondazionalismo metafisico che sia in accordo con la letteratura più recente, dovremmo concepire il “fondazionalismo metafisico” come è stato definito nella sezione 2 (FM).

Possiamo essere più chiari sull’idea principale del fondazionalismo metafisico? Se possiamo, allora forse potenziali argomenti per la concezione sarebbero inoltre più facilmente disponibili. Un tentativo interessante di fare ciò si deve a Raven.  La versione di fondazionalismo metafisico di Raven si affida alle nozioni di “eliminabilità” e “ineliminabilità” laddove un’entità è eliminabile se la realtà non è peggio descritta senza menzionare tale entità e ineliminabile se la realtà non può essere completamente descritta senza menzionarla. Ciò sembra vicino alla fondamentalità caratterizzata nei termini di una base minimale completa (BMC), discussa nella sezione 1.3. Per dimostrare questo, sfruttiamo la terminologia propria di Raven (2016: 614-5). Le entità ineliminabili “persistono” in alcuni fatti che le riguardano, mentre quelle eliminabili “spariscono” da tutti i fatti che le riguardano. Un’entità “sparisce” quando c’è un estremo nei ground di alcuni fatti che la riguardano, una sua ultima occorrenza dopo la quale l’entità non ricorre più. Perciò, un’entità persiste quando qualche fatto che la riguarda non è limitato. È importante notare come vi siano due modi di essere non limitati: essere non groundati o avere grounds che ricorrono per sempre. Il primo tipo di persistenza è il senso familiare dell’indipendenza relativa (IR) così come definita nella sezione 1.2. Ma il secondo tipo di persistenza, dove un’entità ricorre per sempre, nella catena di dipendenza, è nuovo.

Una maniera potenzialmente utile a illustrare le opzioni a noi disponibili e chiarificare la relazione tra il fondazionalismo metafisico e la discesa infinita è il “modello di emergenza dell’essere” di Morganti (2015: 562). Questo modello potrebbe essere messo a confronto con il “modello di trasmissione”, che è, forse, ciò che l’espressione, molto citata e dovuta a Schaffer, con cui abbiamo iniziato riflette. Secondo il modello di trasmissione, le entità non groundate sono il “ground dell’essere”. Ma il modello di emergenza suggerisce che qualcosa possa comportarsi come una fondazione in assenza di entità non groundate; l’infinito “inizia a giocare un ruolo attivo, e si avanza con l’allungarsi della catena” (Morganti 2015: 562). Il modello di emergenza trae ispirazione da un’analogia con l’epistemologia dove l’”emergenza della giustificazione” da una catena infinita di ragioni è stata recentemente un’area di ricerca attiva (Klein 2007; Peijnenburn e Atkinson 2013). Perciò, l’idea principale del modello di emergenza sembra essere che non vi sia un livello fondamentale privilegiato di realtà che possa servire come base per l’essere. Piuttosto, dovremmo concepire l’essere in maniera più olistica, per così dire, ed esplorare l’idea che esso possa emergere gradualmente. Chiamiamo questa idea infinitismo emergentista. A fronte di ciò, l’infinitismo emergentista sembra essere la negazione di (FM) e quindi del fondazionalismo metafisico. Tuttavia, c’è qui spazio per l’interpretazione, poiché il modello olistico suggerisce che si potrebbe considerare che l’intera catena infinita potrebbe forse groundare le sue “parti”.

Potremmo paragonare questo modo di penare al principio di ragion sufficiente di Leibniz (PRS), il quale afferma che per ogni entità che esiste, esiste una spiegazione o ragione per la sua esistenza (Della Rocca 2010; Guigon 2015; Dasgupta 2016; e la voce separata sul principio di ragion sufficiente). Nella letteratura contemporanea, potremmo paragonare (PRS) al principio di ereditarietà discusso in Schaffer (2016b) e Trogdon (2018b). Un problema aperto, sebbene non uno che indagheremo qui, riguarda la compatibilità dell’infinitismo emergentista con il (PRS).

Per concludere questa sezione, andrebbe notato che non tutte le concezioni discusse sopra sono state proposte con il nome di fondazionalismo metafisico. Ma una volta è stato reso chiaro che l’idea fondazionalista non è collegata al senso forte, insiemistico, di buona fondatezza, il requisito per una fondazione è molto più debole di quanto potrebbe essere sembrato precedentemente. Se allarghiamo il campo del fondazionalismo metafisico, di conseguenza, c’è ancora un senso interessante di infinitismo metafisico che può essere discusso?

4. Infinitismo metafisico

Sostenere l’infinitismo metafisico consiste nel rifiutare il fondazionalismo metafisico (FM) ma come abbiamo visto, il senso di fondazionalismo metafisico definito alla fine della sezione 2 non richiede l’accettazione di una buona fondatezza forte, insiemistica, e perciò è compatibile con almeno alcuni tipi di discesa infinita. Di conseguenza, l’infinito metafisico è una concezione alquanto più forte di quanto potrebbe essere sembrato a prima vista.

Usando la nozione tecnica di essere limitato da sotto o avere un estremo superiore introdotta nella sezione 2, possiamo cominciare con l’idea semplice secondo cui, data una certa nozione di dipendenza, una catena ha un estremo inferiore solo se c’è un elemento da cui dipende ogni elemento della catena (Rabin e Rabern 2016: 366). Come abbiamo visto precedentemente, le catene infinitamente discendenti di dipendenza potrebbero avere un estremo inferiore, e cioè, terminare in un elemento dipendente che potrebbe o potrebbe non essere parte della catena stessa, e tuttavia non essere insiemisticamente ben fondate. Ma c’è una condizione ancora più debole di avere un estremo inferiore che può soddisfare (FM), e cioè l’”avere una fondazione” di Rabin e Rabern (2016: 363) o l’equivalente “fondazioni complete” di Dixon (2016: 446). Queste due condizioni si basano sull’idea di avere una fondazione infinitamente grande. Un esempio di questo tipo di fondazione può essere costruito con l’aiuto delle disgiunzioni infinitarie, come sia Rabin e Rabern che Dixon dimostrano (Litland 2016b discute i problemi a ciò associati e costruisce ulteriori esempi). In un tale caso, (FM) è soddisfatta perché ogni elemento dipende da qualche elemento indipendente, nonostante non vi sia un estremo inferiore. Non c’è estremo inferiore perché la catena non termina se la fondazione è infinitamente grande. Al contrario, se la fondazione è finita, allora c’è un estremo inferiore e perciò è implicato il requisito più debole (FM). In ordine decrescente di forza, abbiamo il requisito di buona fondatezza insiemistica, di avere un estremo inferiore, e di avere una fondazione o fondazioni complete. Abbiamo definito (FM) nei termini del più debole di questi tre requisiti nella sezione 2, ma un sostenitore del fondazionalismo metafisico potrebbe certamente avanzare un requisito più forte, come avere un estremo inferiore.

In questa sezione, siamo interessati alla possibilità del tipo di infinitismo metafisico forte che nega tutti e tre i requisiti. La negazione di (FM) implica che vi è almeno alcune entità che sono non fondamentali e tuttavia non dipendono per il loro essere da qualche altra entità fondamentale. Potrebbero esserci numerosi modi in cui ciò può accadere, ma la possibilità più estrema è un tipo di complessità infinita in cui vi è una discesa infinita di diversi tipi di entità, ciascuna delle quali dipende da entità più in basso nella catena, che non termina mai, e perciò non può mai essere “completamente spiegata”. Potremmo pensare ciò nei termini di una violazione del principio di ragion sufficiente (PRS), perlomeno se si ritiene che (PRS) richieda di giungere a una ragione ultima piuttosto che una ragione a ogni livello sotto a quello precedente. Di conseguenza, la complessità infinita implica una mancanza di struttura dotata del tipo di significato esplicativo che (PRS) richiede. Questo tipo di concezione sarebbe più radicale che i vari tipi, potenzialmente innocui, di discesa infinita illustrati finora. Tale concezione potrebbe sembrare implausibile a molti, perlomeno se si parla del mondo attuale. 

La complessità infinita è una versione forte dell’infinitismo metafisico, ma cosa succederebbe se, invece della complessità infinita, avessimo un qualche tipo di ripetizione infinita? Questo tipo di idea è stata discussa come il nome di discesa infinita noiosa (Schaffer 2003: 505, 510; Tahko 2014). Una struttura noiosa o ripetitiva implica che da qualche parte nella catena di dipendenza smettiamo di incontrare nuovi tipi di entità o nuove strutture. La parte noiosa della struttura che si ripete all’infinito potrebbe essere di qualunque lunghezza a patto che essa prima o poi ricominci. Una descrizione della parte ripetitiva ha soltanto bisogno di essere integrata da un’istruzione di continuare come prima. Ad esempio:

Il mondo poggia su quattro elefanti, i quattro elefanti poggiano su una tartaruga, la tartaruga poggia su due cammelli, i cammelli poggiano su quattro elefanti, i quattro elefanti poggiano su una tartaruga … e ripeti ad infinitum. (Tahko 2014: 261)

L’idea è che la struttura noiosa, qualunque forma essa possa prendere, può essere completamente descritta nei termini delle entità menzionate (o tipi di entità, e forse le relazioni di “status” tra queste): quattro elefanti, una tartaruga, e due cammelli. È stato suggerito che ciò produce una descrizione “minima” della realtà, ma si può discutere se ciò soddisfa (FM) o è un caso di infinito metafisico forte (Raven 2016; Tahko 2018).

Sembra che questo tipo di discesa infinita sia meno radicale della complessità infinita, ma rimangono alcune questioni aperte. Ad esempio, questo tipo di regresso infinito è innocuo o vizioso? Possiamo catturare la differenza tra il fondazionalismo metafisico e l’infinitismo metafisico nei termini della non viziosità o viziosità del regresso (Nolan 2001; Bliss 2013)? Lasceremo questi problemi irrisolti, ma al fine di perfezionare l’esempio giocattolo, potremmo discutere brevemente un caso più concreto. Il modello del vincitore del Premio Nobel Hans Dehmelt (1989) è talvolta menzionato come esempio potenziale (Schaffer 2003, Morganti 2014, Tahko 2014). Dehmelt ha supposto che vi possa essere una sottostruttura quark/leptone al di sotto del livello noto dei quark, basata sul modello del tritone, il nucleo dell’isotopo radioattivo dell’idrogeno, il trizio:

Propongo di estendere lo schema della sottostruttura del tritone a un numero infinito di livelli. Al di sotto dei quattro livelli elencati sopra (fino ai subquark), essi contengono subquark di ordine più alto dN, con N = 5 → ∞. In ciascun livello le particelle non sono identiche ma si assomigliato allo stesso modo in cui si assomigliano i quark e i leptoni, con masse che variano fino a un fattore di 108. In una regressione infinita a particelle più semplici di massa sempre maggiore, esse si avvicinano asintoticamente alle particelle puntiformi di Dirac.

Fino a N = 3, il livello degli elettroni, il modello di Dehmel è motivato dalla fisica contemporanea, ma p speculativo da N = 4 in poi, in cui è postulata la sottostruttura elettronica. Tuttavia, non è interamente chiaro se il modello di Dehmelt sia un caso genuino di discesa infinita noiosa, dato che il regresso sembra terminare nelle particelle puntiformi di Dirac.

Un ultimo argomento da considerare in questa sezione mette alla prova il “modello di trasmissione”, in cui entità derivative derivano il proprio “essere” da entità fondamentali. Bohn (2018: 170) fa un’osservazione utile, rivolta al modello di trasmissione (applicato al grounding):

Il grounding assomiglia a una relazione matematica sincronica, statica (come in aritmetica), e non a una relazione fisica diacronica, dinamica (come in termodinamica, o in teoria dell’azione).

L’idea qui è che il modello di trasmissione assume illegittimamente un “punto di partenza” dinamico per ogni catena di grounding. Se abbandoniamo il modello di trasmissione e la concezione dinamica, giungiamo all’idea di grounding indefinitamente discendente in cui tutti i fatti hanno un ground e quindi non ci sono fatti fondamentali (Bohn 2018). Questo viola addirittura il più debole dei tre requisiti che un fondazionalista vorrebbe imporre, ed è quindi un rifiuto netto di (FM). Nota, tuttavia, che questo riguarda soltanto la precisazione di (FM) in termini di grounding. Perciò, questo tipo di infinitismo metafisico prende di mira la concezione di fondamentalità come mancanza di grounding (come specificato nei termini di (Ri) nella sezione 1.2).

Se (FM) non ha bisogno del modello di trasmissione, la scelta tra fondazionalismo e infinitismo è difficile. C’è forse, un caso di prova: la possibilità del gunk (ogni cosa ha una parte propria), junk (ogni cosa è una parte propria), e hunk (ogni cosa ha ed è una parte propria). Vi è un dibattito in corso riguardo lo status modale di questi scenari, e uno potrebbe fare appello alla loro possibilità in difesa del ground indefinitamente discendente (come fa Bohn 2018).  Tuttavia, questi scenari riguardano ovviamente solo la relazione di parte propria (dipendenza mereologica), e quindi anche se l’infinitismo mereologico fosse coerente, potrebbero esserci altre nozioni di dipendenza per le quali la nozione corrispondente di infinitismo è incoerente.

Ciò conclude la nostra discussione dell’infinitismo metafisico e la fondamentalità. Questa indagine si è concentrata su un sottoinsieme della crescente letteratura sulla fondamentalità con lo scopo di chiarificare le varie questioni terminologiche attorno alle nozioni chiave e identificare alcuni temi comuni. L’idea dietro queste nozioni sono antiche quanto le intuizioni associate ai vari argomenti che abbiamo visto, sia a favore che contro il fondazionalismo e l’infinitismo metafisico. Sforzi recenti utili a sistematizzare alcune delle idee centrali, specialmente quella di buona fondatezza, hanno reso molto più semplice avere discussioni costruttive sul tema della fondamentalità. Ci si può aspettare che ulteriori tentativi a formulare argomenti a favore e contro versioni di diversa forza del fondazionalismo e dell’infinitismo metafisico emergeranno nel futuro prossimo.

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Fondamentalità [DRAFT]
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